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Gli Olocausti Censurati che Farebbero Annichilire quello Perpetrato agli Ebrei

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Dopo la fine: Chi ha messo il male a Bad Kreuznach?

Alla fine della guerra non esisteva alcun “trattato di pace”. I prigionieri di guerra tedeschi furono etichettati come “forze nemiche disarmate” (DEF) piuttosto che come “prigionieri di guerra”, al fine di eludere le disposizioni della Convenzione dell’Aia sulla guerra terrestre che imponevano un trattamento umano, compresa quella che affermava che: “Dopo il trattato di pace, i prigionieri di guerra devono essere rilasciati in patria nel più breve tempo possibile”. Grazie a questa manipolazione della giustizia, i prigionieri di guerra tedeschi potevano essere portati nelle terre dei loro ex nemici e utilizzati come manodopera schiavizzata per lunghi periodi, spesso a costo della vita a causa delle dure difficoltà incontrate prima, durante e dopo il transito. Inoltre, un soldato tedesco designato come DEF non aveva diritto ad alcun cibo, acqua o riparo e poteva, come molte migliaia di persone, morire in pochi giorni.

Metà dei prigionieri di guerra tedeschi in Occidente furono imprigionati dalle forze statunitensi e metà da quelle britanniche. Il numero di prigionieri raggiunse una proporzione così grande che i britannici non poterono accettarne altri e gli Stati Uniti istituirono di conseguenza il Rheinwiesenlager dall’aprile al settembre del 1945, dove costruirono rapidamente una serie di “gabbie” in prati aperti e li recintarono con filo spinato. Uno di questi famigerati campi si trovava a Bad Kreuznach, dove i prigionieri tedeschi venivano ammassati in spazi aperti senza servizi igienici, tende o ripari. Dovevano scavare spazi per dormire nel terreno a mani nude e in alcuni casi c’era a malapena lo spazio per sdraiarsi.

Nella gabbia di Bad Kreuznach, fino a 560.000 uomini sono stati internati in un’area congestionata, senza cibo, acqua, riparo o servizi igienici adeguati e sono morti come mosche per malattie, esposizione e infermità dopo essere sopravvissuti con meno di 700 calorie al giorno. A Bad Kreuznach ci sono 1.000 tombe ufficiali, ma si sostiene che ci siano fosse di massa che sono rimaste off limits alle indagini.

Solo nell’autunno del 1945, dopo che la maggior parte dei campi era stata chiusa o era in procinto di esserlo, la Croce Rossa ottenne il permesso di inviare delegazioni a visitare i campi nelle zone di occupazione francese e britannica e di fornire finalmente minuscole quantità di aiuti; solo il 4 febbraio 1946 la Croce Rossa fu autorizzata a inviare anche solo un piccolo aiuto ad altri campi nella zona di occupazione statunitense. Il tasso di mortalità dei prigionieri in questi campi americani era a quel punto del 30% all’anno, secondo un’indagine medica statunitense, ma quasi tutti i registri superstiti dei campi di sterminio della Renania sono stati distrutti.

Ci furono anche numerosi incidenti durante il trasporto. Poche settimane dopo la fine ufficiale della guerra, il 16 luglio 1945, un treno merci militare statunitense che trasportava carri armati nei pressi di Monaco di Baviera ricevette il segnale di procedere da un segnalatore americano, nonostante il binario davanti fosse bloccato da un treno che trasportava prigionieri di guerra tedeschi e che si era fermato per un guasto al motore. Il treno si schiantò contro di esso e uccise 96 soldati tedeschi.

Alla fine di giugno 1945 i primi campi di Remagen, Böhl-Ingelheim e Büderich furono sciolti. Lo SHAEF offrì i campi ai francesi, che volevano 1,75 milioni di prigionieri di guerra da utilizzare come manodopera schiavizzata. A luglio, Sinzig, Andernach, Siershahn, Bretzenheim, Dietersheim, Coblenza, Hechtzheim e Dietz, tutti contenenti migliaia di prigionieri, furono consegnati alla Francia. Nella zona britannica, i prigionieri di guerra in grado di lavorare furono trasferiti in Francia e gli altri furono rilasciati. Alla fine di settembre 1945 tutti i campi iniziali furono sciolti.

A un certo punto, 80.000 prigionieri di guerra al mese avrebbero dovuto essere restituiti dalla prigionia statunitense e scaricati nelle zone alleate della Germania come parte degli 1,3 milioni assegnati alla Francia per il “lavoro di riabilitazione” (lavoro schiavo), ma dopo che la Croce Rossa riferì che 200.000 dei prigionieri già in mano francese erano così denutriti da non essere adatti al lavoro e da rischiare di morire durante l’inverno, gli Stati Uniti bloccarono tutti i trasferimenti di prigionieri alla custodia francese fino a quando i francesi non li avrebbero mantenuti in conformità con la Convenzione di Ginevra.

Si stima che tra i 700.000 e il milione di uomini siano morti nel solo periodo di prigionia nei campi americani e francesi dal 1945 al 1948. Tuttavia, le stime sono molto più elevate e i tentativi di scoprire la verità su questi campi in tempi moderni, così come gli scavi dei siti delle fosse comuni, sono stati vigilmente ostacolati, tra gli altri, dal governo tedesco. Non si sa quanti siano morti sotto i rapitori britannici, ma documenti recentemente declassificati indicano torture e abusi diffusi. Sotto tutti loro, molti dei prigionieri sono stati utilizzati per svolgere lavori pericolosi, come il lavoro con materiali pericolosi e lo spazzamento delle mine, in totale disprezzo della legge.

In totale, 5.025 uomini e donne tedeschi sono stati condannati per crimini di guerra tra il 1945 e il 1949 nelle zone americane, britanniche e francesi dai processi per crimini di guerra degli Alleati. Oltre 500 furono condannati a morte e la maggior parte fu giustiziata, tra cui 21 donne.

A sangue freddo

Molti soldati tedeschi alla fine dei combattimenti cercarono disperatamente di raggiungere un luogo dove poter essere fatti prigionieri dagli americani piuttosto che dai russi. Alcuni si misero in salvo nuotando, correndo o strisciando. Altri ricorsero a rubare jeep americane o ad indossare uniformi americane per raggiungere l’obiettivo e, una volta catturati, furono solitamente trattati come spie e giustiziati.

Se catturati in piccoli gruppi, la politica non ufficiale dell’esercito americano era quella di massacrare i prigionieri dove si trovavano, se erano SS. I più grandi massacri (attualmente riconosciuti) per mano degli americani furono l’uccisione di 700 soldati dell’8a Divisione da Montagna delle SS che si era arresa, le atrocità compiute contro la Brigata SS Westfalia che si era arresa, in cui la maggior parte dei prigionieri tedeschi fu uccisa con un colpo di pistola alla nuca, e il mitragliamento di 300 guardie del campo di Dachau che si erano arrese. Ci fu anche un presunto omicidio di massa di ben 48 prigionieri tedeschi arresi, catturati il 15 aprile 1945 a Jungholzhausen. Un testimone oculare ha dichiarato: “Gli americani costrinsero i tedeschi a camminare davanti a loro con le mani alzate, a gruppi di quattro. Poi hanno sparato ai prigionieri in testa da dietro”. I corpi sono stati caricati su un camion e portati via. La questione è ancora “sotto inchiesta”! Ci furono altri episodi di illegalità e di vero e proprio omicidio.

Una fossa comune fuori Norimberga, scoperta dopo la guerra, conteneva i corpi di circa 200 soldati delle SS. Le autopsie rivelarono che la maggior parte di essi era stata colpita a distanza ravvicinata o picchiata a morte dai mozziconi di fucile della Settima Armata statunitense. Nel villaggio di Eberstetten, 17 soldati tedeschi della Divisione “Gotz von Berlichingen” furono fucilati dopo essersi arresi alle truppe statunitensi. 14 membri della 116ª Divisione Panzer furono fatti marciare per le strade di Budberg l’8 aprile 1945 fino al posto di comando della 95ª Divisione di Fanteria statunitense, dove furono allineati e fucilati. Tre furono feriti e riuscirono a fuggire.

Il 13 aprile 1945, la fanteria statunitense entrò nel villaggio di Spitze, vicino a Colonia, e fece radunare gli abitanti del paese davanti alla chiesa. 20 soldati tedeschi tra loro, membri di un’unità antiaerea di stanza nel villaggio, vennero separati e fatti marciare per diverse centinaia di metri fino a un campo appena fuori dal villaggio, dove vennero allineati e falciati dal fuoco delle mitragliatrici. L’esercito americano ordinò ai civili di scavare tombe e seppellire i morti. Nel 1995 è stato costruito un monumento commemorativo per le vittime.

Alcune decine di prigionieri di guerra tedeschi disarmati furono uccisi a sangue freddo dalle forze americane vicino al villaggio di Chenogne, in Belgio, il 1° gennaio 1945. I resoconti del massacro indicano che si trattò di una vendetta per l’incidente chiamato “massacro di Malmedy”, avvenuto un paio di settimane prima altrove. Si dice che un’unità americana abbia impartito l’ordine di non fare prigionieri né le SS né i paracadutisti, ma di sparare a vista”.

L’autore Martin Sorge scrive: “Fu sulla scia dell’incidente di Malmedy a Chegnogne che il giorno di Capodanno del 1945 circa 60 prigionieri di guerra tedeschi furono fucilati a sangue freddo dalle loro guardie americane. I colpevoli rimasero impuniti. Si ritenne che alla base della loro azione ci fosse l’ordine di non fare prigionieri”. Una storia ufficiale pubblicata dal governo degli Stati Uniti nega questo fatto.

Un testimone oculare di John Fague della Compagnia B, 21° Battaglione di Fanteria Corazzata (dell’11° Divisione Corazzata), vicino a Chenogne, descrive l’uccisione di prigionieri tedeschi da parte dei soldati americani: “Dopo un’ora di riposo ricevemmo l’ordine di tornare indietro attraverso la città e di raggiungere i nostri veicoli dall’altra parte della città. Ci formammo in una specie di colonna e tornammo indietro. Mentre salivamo la collina fuori città, so che alcuni dei nostri ragazzi stavano allineando i prigionieri tedeschi nei campi su entrambi i lati della strada. Ci saranno stati 25 o 30 ragazzi tedeschi in ogni gruppo. Venivano piazzate delle mitragliatrici. Questi ragazzi dovevano essere mitragliati e uccisi. Stavamo commettendo gli stessi crimini di cui accusavamo i giapponesi e i tedeschi. In quel momento non mi resi conto del terribile significato di ciò che stava accadendo. Dopo le uccisioni e la confusione di quella mattina, l’idea di uccidere altri crucchi non mi preoccupava particolarmente. Non volevo partecipare alle uccisioni. La mia principale preoccupazione era che i tedeschi nascosti nei boschi vedessero questo massacro e che noi ricevessimo un trattamento simile se fossimo stati catturati. Ho voltato le spalle alla scena e ho proseguito verso la collina”.

Nel 1945, migliaia di prigionieri di guerra tedeschi furono stipati in veicoli dell’esercito americano che attraversavano città come Norimberga ed Emskirchen (sotto). Spesso viaggiavano per centinaia di chilometri senza potersi sedere e senza soste per il cibo, il riposo o i soccorsi. Centinaia di prigionieri tedeschi furono rinchiusi in campi americani improvvisati. Alcuni furono inviati in campi, pozzi di fango, cave e altri inferni. Le foto qui sotto mostrano l’ampiezza della situazione.

Sotto, dall’alto in basso: Prigionieri di guerra tedeschi del 1945 nella loro nuova casa di Verdun, in Francia; prigionieri di guerra catturati in Francia; circa 250.000 tedeschi (tra cui la maggior parte dell’Afrika Korps) e italiani che si arresero a Tunisi nel maggio 1943, presi come prigionieri di guerra dove soffrirono in grandi recinti nel caldo del deserto (molti sopravvissuti furono poi inviati in Egitto e in campi negli Stati Uniti e altrove). Prigionieri di guerra catturati maltrattati dalla folla. Infine, la foto di sorveglianza dell'”incidente del pane avvelenato”. Il New York Times riporta: “NUREMBERG, Germania, 22 aprile (AP) Le autorità dell’esercito americano hanno dichiarato questa sera che altri prigionieri di guerra tedeschi sono stati colpiti da avvelenamento da arsenico, portando a 2.283 il numero dei malati in un misterioso complotto contro 15.000 ex uomini della Guardia d’Elite nazista rinchiusi in un campo vicino a Norimberga. “E il 23 aprile 1946, si legge: “IL TALCO DI AVVELENAMENTO DEI NAZISTI E’ DI 2.283; Bottiglie di arsenico trovate da agenti statunitensi nella panetteria di Norimberga che serviva il campo di prigionia”.

Molti dei prigionieri di guerra tedeschi erano solo ragazzi quando furono catturati e quindi erano in grado di sopravvivere meglio alle brutali condizioni di lavoro schiavo sotto i comunisti. Quando finalmente tornarono “a casa”, molti di loro non avevano una famiglia vivente, né una patria, né un ringraziamento per il loro sacrificio, poiché è politicamente scorretto onorare i soldati tedeschi. Nel 1955, nel campo di Friedland, in Germania Ovest, gli ultimi prigionieri di guerra tedeschi (ufficiali) sopravvissuti furono finalmente liberati dall’Unione Sovietica dopo 10 lunghi e duri anni di schiavitù, e arrivarono cantando un inno che viene cantato in innumerevoli chiese in tutto il mondo e in molte lingue.

Si tratta dell’antico inno di ringraziamento tedesco “Nun danket alle Gott”, scritto molto tempo fa da un ministro luterano di Eilenburg, in Sassonia, di nome Martin Rinkart, figlio di un povero ramaio. L’inno era originariamente intitolato “Tisch-Gebetlein”, ovvero “piccola preghiera prima del pasto” e questa umile preghiera ha una storia sorprendente ed è stata cantata in molte occasioni forti.

Durante la Guerra dei Trent’anni, la città fortificata di Eilenburg vide riversarsi alle sue porte folle dolorose di rifugiati in cerca di rifugio dalla carneficina. L’esercito svedese circondò la città e la carestia e la peste si abbatterono su di essa con un terribile tributo. Nel primo anno, migliaia di persone morirono. Tutti i consiglieri comunali, tranne tre, morirono insieme a decine di bambini delle scuole. Seppellendo più di cinquanta persone al giorno, i pastori della città soccombettero uno dopo l’altro, finché Rinkart rimase l’unico. La città non fu in grado di pagare l’enorme riscatto richiesto dagli svedesi come denaro di protezione e la carestia che seguì la pestilenza fu così grave che la gente si azzuffò per le strade per un animale o un uccello morto. Rinkart, ancora addolorato per la morte della moglie e senza alcun riguardo per la sua sicurezza personale, lasciò la sicurezza delle mura per chiedere pietà.

Il comandante svedese fu così colpito dal suo coraggio che modificò le sue richieste. Nonostante le perdite subite da Rinckart fossero così ingenti da permettergli di sfamare a malapena i suoi figli e di ipotecare le sue future entrate per diversi anni, egli scrisse questo inno per una funzione di ringraziamento, mentre la guerra stava finendo. Verso la fine del XVII secolo, la canzone fu inserita in molti libri di canti delle chiese protestanti in Germania. Il brano ha subito innumerevoli adattamenti musicali, tra cui quelli di Pachelbel, Telemann, Bach, Liszt, Reger e altri. Questo inno fu cantato anche dai dissenzienti di Leida prima di imbarcarsi sul Mayflower verso il Massachusetts.

Nel XVIII secolo era famoso come “Inno di Leuthen”, in riferimento alla Guerra dei Sette Anni, quando il 5 dicembre 1757 l’esercito prussiano guidato da Federico il Grande sconfisse gli austriaci nella battaglia di Leuthen. Le perdite a Leuthen furono elevate da tutte le parti: 3.000 morti e 7.000 feriti da parte austriaca e più di 1.000 morti e più di 6.000 feriti da parte prussiana. Dopo l’accesa battaglia, un soldato prussiano iniziò a cantare “Nun danket alle Gott” e improvvisamente l’intero esercito prussiano, che contava fino a 25.000 uomini, si unì spontaneamente all’inno di ringraziamento. In seguito, fu la “canzone tema” dei Mennoniti in fuga dalle persecuzioni in Russia negli anni Venti.

Rendere grazie a Dio

Una nota interessante: dopo la guerra, molti veterani tedeschi si unirono alla Legione straniera francese, alcuni reclutati direttamente dai campi di prigionia. Altri erano uomini che non avevano una casa dove tornare. Molto apprezzati dai francesi per la loro disciplina e il loro coraggio, dopo il 1945 la Legione straniera francese era composta per il 70% da ex soldati tedeschi. I tedeschi mantenevano i propri sergenti e parlavano quasi esclusivamente tedesco. Dal 1945 al 1954 la Legione straniera reclutò 30.000-35.000 tedeschi. Durante la prima guerra d’Indocina circa il 40-50% del personale della LE nel Sud-Est asiatico era tedesco e tra gli ultimi 7.000 soldati che lasciarono il Vietnam nel 1954 dopo il trattato di pace, 1.600 erano tedeschi.

L’ordine di sterminio di Eisenhower.

“Mai così tanta gente era stata messa in prigione. Il numero dei prigionieri fatti dagli alleati era senza precedenti nella storia. I Sovietici fecero prigionieri circa 3,5 milioni di europei, gli Americani circa 6,1 milioni, i Britannici circa 2,4 milioni, i Canadesi circa 300.000, i Francesi circa 200.000. Milioni di giapponesi furono catturati dagli Americani nel 1945, più altri 640.000 circa dai Sovietici”.

L’ordine di Eisenhower fu esposto anche in inglese, tedesco e polacco nella bacheca del quartier generale del governo militare in Baviera, firmato dal Capo di stato maggiore del governatore militare di Baviera. In seguito fu affisso in polacco a Straubing e a Regensburg, dove si trovavano numerose compagnie di soldati polacchi nei campi vicini. Un ufficiale dell’Esercito americano che lesse quest’ordine nel Maggio 1945, scrisse che “era l’intenzione del comando d’armata, per quanto riguarda i campi dei prigionieri di guerra tedeschi nella zona americana, dal Maggio 1945 fino alla fine del 1947, di sterminare il più alto numero possibile di prigionieri di guerra fintanto che la cosa rimaneva al di fuori del controllo internazionale”.

La politica dell’esercito americano era di affamare i prigionieri, secondo il parere di numerosi soldati americani che si trovavano sul posto. Martin Brech, professore di filosofia in pensione del Mercy College di New York, che fu guardiano ad Andernach nel 1945, ha raccontato che un ufficiale gli disse che “era la nostra politica di non dare da mangiare a questi uomini”. I 50 – 60.000 uomini ad Andernach morivano di fame, vivendo senza ripari in buche scavate nella terra, tentando di nutrirsi con dell’erba. Quando Brech passò loro di nascosto del pane attraverso il filo spianto, un ufficiale gli ordinò di smettere. In seguito Brech vece avere loro dei viveri, si fece catturare e lo stesso ufficiale gli disse: “se lo rifai verrai fucilato”. Brech vide dei cadaveri venire portati via dal campo “dal camion di servizio”, ma non gli dissero mai quanti erano, dove venivano sepolti e come.

Il prigioniero Paul Schmitt fu ucciso nel campo americano di Bretzenheim dopo essersi avvicinato al filo spianto per vedere sua moglie ed il figlioletto che gli portavano un cesto di viveri. I Francesi non furono da meno: Agnès Spira fu uccisa da sentinelle francesi a Dietersheim nel Luglio 1945 per aver portato del cibo ai prigionieri. Il suo memoriale vicino a Budesheim, scritto da uno dei figli, dice: “il 31 Luglio 1945, mia madre mi fu strappata improvvisamente e inaspettatamente a causa delle sue buone azioni nei confronti dei soldati prigionieri”. La nota nel registro della chiesa cattolica dice semplicemente: “una morte tragica, uccisa a Dietersheim il 31.07.1945. Sepolta il 3.08.1945”.  Martin Brech vide con sorpresa un ufficiale appostato su di una collina ad Andernach che sparava su donne tedesche che fuggivano correndo nella vallata sottostante. Il prigioniero Hans Scharf vide una donna tedesca con i suoi due bambini venire verso una sentinella americana nel campo di Bad Kreuznach, portando una bottiglia di vino. Lei chiese alla sentinella di dare la bottiglia a suo marito che si trovava appena oltre il filo spinato. La sentinella si portò alla bocca la bottiglia e quando fu vuota la gettò a terra ed uccise il prigioniero con cinque colpi d’arma da fuoco.

Numerosi prigionieri e civili tedeschi videro le sentinelle americane bruciare il cibo portato dalle donne. Di recente, un ex prigioniero descrisse quanto segue: “Le donne della città più vicina portarono del cibo nel campo. I soldati americani lo confiscarono facendone un solo mucchio, versandovi sopra della benzina bruciandolo”. Eisenhower stesso ordinò che il cibo venisse distrutto, secondo lo scrittore Karl Vogel che era il comandante del campo tedesco, nominato dagli americani nel campo N° 8 a Garmisch-Partenkirchen. Nonostante i prigionieri ricevessero soltanto 800 calorie al giorno, gli americani distruggevano il cibo davanti al cancello del campo.

James Bacque, Crimes and Mercies: the Fate of German Civilians Under Allied Occupation, 1944-1950. (Crimini e pietà: il destino dei civili tedeschi sotto l’occupazione alleata, 1944-1950), pag. 41-45, 94-95

“Il 20 Aprile era un giorno di forte maltempo. La pioggia e la neve si mescolavano al gelido vento del nord che spazzava la vallata del Reno fino al campo, situato in pianura. Dietro ai fili spinati ci attendeva uno spettacolo orribile: stretti fortemente gli uni agli altri per riscaldarsi, circa 100.000 detenuti stravolti, apatici, sporchi, emaciati, dallo sguardo vuoto, vestiti in uniformi grigie, se ne stavano in piedi, impantanati nel fango fino alle caviglie. Qui e la si intravedeva un bianco sporco che, in un secondo momento, si rivelò essere uomini con la testa o le braccia fasciate da bende, o semplicemente da una manica di camicia. Il comandante tedesco di divisione ci informò che i prigionieri non mangiavano da più di due giorni e che l’approvvigionamento di acqua rappresentava un importante problema proprio mentre a meno di 200 metri il Reno scorreva a letto pieno”.

“Resoconto di una visita ad un campo di prigionia di prigionieri di guerra tedeschi nelle mani dell’esercito americano”, del Colonnello James B. Mason e il Colonnello Charles H. Beasley, del Servizio Sanitario Militare degli Stati Uniti, pubblicato nel 1950.

“Nell’Aprile 1945, centinaia di migliaia di soldati tedeschi, malati catturati negli ospedali, invalidi, donne ausiliarie e civili furono fatti prigionieri. A Rheinberg c’era un detenuto di 80 anni e un altro di 9 anni. Avendo come sola compagnia una sete atroce ed una fame lancinante, i prigionieri morivano di dissenteria. Senza sosta, un cielo ben poco clemente, rovesciava su di essi, per settimane, torrenti di pioggia. Gli invalidi scivolavano nel fango come degli anfibi, bagnati e congelati fino alle ossa. Senza il minimo riparo, giorno dopo giorno, notte dopo notte, giacevano sulla sabbia di Rheinberg, abbandonati alla disperazione, oppure si addormentavano sfiniti dentro alle loro buche le cui pareti cedevano, prima di sprofondare nell’eternità”.

Heinz Janssen, Prigionieri di guerra a Rheinberg, 1988

“Non potevamo nemmeno stenderci completamente. Restavamo seduti tutta la notte, pigiati gli uni contro gli altri. Ma niente era peggio della mancanza di acqua. Per ben tre giorni e mezzo non ci è stata data acqua. Bevevamo la nostra urina. Il gusto era orribile, ma che cosa potevamo fare altrimenti? Alcuni di noi abbassavano la testa al suolo e lo leccavano per tentare di ricavarne un po’ di umidità. Mentre ero già molto debole e riuscivo soltanto a mettermi sulle ginocchia, ci hanno finalmente distribuito dell’acqua. Penso che sarei morto senza quell’acqua. E il Reno si trovava appena oltre i fili spinati. Attraverso il reticolato, le sentinelle ci vendevano acqua e sigarette. Una sigaretta costava 900 Marchi. Ho visto morire migliaia di miei compagni. Portavano via i loro corpi su dei camion”.

George Weiss, testimonianza raccolta da James Bacque, 1988

“Ci tenevano in recinti con filo spinato, all’aria aperta e praticamente senza cibo. Le latrine erano costituite da assi gettate sopra a delle fosse, vicino ai fili spinati.  Per dormire non avevamo altra scelta che scavare un buco per terra con le nostre mani e poi di stringerci gli uni contro gli altri nel fondo. Non avevamo praticamente spazio vitale. A causa della malattia, gli uomini dovevano defecare per terra. Ben presto, molti di noi si sono sentiti troppo deboli per alzarsi i pantaloni prima che fosse troppo tardi. I nostri vestiti erano infettati e così anche il fango nel quale bisognava camminare, sedersi e coricarsi. All’inizio non c’era acqua, a parte la pioggia; nel giro di due settimane fu possibile averne un po’ tramite un rubinetto. La maggior parte di noi non aveva un recipiente per raccoglierla e potevamo ingurgitarne solo un po’ dopo ore di coda e talvolta anche dopo una notte di attesa.

Dovevamo camminare in mezzo alle buche, sui mucchi di terra molle dovuti agli scavi dei prigionieri per ripararsi. Era facile cadere dentro alle buche, ma non altrettanto facile uscirne. In quella primavera piovve quasi di continuo in questa parte della valle del Reno. Per oltre la metà del tempo abbiamo avuto pioggia. Per più della metà del tempo non abbiamo avuto niente da mangiare. Per il resto ci veniva data una piccola razione K. Dalla lista stampata sulla confezione mi rendevo conto che ci veniva dato solo un decimo del contenuto di queste razioni prodotte in America. In definitiva noi ricevevamo forse il 5% di una normale razione dell’esercito americano. Mi sono lamentato col comandante del campo, un americano, dicendogli che stava violando la Convenzione di Ginevra, ma questi mi ha risposto semplicemente: “dimentica la convenzione, tu non hai alcun diritto”. Nel giro di qualche giorno, uomini in buona salute al loro arrivo al campo, erano già morti. Ho visto i nostri compagni trascinare numerosi cadaveri fino ai cancelli del campo, dove veniva ammassati uno sull’altro, stessa cosa succedeva su un camion che li portava via”.

Charles von Luttichau, testimonianza raccolta da James Bacque, 1988

“Siccome eravamo circa una trentina, credevamo che il viaggio sarebbe durato un giorno, invece abbiamo viaggiato per tre giorni interi, senza uscire, completamente chiusi. Guardavamo attraverso delle piccole fessure per sapere dove ci trovavamo. Dopo tre giorni arrivammo a Rennes. Nel campo c’erano più di 100.000 prigionieri, all’incirca lo stesso numero degli abitanti della città. Nelle baracche c’erano dei letti, i primi che vedevamo dopo settimane. Erano in legno, sovrapposto su tre piani, senza niente, ne paglia ne nient’altro. Si dormiva sulle assi.

Era la prima volta che avevamo un tetto sulla testa da quando eravamo stati catturati. Avevamo trascorso tre settimane a Kreuznach, sul terreno, senza il permesso di accendere un fuoco o di scavare buche, e il nostro solo lavoro durante il giorno era quello di fare la coda per un po’ d’acqua. Questa veniva portata da dei contadini dentro a dei barili ma talvolta si esauriva prima ancora di essere messa nei barili perché la gente faceva dei buchi nei tubi e si affrettavano a bere. Il cibo mancava totalmente. Quando arrivavano i piselli, venivano divisi fra di noi e, una volta fatte le parti, ne restavano alcuni a testa. Tutti contavano e se ce n’erano sei a testa, beh allora si aspettava di arrivare a sei e mezzo.

Siamo rimasti a Rennes per otto mesi. Quando gli americani hanno lasciato il campo, ebbero un comportamento schifoso nei confronti dei francesi, i quali si sono vendicati su di noi. Avevo trovato un pezzo di tessuto in una delle baracche e potevo scriverci sopra. Mi sono accorto di capire tutto quello che scrivevo ma, una volta che lo cancellavo, questo si cancellava anche dalla mia memoria. Non ricordarsi le cose era il primo segno di sfinimento.

Era terribile, cancellavo e non ero più in grado di ricordare ciò che avevo appena scritto e compreso. Non ero depresso, era soltanto la malnutrizione. Poi, quando la debolezza la faceva veramente da padrona e che il minimo movimento ci faceva svenire, si calcolava quanto tempo si restava svenuti. La malnutrizione era diventata così grave che il benché minimo gesto, fatto troppo velocemente, ci faceva svenire. Il cibo era talmente raro che le persone in generale erano ammalate e quando ci ammalavamo ci portavano all’ospedale. Quando le persone venivano portato in ospedale non le vedevamo mai ritornare. Dei 100.000 prigionieri detenuti a Rennes, ce ne fu sicuramente una parte che morì e anche una buona parte, ma io non ho mai trovato il benché minimo cimitero.

Non abbiamo mai visto la Croce Rossa. Nessuno è mai venuto ad ispezionare il campo per due anni. La loro prima visita avvenne nel 1947 per portarci delle coperte. Si mangiava l’erba che cresceva fra le baracche. I francesi non erano i soli responsabili di ciò che succedeva nei campi in Francia poiché avevano ricevuto molti tedeschi con la salute già  considerevolmente compromessa in seguito a maltrattamenti ricevuti in Germania (nei campi americani)”.

Heinz T., testimonianza raccolta da James Bacque

“ E’ esattamente come nelle fotografie di Buchenwald e Dachau “.

Rapporto del Cap. Julien, 3° Reggimento tiratori scelti algerini, Luglio 1945

Robert Murphy (consigliere politico civile del Gen. Eisenhower), dopo la visita ad un campo di prigionia durante l’estate del 1945.

“ La situazione dei prigionieri di guerra tedeschi in Europa è diventata disperata e rischia di diventare uno scandalo dichiarato. Nel corso delle ultime settimane, molti francesi, ex prigionieri dei tedeschi, mi hanno inviato note di protesta relative al trattamento che il governo francese impone ai prigionieri di guerra tedeschi. Ho incontrato Pradervand (principale Delegato del Comitato della Croce Rossa in Francia, il quale mi ha detto che la situazione dei prigionieri tedeschi in Francia è, in numerosi casi, peggiore di quella dei campi di concentramento tedeschi. Mi ha mostrato delle foto di scheletri viventi e lettere provenienti da comandanti di campi francesi che hanno richiesto di essere sollevati da questa responsabilità in quanto non riescono ad avere nessun aiuto dal governo francese e non sopportano di vedere i prigionieri morire d’inedia. Pradervand ha bussato a tutte le porte nell’ambito del governo francese senza ottenere però il benché minimo risultato”.

Lettera di Henry W. Dunning (responsabile della Croce Rossa americana) indirizzata al Dipartimento di Stato, il 5 Settembre 1945

“Apprendiamo che in alcuni campi (francesi), buona parte del cibo, in linea di massima sufficiente e destinata ai prigionieri di guerra, viene dirottato dalla sua destinazione; che si vedono camminare scheletri viventi simili a quelli dei deportati nei campi tedeschi e che i morti per inedia sono numerosi; che apprendiamo che capita a questi prigionieri di essere picchiati selvaggiamente e sistematicamente; apprendiamo che vengono impiegati alcuni di questi sfortunati per dei lavori di sminamento senza fornire loro l’apparecchiatura necessaria e ciò li rende dei condannati a morte più o meno a breve termine. Bisogna che queste pratiche cessino”.

Editoriale del Figaro, 19 Settembre 1945

Lettera di J.P. Pradervand (Capo delle delegazioni della Croce Rossa Internazionale) al Gen. De Gaulle, 26 Settembre 1945

“Mentre oggi si parla di Dachau, fra dieci anni in tutto il mondo si parlerà di campi come……… Il nostro corrispondente cita quello di Saint-Paul d’Egiaux. Ma sembra che questo giudizio sia valido per molti campi francesi di prigionieri dell’Asse”.

Jacques Fauvet, nel Le Monde, 30 Settembre/1° Ottobre 1945

Lettera di B. Gufler, del Dipartimento di Stato, 11 Gennaio 1946

Dr. Ernest F. Fisher Jr., colonnello in pensione ed ex responsabile storico dell’esercito degli Stati Uniti, 1988

James Bacque, Gli Altri Lager, 1989

L’atteggiamento del Generale De Gaulle:

“In qualità di capo del governo e capo delle forze armate, capitava senza dubbio a De Gaulle di parlare di questo problema col suo capo di Stato Maggiore della Difesa Nazionale, il Maresciallo Alphonse Juin, lui stesso al corrente della delicata situazione che riguardava i campi. Consigliato dal Maresciallo Juin, De Gaulle si rifiutò di ricevere Pradervand (Delegato della Croce Rossa Internazionale) ed offrì alla stampa mondiale, agli inizi del mese di Ottobre, una importante conferenza stampa nel corso della quale affrontò molto prudentemente il contenzioso franco-americano relativo al trasferimento dei prigionieri. Un atteggiamento tutto sommato poco sorprendente quando sappiamo che il Gen. De Gaulle aspettava la consegna quotidiana di migliaia di tonnellate di materiale bellico e di viveri (da parte degli americani). Charles De Gaulle era molto preoccupato dai problemi di politica interna, dal bisogno di instaurare la propria autorità in una Francia divisa e ansiosa di riconquistare il suo impero coloniale. Il destino di un milione di prigionieri tedeschi non aveva un gran peso sulla bilancia.

Il Generale De Gaulle avrebbe potuto facilmente evitare numerose morti smettendo di aggiungere ulteriori prigionieri a quelli che già perivano d’inedia. Il Maresciallo Juin avrebbe potuto convincerlo ad agire di conseguenza. Il Generale Buisson (direttore del servizio dei prigionieri di guerra) fu in un qualche modo vittima, come i prigionieri, di una politica futile e viziosa inflitta dai detentori del potere che altri non erano che il Gen. De Gaulle e il Maresciallo Juin. A chi spetta la gloria, tocca la vergogna”.

James Bacque, Gli Altri Lager, 1989

Carne da macello per la guerra d’Indocina

“I francesi affamarono deliberatamente dei prigionieri in modo da provocare il loro “impegno volontario” nella Legione Straniera. In effetti, un certo numero di legionari che combatterono in Indocina erano prigionieri di guerra tedeschi trasferiti nei campi francesi nel 1945 e nel 1946”.

James Bacque, Gli Altri lager, 1989

“Siamo rimasti a Rennes otto mesi. Per tutto questo tempo avevamo capito perché ci avevano fatto venire qui. La Francia aveva bisogno di soldati. Avevano un grosso problema in Indocina e volevano ricorrere alla loro Legione Straniera. Agenti tedeschi al servizio dei francesi si erano infiltrati tra di noi per reclutare dei soldati. I soldati che si erano impegnati ad entrare nella Legione furono messi in un altro campo vicino e li si poteva vedere. Nel giro di due settimane, essendo stato meglio nutriti, avevano un aspetto più robusto, mentre noi diventavamo sempre più deboli. Si poteva vederli giocare a calcio e cantare e il tutto a due passi da noi”.

Heinz T., testimonianza raccolta da James Bacque.

Fonti: egaliteetreconciliation.fr & revisionist.net

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