Viaggiare più veloci della luce? Il motore a Curvatura di Alcubierre
Vista l’enorme lentezza della luce al confronto delle distanza cosmiche, è evidente che sarebbe molto più comodo disporre di una tecnologia che ci consentisse di viaggiare nello spazio ad altissima velocità, senza però il fardello della dilatazione temporale, cioè senza incorrere nello sfasamento cronologico tra chi viaggia e chi rimane a casa. La fantascienza — beata lei! — ha risolto il problema in molti modi fantasiosi. Quello certamente più noto e forse il più affascinante è il motore a curvatura della serie Star Trek, in grado di catapultare più o meno istantaneamente l’astronave interstellare Enterprise a molti anni luce di distanza. Purtroppo si tratta solo di un riuscito artificio narrativo, senza alcuna base di fattibilità nel mondo reale… Almeno fino al 1994, quando apparve sulla rivista Classical and Quantum Gravity un articolo del fisico messicano Miguel Alcubierre, intitolato “The warp drive: hyper-fast travel within general relativity” (“Il motore a curvatura: viaggio iper-veloce nell’ambito della relatività generale”).

Alcubierre sviluppò la sua originale teoria a partire da un dettaglio importante della relatività generale: viaggiare più velocemente della luce è impossibile sì, ma solo localmente. Ciò vuol dire che in nessun punto dello spazio un oggetto dotato di massa può violare il limite della velocità della luce, ma nulla impedisce, nell’ambito della relatività generale, che lo spazio stesso si dilati (o si contragga) a una qualsiasi velocità maggiore della luce, simile a una sorta di tessuto elastico tirato da una mano potentissima.
Del resto, molti cosmologi sono concordi nel ritenere che una gigantesca dilatazione dello spazio sia già avvenuta in passato, nei primi istanti dopo il Big Bang, e sia stata la causa a monte della straordinaria omogeneità di distribuzione della materia in ogni direzione spaziale, rilevata dai satelliti COBE, WMAP e Planck attraverso lo studio della radiazione cosmica di fondo.

Secondo questa teoria, la cui prima formulazione si deve al fisico americano Alan Guth nel 1980, l’universo attraversò una fase di espansione esponenziale, chiamata inflazione. L’inflazione, generata dalla pressione negativa esercitata dall’energia del vuoto, durò un tempo inconcepibilmente breve, situato nel primo secondo dopo il Big Bang. In questa infinitesima frazione di secondo l’universo crebbe a dismisura, aumentando di volume di un fattore superiore a 10 elevato alla 30ª potenza (cioè 1 seguito da 30 zeri).
Durante l’inflazione, fu lo spazio stesso a espandersi, in modo simile a un palloncino che viene gonfiato. In altre parole, anche se la dilatazione avvenne a una velocità molto maggiore di quella della luce, non ci fu violazione del limite imposto dalla relatività: se all’inizio del processo di espansione ci fossero stati degli osservatori in grado di scorgersi reciprocamente, sarebbero stati trasportati dalla dilatazione dello spazio l’uno al di fuori dell’orizzonte dell’altro senza che nessuno dei due avesse viaggiato, localmente, a una velocità superiore a quella della luce.
Per di più, se consideriamo l’universo osservabile nel suo insieme, lo spazio continua ancora adesso a dilatarsi a velocità maggiore della luce, senza che alcun oggetto viaggi localmente a velocità superluminale. La costante di Hubble, cioè la misura dell’espansione dello spazio in rapporto al tempo, ci dice infatti che lo spazio si espande alla velocità di circa 70 km/s per megaparsec (1 megaparsec equivale a 3,26 milioni di anni luce). Ne consegue che due galassie qualsiasi, purché siano lontane più di 4.200 megaparsec l’una dall’altra, si allontanano reciprocamente a una velocità maggiore della luce per il solo effetto della dilatazione dello spazio.

Partendo da questo principio, Alcubierre presentò nel suo articolo del 1994 una serie di equazioni che dimostravano la possibilità teorica, nell’ambito della relatività generale, di creare una distorsione locale dello spaziotempo, in virtù della quale lo spazio potrebbe essere dilatato alle spalle di un’ipotetica nave spaziale e contratto davanti ad essa. La contrazione equivarrebbe a un radicale avvicinamento dell’astronave alla sua destinazione:
È possibile servirsi di una contrazione dello spaziotempo per avvicinarsi a un oggetto a una qualsiasi velocità. Questa è la base del modello per il viaggio spaziale iperveloce che desidero presentare qui: creare una distorsione locale dello spaziotempo, che produrrà un’espansione dietro la nave spaziale e un’opposta contrazione davanti ad essa. In questo modo la nave spaziale sarà spinta via dalla Terra e attirata dallo spaziotempo stesso verso una stella distante. È possibile poi invertire il processo per tornare indietro sulla Terra, impiegando un tempo arbitrariamente breve per completare il viaggio di andata e ritorno.
La cosa notevole del modello teorico di Alcubierre è che la nave spaziale e i suoi occupanti verrebbero a trovarsi in una sorta di bolla isolata dagli effetti della distorsione spaziotemporale che li circonda: gli astronauti non avvertirebbero alcuna accelerazione né subirebbero le terribili forze di marea che si generano al confine della distorsione. Cosa più importante, il loro tempo non sarebbe dilatato, per cui potrebbero andare verso la stella di destinazione e fare ritorno sulla Terra senza subire altro sfasamento cronologico che quello causato dalle fasi del viaggio compiute con una propulsione tradizionale al di sotto della velocità della luce.

Nella bolla isolata in cui si troverebbe l’astronave nulla viaggerebbe più velocemente della luce, ma tutto, luce compresa, sarebbe trascinato dalla distorsione creata dal motore a curvatura verso la destinazione prescelta. In un simile modello, la velocità del viaggio dipende in sostanza dall’entità della distorsione generata dal motore.

Siamo dunque in vista della soluzione finale al problema dei viaggi interstellari? Niente affatto, purtroppo.
Come ammise lo stesso Alcubierre nella parte finale dell’articolo del ’94, le equazioni che descrivono la distorsione spaziotemporale necessaria per creare il suo motore implicano la violazione di tre condizioni sulla distribuzione dell’energia, che i fisici impongono alla relatività generale per evitare soluzioni ritenute fisicamente impossibili.
Le tre condizioni sono la debole, la dominante e la forte: la debole dice che la densità locale di massa-energia non deve essere negativa; la dominante che l’energia non deve fluire più velocemente della luce; la forte che la materia deve essere attratta gravitazionalmente dalla materia.
I calcoli di Alcubierre indicano invece che la distorsione spaziotemporale richiesta per il viaggio iperveloce può essere generata solo per valori negativi della densità energetica, cioè della quantità di energia immagazzinata in una data regione di spaziotempo per unità di volume, il che conduce alla violazione di tutte e tre le condizioni.
Tale violazione non esclude, tuttavia, la possibilità teorica di viaggiare più velocemente della luce. L’ipotesi del motore a curvatura rimane appesa all’esistenza, tutta da dimostrare, di un “carburante” insolito, del quale purtroppo al momento non disponiamo. Si tratta della cosiddetta materia esotica, cioè una materia dotata di proprietà che non si riscontrano nella materia comune, come appunto massa e densità energetica negative.
Ma Alcubierre individuò uno spiraglio di fattibilità nei fenomeni quantistici e più precisamente nell’effetto casimir:
… anche se si ritiene che la materia esotica sia proibita in senso classico, è ben noto che la teoria quantistica dei campi permette l’esistenza di regioni con densità negative dell’energia in alcune circostanze speciali (come, per esempio, nell’effetto Casimir). Il requisito della materia esotica perciò non esclude necessariamente la possibilità di usare una distorsione spaziotemporale come quella sopra descritta per il viaggio interstellare iperveloce.
Michele Diodati
Fonte: https://spazio-tempo-luce-energia.it