La Farsa degli Imprenditori che non Trovano Lavoratori ”Cari Paraculi” Pagate, Trattateli Bene e li Troverete
Abbiamo estratto 3 servizi da fonti diverse che offrono una visione parallela a quello che viene dato a credere essere una crisi occupazionale, chi scrive viene da una famiglia che ha svolto e gestito attività di ristorazione in Italia e all’estero e conosce molto bene quali sono i problemi reali nel settore in questione che in questo momento viene dibattuto da cialtroni privi di scrupoli e animati da logiche opportunistiche dettate da una ipocrisia che non ha limiti ne confini.
Da giovane avendo vissuto in una zona balneare, le ossa come lavoratore stagionale me la sono fatta alzandomi tutte le mattine a riempire le bottiglie di acqua minerale vuote con quella di rubinetto da dare ai disgraziati clienti che entravano in ristorante, i quali si dissetavano grazie ad una fresca acqua oligominerale a base di fosforo e cloro (accade anche oggi, che credete) 🙂
La ”Coca Cola” invece veniva Fustata (Travasata) regolarmente il pomeriggio con la classica Ben Cola dal costo proibitivo di 45 lire per 2 litri che poi come per magia diventava un prodotto frutto della ben nota multinazionale. (Con automatica conversione del prezzo naturalmente)
Per non confondere le acque visto che siamo in tema, il tutto veniva allungato ai soliti turisti (Che come sapete si bevono tutto) con del ghiaccio e ogni volta il titolare del locale dove lavoravo mi ricordava sempre che la villa di fronte (che mi mostrava sistematicamente nei momenti di pausa) l’aveva guadagnata con questo prezioso elemento naturale (Il Ghiaccio)
Lo stipendio naturalmente ti sembrava alto (1.Milione e 250 mila delle vecchie lire) solo perché lavoravo 13 ore al giorno sabato e domenica compresi e come sapete se le ore sono tante l’importo pare essere elevato, li dove le mance se le teneva il titolare per poi a fine mese condividerle tra tutti …..lui compreso.
Avevi solo il tempo di respirare mangiare andare di corpo (Insomma cagare) e ripetere all’infinito la fatidica frase…signorsi!
L‘inferno lavorativo ora è più raffinato
Le cose da allora sono più sofisticate, mentre un tempo il tutto era per lo più svolto in modo naif, per non dire a come va il parroco, oggi la tratta degli schiavi avviene secondo delle leggi che fanno apparire il lager nazisti un luogo ridente di villeggiatura considerate le restrizioni e le tutele venute meno messe in atto.
Mentre prima erano a discrezione di chi ti dava il lavoro, ora sono passate nelle mani di chi il lavoro lo interpreta a modo suo e lo pianifica secondo delle logiche rigorosamente commerciali dove se tardi un minuto è la fine del mondo e se muori non glie ne importa a nessuno.
Chi dice che i lavoratori non vogliono lavorare, dico loro che molto probabilmente non hanno ancora capito la linea di demarcazione che separa il lavoro da un buon lavoro, che non necessariamente significa guadagnare 5mila ero al mese, ma che si configura in un qualcosa che possa in qualche maniera mettere in condizione chiunque di poter disporre della propria vita in modo dignitoso secondo delle norme che devono valere per tutti. (Non solo per chi si può permettere di essere libero tutti i fine settimana dopo aver svolto delle pratiche notarili o commerciali) e lavorando in orari umani che ti consentono di poter condividere il giusto tempo con la propria moglie e godere della compagnia dei propri figli. ( Il lavoro stagionale un tempo era tale, ora è diventato perenne, si passa dalla stagione estiva a quella invernale)
Questo è un privilegio che pare essere monopolio assoluto di tutti coloro che intendono beneficiare del fatto di essere essere serviti a pranzo e cena regolarmente tutti i giorni in ristorante e a piacimento, nella totale inconsapevolezza che chi svolge questa attività avrà negata a vita ogni opportunità di poter disporre del tempo libero necessario per poter rivendicare il sacrosanto diritto di poter disporre una vita come si conviene.
Ogni mestiere come si sa ha i suoi inconvenienti e uno potrebbe dire che da che mondo e modo i camerieri i cuochi e i lavapiatti sono sempre esistiti, ma la cosa sorprendente e’ che pare essere l’unica categoria (Insieme a quella dei dipendenti di Hotel) che si lamenta e che induce i politici a scatenare una guerra mediatica in relazione ad un lavoro il quale ha visto l’87% dei giovani emigrare all’estero per cercare un opportunità alternativa che non sia quella di dover competere con nigeriani, albanesi, ucraini e indiani ecc ecc, magari con una laurea in Fisica o in Psicologia in tasca e poter arrivare a fine mese. (Fermo restando che nello specifico uno può amare questa professione e decide di farla per tutta la vita, ma credetemi non è la norma come vogliono dare a credere i vari Bruno Barbieri o Alessandro Borghese, ma l’eccezione)
La società in cui viviamo ha posto tutte le condizioni per dover essere impegnati 7 giorni su sette, vedi i supermercati, i negozi perennemente aperti e le industrie che operano sempre più su 3 turni per non parlare delle COOP che sfruttano la manodopera praticamente a cottimo con importi che variano dai 5 ai 8 euro l’ora, in un contesto dove ogni spot televisivo ti mostra un auto elettrica che il 90% della gente non si potrà mai permettere.
Le Fatidiche cooperative sono a tutti gli effetti delle associazioni a delinquere dove il passaggio del denaro che un tempo bene o male andava direttamente all’operaio, ( Spesso in Nero) ora filtra nei meandri della burocrazia filantropica di queste associazioni che sottraggono il capitale lasciando ai diretti interessati le briciole che consentono loro appena di sopravvivere.
E’ un mondo del lavoro dove non ci sono prospettive e che ha posto gli individui a fare cose che esulano da ogni potenzialità insita in un qualsiasi individuo, sono scomparsi gli attori, i poeti, i letterati, i fisici gli astronomi, musicisti, matematici, ritenute professioni inutili e persino i calciatori dove la scarsa natività e la mancanza totale di insegnanti adeguati pagati come si conviene porta il settore ad elemosinare giocatori già pronti curati suol posto dall’Africa o dal Sudamerica.
E inutile che vengano a dire che manca la manodopera specializzata, è la fatidica frase del cretino di turno che si alza dal letto e fa colazione con vino ……..il problema sono i milioni di persone che se anche avessero questa qualifica tanto richiesta, si troverebbero comunque con il cerino in mano, perché i posti non sono numericamente gli stessi di chi lavora nella catena di montaggio dove tra l’altro la produzione ora è in grado di compierla un Robot fatto in Alluminio e Silicio.
L’eliminazione della classe media ha poi amplificato il problema ponendo una società in una competizione spietata in tutte quelle attività logoranti che non implicano una specializzazione evoluta e che privilegia coloro che si adoperano a fare il tutto senza fiatare ed al minor costo, relegando il resto che rimane nel limbo di chi fa la coda di 3 km ogni giorno per un pasto alla Caritas, in tutte le città del Bel Paese chiamato Italia e …non solo.
Va oltremodo sottolineato un dettaglio che i media mainstream trascurano ossequiosamente di evidenziare, chi è alla soglia dei 60 anni di età, il reinserimento nel mondo lavorativo (prassi consueta in tempo di crisi) e magari ha versato 20 o 30 anni di contributi, si vede escluso in ogni ambito perché inadeguato in un qualsiasi contesto che vede prioritaria una manodopera giovanile più malleabile e che vede la professionalità un optional che viaggia di pari passo con il profitto immediato che il mercato del lavoro impone, ecco che da li sino alla soglia di età pensionabile dei 68 anni, tutti faranno parte di quella categoria di persone considerate inutili. ( Il vaccino ha avuto una funzione terapeutica per le casse dello stato considerato l’alto numero di morti in questa fascia)
Il nord e il sud
Li dove lo stato viene meno subentra poi un mercato parallelo che implica lo sfruttamento del lavoro su scala industriale, vedi per esempio una città come Napoli dove il 75% di tutta la manifattura e contraffatta, con la logica conseguenza che pure chi la realizza non possa di fatto usufruire di un minimo di tutela sindacale (come se questi avessero oggi una qualsiasi funzione)
Dove milioni migranti che negli ultimi 10 anni si sono riversati in Italia ( Buona parte priva di documenti) avessero tutte le carte in regola per poter fare una vita lavorativa dignitosa nelle mani di caporalati che fanno rimpiangere i campi di concentramento nazisti. (Ehi imprenditori …sto parlando dell’Italia non del Castello del Mago di OZ)
Ed il Nord Est ricco e laborioso che si lamenta perché non ha operai, che se li vada a cercare tra gli 11 mila ucraini che solo in questo ultimo anno in massa hanno voluto con la solita ipocrita solidarietà.
Godere dei sussidi del governo per esibirsi in televisione facendo riferimento alla mancanza di manodopera è un ottimo viatico per prendere per il culo la gente, li dove il flusso di immigrati superava le 10.000 unitá al mese nel solo periodo plandemico.
Il controllo delle mascherine in chi non le portava è stato efficiente al quadrato in questi tre anni, ma verificare ogni tanto il contenuto in litri e decimali di tutte le industrie chimiche e manifatturiere Venete scoperchierebbe un vaso di pandora che vede questi ipocriti filantropi dell’economia in un secondo, li dove con l’aria stanno al pari del mio vecchio datore di lavoro in spiaggia costruendo le ville alle isole Caiman, e gli operai al minimo cenno di protesta vanno a vendere il cocco a Mar del Plata. (Abbiamo testimonianze dirette su quanto stiamo per dire)
Quello che vogliono in definitiva è gente che vive per lavorare e non viceversa, (È la crisi è la crisi e ci si deve adeguare!! frase ripetuta in tutti questi ultimi 20 anni) da qui tutta la loro arrogante presunzione di essere dalla parte del giusto in un mondo che gode della guerra, della pedofilia e della negazione di chi non la pensa come loro.
State zitti e in silenzio per piacere, paraculi della domenica e di tutti i giorni della settimana e smettetela di sporcarvi la bocca, l’economia è segnata dall’1% del pianeta e segue logiche distanti anni luce dal passato e voi ci siete dentro fino al collo, è tutto il sistema da rifondare e non l’economia, oggi lavorano i robot, tutto è automatizzato e il transumanesimo é li davanti ai vostri occhi che vi sta dicendo a chiare lettere…….
voi 99% rimasti siete inutili, quello di cui avete bisogno è una vasta estinzione collettiva necessaria per dare spazio a coloro che si prestano a dire ….
.…SIGNORSÍ.
Toba60
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La Farsa degli Imprenditori che non Trovano Lavoratori
Ci risiamo, riparte il mantra dei poveri imprenditori che ‘non trovano lavoratori’, e la colpa sarebbe sempre la solita: giovani che non vogliono lavorare e l’abietto reddito di cittadinanza. Ma è davvero così?
Ormai è letteratura di genere: periodicamente, come d’incanto, giornali e tv tirano fuori interviste a imprenditori volenterosi che vorrebbero dare lavoro ma non trovano personale. Se poi si mescola “i giovani d’oggi” col reddito di cittadinanza c’è il delitto perfetto. Vincenzo De Luca ne è un esempio, tra i tanti: “Se mi dai 700 euro al mese (…) non ho interesse ad alzami alle sei e ad andare a lavorare”.
Dunque, da qualche settimana, assistiamo al solito allarme lanciato dagli imprenditori che si occupano di turismo, ai quali fa spesso da megafono la voce della politica: non ci sarebbero lavoratori stagionali da assumere.
Le associazioni datoriali lamentano con forza l’assenza di cuochi, camerieri, baristi e bagnini. Emblematici sono i casi della Toscana, del Trentino e della riviera romagnola, dove mancherebbero all’appello migliaia di lavoratori, dai 5000 ai 7000 addetti, e per questa ragione le strutture ricettive farebbero fatica a ripartire.
Il risultato di questo tam tam è che molti potrebbero cominciare a credere che il turismo, settore strategico del nostro paese, dopo la catastrofe economica delle chiusure stia provando a risollevarsi ma tutto sia bloccato dalla carenza di lavoratori.
Sembra paradossale, ma nonostante più di tre milioni di disoccupati, e nonostante le centinaia di migliaia di posti di lavoro persi lo scorso anno (specialmente nel comparto turistico), non ci sarebbero lavoratori.
Conclusione? I giovani non vogliono lavorare, colpa del reddito di cittadinanza, colpa dei lavoratori. Poveri imprenditori!
Smontiamo questa narrazione, senza farla nemmeno troppo complicata. Partiamo dalla semplicissima lettura dei numeri sul reddito di cittadinanza.
I beneficiari sono 700.000 e tra questi gli under 25 beneficiari sono solo 26.000, mentre fra 45 e 66 c’è ne sono 516.000. 458mila percettori sul totale sono donne, che conferma la realtà da tutti conosciuta, cioè che due volte su tre la disoccupazione colpisce le donne. Il dato viene direttamente da quei bolscevichi de il Sole 24 ore cioè proprio il giornale di riferimento dell’imprenditoria.
Passiamo a un altro giornale gestito da pasdaran del popolo, ovvero la nuova Repubblica in quota Gedi, che raccontando la carenza del personale nel settore turistico, finisce per intervistare il preside dell’Istituto Alberghiero Vespucci di Roma, che sintetizza perfettamente la questione: “Ci chiedono giovani formati, noi li segnaliamo e loro offrono 300€ al mese. I giovani se ne vanno all’estero e le imprese danno la colpa al reddito di cittadinanza.”
Perché gli imprenditori non si rivolgono ai centri per l’impiego?
Sembrerebbe una domanda retorica, eppure è la base dalla quale partire. Se un datore di lavoro cerca personale può recarsi a un centro per l’impiego e comunicare che ha bisogno di un certo numero persone, per svolgere alcune mansioni.
Gli operatori del centro per l’impiego (e i Navigator), successivamente alla richiesta, attraverso le liste di disoccupazione, che pare siano piuttosto corpose in Italia, e quelle dei percettori di RDC, in base alle competenze professionali richieste, stilano un elenco di candidati da indirizzare al richiedente.
Le obiezioni le conosciamo: il malfunzionamento dei centri per l’impiego, i tempi di risposta incerti, la possibilità che i candidati rifiutino la proposta di lavoro.
Anche qui entriamo in una dinamica di connessione tra le varie entità che dovrebbero collaborare, al netto delle efficienze o inefficienze, che sono comunque su base locale e non globale (ovvero ci sono centri che funzionano benissimo ed altri in cui non si muove una foglia). Se gli imprenditori non si rivolgono ai centri per l’impiego ma preferiscono le agenzie interinali o la ricerca diretta (e su questo ci torneremo a breve), i centri finiscono per essere semplicemente un anagrafe della disoccupazione, censiscono numeri.
D’altro canto, se l’eventuale candidato rifiuta il posto di lavoro proposto, oltre le modalità previste dalla legge, perde l’indennità di disoccupazione o l’RDC. E se il singolo centro per l’impiego non ha abbastanza disoccupati in lista nel suo territorio, può allargare la ricerca ad altri centri.
Torniamo quindi alla questione iniziale: perché gli imprenditori non si rivolgono ai centri per l’impiego?
Perché se lo facessero regolarmente, dovrebbero dichiarare orari, CCNL di riferimento e caratteristiche del rapporto di lavoro.
Sapete cosa significa, no? Che l’imprenditore dovrebbe autodenunciarsi a proposito di quei ragazzi che vedete, per esempio, d’estate, lavorare come camerieri nelle buvette sulla spiaggia di qualche stabilimento, con quei nomi familiari tipo “Da Armandino”, “Da Peppino” “Lo scoglio” “Le ancore”, con turni che vanno praticamente dalle 10 del mattino a oltre la mezzanotte, con una breve pausa pomeridiana.
Dicono che è una questione di mercato il costo del lavoro. Se la logica è questa varrà anche per chi lavora la facoltà di accettare o meno impieghi da 4 euro l’ora, sei giorni a settimana, per 10 ore al giorno. O stiamo teorizzando lo schiavismo?
Un po di dati relativi alla leggenda dei lavoratori introvabili
Puntuale come una cambiale, sulle pagine dei quotidiani si ripresenta una tesi che potremmo così sintetizzare: “In Italia il lavoro c’è, ed è abbondante, ma non c’è nessuno che vuole faticare”. Stando a questa ignobile lettura, la disoccupazione non dipenderebbe da una cronica carenza di domanda di lavoro da parte delle imprese, non da due crisi (legate alla pandemia e alla guerra in Ucraina) che hanno fatto seguito ad una decennale stagnazione, ma proprio dai disoccupati che preferirebbero starsene a casa piuttosto che guadagnarsi da vivere.
L’ultima a soffermarsi su questo tema è stata “La Repubblica”, che lo scorso 6 marzo ha dedicato alla questione la prima pagina dell’inserto Affari&Finanza, occupata da un pezzo dall’incipit emblematico, “Gli introvabili”. L’articolo è particolarmente interessante perché espone in modo sintetico la visione dominante (politici di Governo e d’opposizione, media e perfino illustri accademici) sulle cause della disoccupazione. L’argomentazione è chiara: di lavoro non ne manca, sono i lavoratori che non hanno voglia di lavorare.
Queste notizie stimolano dunque una riflessione sui dati macroeconomici del mercato del lavoro italiano, guardando soprattutto ai disoccupati e ai posti vacanti. Partiamo dai primi: si definisce disoccupato un individuo che non lavora ma cerca attivamente lavoro ed è effettivamente disposto a lavorare. La domanda che dobbiamo porci è la seguente: è vero che in Italia non ci sono disoccupati a sufficienza per riempire le caselle vuote nel mercato del lavoro? Bene, nel terzo trimestre del 2022 in Italia c’erano ben 1 milione e 927 mila disoccupati e disoccupate disposti a lavorare. Di questi, 1 milione e 123 mila erano almeno diplomati. Sembrerebbe quindi che, per quanto in discesa (anche alla luce di una fisiologica ripresa dell’occupazione dopo il collasso economico del 2020), il numero di persone che cercano lavoro sia ancora rilevante, tant’è che il tasso di disoccupazione si attestava al 7,8%.
Passiamo ora alla seconda questione, vale a dire la presenza di posizioni lavorative vuote e in cerca di lavoratori. Come abbiamo più volte fatto per smontare queste tesi, siamo andati ad analizzare i dati sul numero di posti vacanti. I posti vacanti sono le posizioni aperte presso le aziende con almeno un addetto che non hanno ancora trovato un candidato idoneo. Per farla semplice, rappresentano la domanda di lavoro non soddisfatta. Bene, nello stesso semestre, in Italia c’erano 466 mila posti vacanti, pari a circa il 24% dei disoccupati: anche se la domanda di lavoro riuscisse ad essere completamente soddisfatta, rimarrebbero in Italia circa un milione e mezzo di disoccupati (ai cui si aggiungono coloro che, in preda a fenomeni di scoraggiamento, un lavoro nemmeno lo cercano in quanto certi di non trovarlo). Ma c’è di più: il numero di posti vacanti risulta insufficiente anche per occupare i disoccupati con una formazione medio-alta.
Il grafico di seguito evidenzia bene la differenza tra la montagna di disoccupati e il topolino dei posti vacanti. Badate bene: i nostri calcoli fanno riferimento a dati ISTAT, basati su una metodologia certificata e utilizzata da anni a livello internazionale. Nulla a che vedere con le fonti da cui pesca l’articolo di Repubblica, stando al quale esisterebbero quasi due milioni di assunzioni per le quali le imprese nel 2022 hanno riscontrato difficoltà, 600mila in più rispetto al 2021. La fonte cui si fa riferimento, tuttavia, è un rapporto Unioncamere-Anpal, basato su questionari rivolti alle imprese: stando a questo rapporto, le imprese prevedevano, per il 2022, poco più di 5 milioni di assunzioni, ma che avrebbero riscontrato importanti “difficoltà di reperimento” per il 41% delle entrate previste. Dati che definiremmo coraggiosi, se non tendenziosi, in quanto rappresentativi di previsioni, intenzioni e pareri formulati esclusivamente dal mondo delle imprese.
Il problema può essere visto guardando anche ad un’altra misura detta indice di sovrappopolazione relativa. Questo indice ci dice quale sia il rapporto tra tutti i lavoratori disponibili in un determinato periodo (la somma di occupati e disoccupati) e il totale delle posizioni disponibili nello stesso periodo (la somma di occupati e posti vacanti). Quando questo indice è uguale a 1 vuol dire che i posti vacanti sono tali da soddisfare tutti i disoccupati. Quando questo rapporto è superiore ad 1 vuol dire che l’offerta di lavoro – ossia, i disoccupati disposti a lavorare – è superiore alla domanda di lavoro e quindi che le posizioni aperte presso le aziende non sono tali da assorbire la mole di lavoratori disponibili. Come si può notare dal grafico sottostante, il mercato del lavoro italiano non versa in una situazione per cui il problema è un eccesso di posti lavoro da colmare: in tutto il periodo considerato (2018-2022), l’indice è superiore a 1.
Questi dati dimostrano come il problema della disoccupazione in Italia dipenda quasi esclusivamente dalla debolezza della domanda di lavoro da parte delle imprese. A sua volta, una domanda di lavoro che langue deriva da una carenza complessiva di domanda di beni e servizi: nessuna impresa assume lavoratori o lavoratrici nel caso in cui non ha una produzione da realizzare (e vendere). In questo contesto, le trentennali politiche di austerità di bilancio (che, in barba all’entusiasmo di certi commentatori, neanche il PNNR è riuscito a sovvertire), non hanno fatto altro che contribuire alla carenza di domanda aggregata, alla conseguente stagnazione e all’esplosione della disoccupazione.
Come spiegare, allora, la grancassa mediatica su un tema che, una volta confrontato con i dati e con la realtà, si sgonfia sensibilmente? Ci sono diversi ordini di ragioni.
C’è, prima di tutto, una ragione politica generale, che coincide con il tentativo di veicolare un messaggio semplice e velenoso: se non lavori, la colpa è tua, della tua pigrizia e del tuo desiderio di non guadagnarti il pane con il sudore della tua fronte. A questo messaggio si annette tutta la retorica del sacrificio e della ‘gavetta’ come strumenti di accrescimento personale.
C’è, in secondo luogo, anche una specifica ragione politica contingente dietro i lamenti del padronato italiano che non riuscirebbe a trovare lavoratori cui elargire la propria benevolenza. Tali lamenti hanno a che fare con l’ennesimo tentativo di provare a strappare ulteriori misure di precarizzazione del mercato del lavoro, che da strumento tramite cui sfruttare ulteriormente il lavoratore diventano magicamente la via che consentirebbe un migliore ‘allineamento’ tra domanda e offerta di lavoro.
Per finire, non si può non notare la sinistra coincidenza temporale con la tragedia di Cutro, usata dal caporale di turno per dare ancora una volta linfa allo stesso odioso refrain di sempre: il migrante non ci interessa in quanto essere umano, ma ci serve solamente come schiavo per farsi carico dei lavori a salario da fame che gli italiani non vogliono fare, uno schiavo debitamente disciplinato preventivamente a suon di morti in mare.
Rapporto Migrantes: +87% dei giovani italiani che “Emigrano
I lavoratori “introvabili” della ristorazione trovano condizioni migliori e continuano a fuggire all’estero
Sono lavoratori introvabili: nella ristorazione e nel turismo tutti li cercano ma i colloqui vanno deserti oppure non si concludono con assunzioni. Da una parte, datori di lavoro e chef stellati che accusano reddito di cittadinanza e scarsa voglia di lavorare dei giovani. Dall’altra i candidati, che spesso si vedono offrire salari da fame. Sabrina Sassanelli, 18enne della scuola alberghiera di Bari, ha deciso di andarsene all’estero. Sbarcherà a luglio in Germania come aiuto cuoco
“Parto a fine luglio, andrò a fare l’aiuto cuoco in Germania” racconta a Dealogando Sabrina Sassanelli, 18enne di Bari all’ultimo anno di alberghiero. Non fa parte degli introvabili della ristorazione perché l’offerta non è arrivata dopo un periodo di ricerca, ma a proporla “è stata la mia professoressa”. Nell’isola di Fehmarn, nel mar Baltico, dove andrà a prestare servizio Sabrina, le condizioni di lavoro sono buone. “Si parte da una base di 12 euro l’ora, per cinque giorni a settimana, perché i weekend sono liberi”. Il totale mensile si aggira sui 2mila euro, “e comunque si tratta solo di un inizio perché se le tue capacità aumentano in parallelo lo fa anche lo stipendio” precisa lei. Che si pronuncia anche sulle polemiche relative agli introvabili della ristorazione delle scorse settimane. A sollevare il polverone era stato lo chef stellato Alessandro Borghese, noto per essere anche figlio dell’attrice Barbara Bouchet: “Non ho nessun problema nel dire che lavorare per imparare non significa essere per forza pagati” aveva dichiarato. Destinatari del J’accuse i giovani di oggi poco propensi a faticare, contro invece i suoi anni di gavetta gratuita prima di raggiungere il successo.
Lavoratori introvabili
A dire la loro sulla vicenda si erano poi aggiunti lo chef La Mantia, che ha affermato di pagare il personale 22mila euro lordi l’anno ma di non trovare candidati, mentre di opposto parere era stato Lino Banfi: “Nella mia orecchietteria” aveva dichiarato, “continuiamo ad assumere, i giovani hanno voglia di lavorare”. Effettivamente però la mancanza di personale nel settore del turismo e della ristorazione continua a essere un dato. Solo qualche settimana fa Anpal e Unioncamere certificavano ben 387mila posti vacanti per i servizi di alloggio, ristorazione e turistici. Il tutto con un tasso di disoccupazione in Italia all’8,3% che per i giovani tocca il 24,5%, alle ultime posizioni tra i 27 Paesi della Ue. A patire di più per i lavoratori introvabili il comparto dei pubblici esercizi: a risultare di difficile reperimento sono 194mila lavoratori per tornare ai livelli del 2019. Secondo l’ufficio studi di Fipe-Confcommercio si sono perse 244mila risorse nel 2020, di cui 116mila con contratti a tempo indeterminato, mentre nel 2021 si sono recuperate poco meno di 50mila unità. E tra le figure più difficili da individuare, ci sono proprio il personale di sala, l’aiuto cuoco e il barman.
In Italia non si arriva a mille euro al mese
“La verità è che qui da noi non si arriva neanche a mille euro al mese di stipendio per servizi in questo ambito”, afferma Sabrina. “Sul contratto trovi segnate magari sei ore nel ruolo di cameriere o aiuto cuoco, ma in realtà ne fai molte di più, pur essendo pagato solo per quelle”. E magari “ti occupi di mansioni non previste dal contratto, come le pulizie”. In Germania, dove si trasferirà a breve, non funziona così. “Dopo il tuo turno vieni mandato via, sono loro a dirtelo”. E se si sfora, “allora anche i dieci minuti in più ti verranno retribuiti”. Non c’è da stupirsi insomma se da noi i candidati sono introvabili, e in tanti optano per il reddito di cittadinanza. “Se si percepiscono 5-600 euro al mese, che è magari la stessa cifra che offre un bar, è normale che si preferisca non lavorare”. Ma non perché manchi la voglia, o la necessità. Sabrina ne è certa: “Noi giovani non vogliamo pesare sulle spalle dei genitori, cerchiamo l’indipendenza per mantenerci anche nelle nostre uscite”. Non a caso tutti i suoi amici “sono in cerca di lavoro”. E in Germania, dice, “resterò se le condizioni saranno davvero dignitose come quelle indicate nel contratto”.
Nel post pandemia offerte ovunque ma candidati introvabili
Nel frattempo in Italia il comparto è in piena crisi. Le offerte di lavoro “sono ovunque” conferma Sabrina, tanta è la necessità di assumere personale all’apparenza introvabile. I due anni di pandemia hanno bloccato il settore del turismo e della ristorazione, che adesso è in ripartenza ma arranca. Basta fare un giro nelle città per trovare appesi alle vetrine degli esercizi gli annunci per raccogliere candidature. Ma per avere il polso della situazione è sufficiente anche scorrere i post sui gruppi Facebook di domanda e offerta di lavoro. Sono decine e decine ogni giorno. A prima vista, almeno da lì, le condizioni non sembrano sempre in odor di sfruttamento.
La giungla degli annunci di lavoro
Solo per fare qualche esempio, c’è Fabio, che scrive: “Cercasi per stagione estiva da giugno in Ventotene, isola del Lazio, ragazza per gelateria, per addetta vendita e laboratorio. Per tutte le info contattateci. 1500 euro mensili”. Non si specificano però orari e turni. E ancora, posta Lorenzo: “Cercasi cuoco da inserire nello staff per assunzione immediata annuale a Formia, provincia di Latina. Vitto, alloggio, giugno luglio e agosto, 2.500 euro al mese da settembre in poi 2.200”. Di nuovo, nulla si dice in fatto di orari.
E poi Luca, ancora più vago: “Per azienda operante nel settore del food, situata a Capena, a pochi chilometri da Roma nord, siamo alla ricerca di personale per ampliamento organico. Ricerchiamo camerieri, aiuto pasticcere, pizzaiolo, addetti al lavaggio, banchista bar/barman. Offriamo contratto secondo ccnl con livello in base all’esperienza, puntualità nei pagamenti”. Sarà per questo che c’è chi mette le mani avanti. Un utente scrive: “Cerco lavoro come cameriere in tutta Italia con vitto e alloggio incluso e partenza immediata”. La retribuzione richiesta è di 65 euro netti al giorno, “non contattatemi se offrite di meno”.
Fonti : toba60.com & dealogando.com & coniarerivolta.org & kulturjam.it
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