La Guerra contro la Realtà
La gente parla a sproposito della guerra perché a farla sono sempre gli altri e non hanno ancora capito che nelle intenzioni di chi governa in questo momento il mondo è giunto il momento di renderli finalmente protagonisti della scena e le masse ignare si godono sui social dei preliminari pensando che sia tutto frutto di una esagerazione complottista.
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La Guerra contro la Realtà
L’Europa si trova oggi a un bivio storico, stretta nella morsa tra un’élite distaccata, pronta a sacrificare i propri popoli per mantenere il potere e dinamiche geopolitiche che sfuggono a ogni controllo. Con il pretesto di difendere i valori e rispondere a minacce immaginarie, i leader europei stanno giocando una partita pericolosa, trascinando il continente in una spirale di guerra e crisi. In questa lotta per preservare la loro egemonia, ignorano le realtà sociali, economiche e umane, condannando così un popolo che non ha chiesto di essere preso in ostaggio. Di fronte a questa follia, l’unica via d’uscita è l’azione collettiva e responsabile dei cittadini, perché spetta a noi ridefinire un futuro dignitoso e libero, lontano dalla guerra e dall’impunità.

Coloro che pretendono di governarci non guardano più il mondo così com’è, con le sue tensioni, le sue complesse realtà e le sue inevitabili evoluzioni. No, lo vedono attraverso il prisma deformato delle loro fantasie, delle loro ideologie obsolete, incapaci di accettare la multipolarità emergente. Lungi dal comprendere le dinamiche globali, scelgono di chiudersi in una bolla ideologica, una fortezza di negazione, paranoia e arroganza. Tutto ciò che sfugge alla loro visione ristretta diventa, ai loro occhi, una minaccia. Così, denunciano una presunta cospirazione russo-cinese con il fervore di un inquisitore alla ricerca dell’eretico, mentre sono proprio la loro ostilità, il loro arrogante disprezzo per il mondo esterno, la loro sistematica ingerenza ad aver unito queste potenze in un blocco planetario contro di loro.
La loro logica è quella del piromane che, mentre appicca l’incendio, grida al fuoco. Una logica suicida, quella del giocatore rovinato che, spinto dal panico, raddoppia la puntata con denaro che non ha più, credendo di salvare il proprio destino scommettendo sulla guerra. E nel frattempo, il popolo europeo non è che una variabile di aggiustamento in questa danza macabra. Carne da cannone ideologica, una pedina sacrificabile in un gioco di cui non è mai stato né attore né beneficiario. Ma per questi apprendisti strateghi, la posta in gioco non è il benessere dei cittadini, bensì la loro stessa sopravvivenza politica, anche a costo di far esplodere tutto ciò che resta della civiltà europea.
Si muovono più o meno mascherati, ma la loro manovra è di una trasparenza lampante per chi sa guardare. Questa manciata di leader scollegati dalla realtà, totalmente ossessionati dai propri interessi privati e mossi dagli ordini dei loro padroni d’oltreoceano, si precipitano senza scrupoli nell’abisso di un conflitto mondiale che hanno consapevolmente avviato. Queste élite non rappresentano più i popoli, di cui ora disprezzano le voci e le lotte. Non agiscono più in nome del bene comune, ma per difendere un ordine oligarchico implacabile, basato sul saccheggio delle risorse, sull’opacità finanziaria e su un’impunità morale a tutta prova. Le loro decisioni non riguardano più la politica, ma la gestione di un impero in declino, pronto a tutto pur di sopravvivere.
La guerra che stanno preparando non è né una risposta a una minaccia esterna, né una naturale evoluzione del mondo. È una strategia fredda, calcolata, una diversione sanguinosa, una tragica cortina fumogena. Il suo unico scopo è quello di mascherare il totale collasso interno, economico, sociale e morale, che esse stesse hanno orchestrato con le loro scelte economiche distruttive e le loro incessanti manipolazioni. La guerra diventa così un’operazione di salvataggio mascherata, un tentativo disperato di diluire le loro responsabilità nel fragore marziale, di nascondere i loro errori dietro il fragore dei cannoni. Un modo per ridefinire la loro agenda mondiale di tecnodittatura, per far dimenticare le crisi che hanno provocato e per rafforzare il loro controllo su un popolo ormai ridotto al ruolo di spettatore forzato, pronto a sacrificare tutto per i capricci di pochi.
Lungi dall’essere una reazione a un pericolo oggettivo, questa frenesia bellica non è altro che un’ultima fuga in avanti, un tentativo disperato di mascherare l’incapacità di queste élite di rispondere al caos che esse stesse hanno generato. Una fuga patetica verso il nulla, ma perfettamente volontaria. È una strategia diversiva, in cui la guerra diventa uno sfogo per coloro che rifiutano di affrontare la realtà del proprio fallimento. Hanno bisogno di questa guerra, non per difendere qualcosa, ma per non rispondere. Non rendere conto. Non assumersi la responsabilità del fallimento abissale del loro modello, di questo sistema ormai obsoleto, corroso dall’interno da decenni di neoliberismo selvaggio, ingiustizie sociali e miopia economica. Perché la verità è lì, nuda e cruda, e queste élite autoproclamate sono con le spalle al muro, strangolate dalla montagna di debiti che hanno lasciato accumularsi come un fardello inestricabile. Ma un fardello che soffoca i popoli e le generazioni future che preferiscono ignorare.
Infine, si aggiunge l’irrimediabile ascesa di potenze concorrenti, come Cina, Russia, India, ecc., che, nonostante l’ostracismo, l’umiliazione e il disprezzo, avanzano inesorabilmente sulla scena mondiale. E queste élite, incapaci di dominare queste nuove forze, preferiscono quindi immergere l’Europa in un conflitto assurdo piuttosto che affrontare il fatto che hanno fallito. E che non controllano più nulla.
Quindi, di fronte al collasso che esse stesse hanno provocato, queste élite hanno un solo istinto di sopravvivenza e cercano di scatenare la guerra. Una guerra non per proteggere, ma per distrarre. Non per liberare, ma per indebitarsi. Non per unire, ma per schiacciare ogni voce dissidente. Una guerra non per difendere un territorio, una cultura o un popolo, ma per distogliere l’attenzione, riscrivere la storia, concedersi una tregua sulle spalle di coloro che tradiscono. Un’escalation controllata verso una guerra che i popoli non hanno chiesto, ma di cui pagheranno il prezzo. Una guerra fredda e calcolata, in cui la vita dei cittadini europei, la loro sicurezza, il loro futuro, contano solo come variabili di aggiustamento in un piano globale dettato da interessi ben lontani dalle loro preoccupazioni quotidiane.
Ma attenzione, questa non è la loro guerra. È la nostra, quella che ci impongono, quella che vogliono che combattiamo, mentre loro brindano con lo champagne in palazzi blindati, congratulandosi con se stessi per aver sistematicamente spogliato intere nazioni. Hanno saccheggiato le nostre economie, smantellato le nostre industrie, svenduto la nostra sovranità, avvelenato il nostro cibo, mercificato la nostra salute e ora stanno attaccando il nostro futuro. E poiché la menzogna non basta più, poiché la paura non funziona più, non resta loro che la violenza organizzata, istituzionale, militarizzata. Perché alla fine di questo processo, ciò che rimane è solo l’obiettivo di sacrificare i popoli sull’altare di un’ideologia che si regge solo sulla coercizione, il ricatto e il terrore.

Non importa che gli arsenali siano vuoti, che i bilanci siano esauriti, che gli ospedali siano in rovina e che i servizi pubblici agonizzino nell’indifferenza generale. Niente di tutto questo sembra essere una priorità per chi detiene il potere. Le priorità sono state ridefinite, ma non a favore del benessere collettivo. No, servono un’altra causa, molto più sinistra, poiché si preparano gli obitori, si reclutano volontari per la guerra, si finanziano missili con miliardi di euro, si sovvenzionano gli stipendi ucraini lasciando che i lavoratori europei affoghino nella precarietà e nelle tasse.
Il contrasto è abominevole. Il palcoscenico è pronto, il sipario sta per alzarsi e l’Europa, sotto le spoglie di una diplomazia umanitaria, non ha più una propria politica estera. Non è altro che un semplice esecutore, un vassallo docile, che segue una road map militare imposta da Washington. Dietro la cortina fumogena delle grandi dichiarazioni di solidarietà e pace, si dispiega in realtà una logica di confronto totale, programmata, implacabile.
L’aspetto più preoccupante di questa deriva è la sottomissione volontaria, quasi religiosa, alla strategia americana, che tratta l’Europa non come un attore geopolitico sovrano, ma come un semplice campo di battaglia periferico nella sua guerra di successione egemonica. Contenere la Russia oggi per poter colpire la Cina domani, perché questo è il piano. E poco importa se, lungo il percorso, l’Europa viene ridotta in cenere. Poco importa se si sacrifica un’intera generazione sull’altare di questa folle ambizione. Poco importa se le economie crollano, le società si frammentano, gli Stati diventano ingovernabili. L’essenziale è la realizzazione di questo progetto geopolitico, e pazienza se il costo umano e sociale è mostruoso. Le decisioni vengono prese altrove, lontano dalle preoccupazioni e dalle aspirazioni dei popoli europei. Questi ultimi non votano più, non decidono più, sono diventati spettatori impotenti di un teatro tragico di cui sono vittime.
Le capitali europee, ormai ufficialmente ridotte a semplici appendici della strategia dei neoconservatori americani, non svolgono più il loro ruolo di mediatori o garanti della stabilità. Al contrario, organizzano il caos con la precisione di una pianificazione industriale, agendo come ingranaggi di una macchina infernale. Bruxelles, un tempo venduta ai popoli come bastione della diplomazia e della pace, si è trasformata nell’artefice di un progetto bellicista in cui i popoli europei non sono altro che carburante in una macchina da guerra geopolitica. La parola “pace”, un tempo fondamentale nel suo discorso, è semplicemente scomparsa dal vocabolario diplomatico.
Al loro posto, ci vengono servite formule accuratamente calibrate come “sostegno incondizionato”, “sanzioni massicce”, “invio di armi” e tutto un arsenale di espressioni educate e velate che non nascondono più la verità del loro obiettivo con questa guerra senza fine, questa guerra per tutti. Queste parole mirano solo a mascherare la realtà di un continente immerso in un conflitto permanente delle élite contro l’umanità, di cui i leader europei sono diventati promotori ed esecutori, trascinando con sé popolazioni che non vogliono questa guerra, ma che, non potendo far sentire la propria voce, ne pagheranno il prezzo più alto.
E in questa guerra accanita contro la realtà, l’Europa vende la sua anima senza battere ciglio. Abbandona tutto ciò che costituiva la sua dignità e la sua identità, dalla sovranità alla ragione e, naturalmente, alla pace. In cambio, si getta nelle braccia di un progetto totalitario, mascherato da tecnocrazia. Un’Europa che si trasforma in un terreno di sperimentazione per un controllo digitale onnipresente, un’economia di guerra permanente e un pensiero unico incentrato sulla sicurezza, che schiaccia ogni dissenso sotto pile di dati e leggi imposte.
Lungi dall’essere un baluardo di libertà e diversità, questa Europa è diventata una macchina che schiaccia le libertà individuali in nome di un ordine artificiale. Un’Europa in cui l’immigrazione di massa, invece di essere un arricchimento, diventa una semplice variabile di aggiustamento demografico, utilizzata per mantenere un mercato del lavoro militarizzato, precario e subordinato alla logica della guerra. Un’Europa in cui non si discute più di un progetto comune, ma si assiste al crollo di un modello senza futuro, senza coraggio, senza voce.
Ogni giorno, la stampa ufficiale, al soldo di questa macchina, riporta le parole degli strateghi, amplificando una narrazione che non si basa su nient’altro che sulla paura e sull’immaginario. La Russia viene accusata di ogni sorta di male, dall’interferenza con il GPS alle operazioni ibride, dalle minacce invisibili alle interferenze permanenti. Ma la realtà di ciò che viviamo, le verità crude e tangibili, viene sistematicamente ignorata. È sostituita da una finzione di sicurezza permanente, una narrazione inventata di sana pianta per giustificare la censura ingiustificabile, l’impoverimento di tutti, il tentativo di sterilizzazione della popolazione e la sua sostituzione con un’immigrazione massiccia, la sorveglianza di massa e la crescente militarizzazione della vita civile.

Non è più una guerra contro la Russia, non è più un confronto con una nazione vicina. No, è una guerra contro la realtà stessa, una guerra condotta contro ogni logica, contro ogni verità. È una negazione metodica dei fatti, una riscrittura orwelliana della storia in diretta, dove ogni evento, ogni decisione viene riconfigurato secondo le esigenze di un potere che non teme più la contraddizione. E mentre il mondo crolla intorno a noi, queste élite continuano a brandire la guerra come uno stendardo, convinte che la loro versione finirà per essere l’unica verità.
Perché in realtà è questo che temono di più: che i popoli si risveglino e si ribellino. Che i popoli parlino. Che i popoli dicano no. No alla guerra. No ai sacrifici insensati che ci impongono. No a questa espropriazione democratica mascherata da “sostegno alla pace”. No a questa macabra commedia, questa tragedia recitata sulle spalle dei cittadini in nome della pace, ma al servizio esclusivo del profitto e del controllo. Il conflitto in Ucraina, come le tensioni in Medio Oriente, non sono incidenti geopolitici, ma i sintomi di una strategia globale orchestrata da un’élite che, nella sua follia, cerca di resettare il mondo attraverso il caos. Non per costruire un futuro più giusto o più solidale, ma per continuare a regnare, a dominare, sulle rovine. Le loro rovine. Le rovine della nostra civiltà, della nostra dignità. E nel frattempo noi, i popoli, restiamo spettatori, ridotti a pedine in questo gioco di potere senza fine.
La storia non ci aspetterà. Giudicherà queste scelte, ma a quale prezzo? È giunto il momento di prendere in mano le redini del nostro destino. Perché non si tratta più semplicemente di decisioni politiche o riforme economiche, ma della sopravvivenza stessa delle nostre società, dei nostri popoli e dei nostri valori. L’Europa si trova oggi a un bivio. È imperativo scegliere: resistere a questa logica mortale o sottomettersi in silenzio a questa deriva assurda che ci condanna tutti.
Il tempo dell’inazione è finito. Non possiamo più permetterci di rimanere spettatori di questa tragedia, di questa lenta agonia imposta da una casta scollegata dalla realtà che ci schiaccia. Se vogliamo preservare ciò che resta della nostra umanità, della nostra sovranità, delle nostre libertà, è imperativo prendere la parola, agire, rifiutare questa guerra totale che non ci appartiene. La guerra non è un mezzo per governare, è un mezzo per controllare, schiacciare, manipolare. È giunto il momento che i popoli si ribellino e chiedano un cambiamento radicale. Che i leader smettano di servire interessi stranieri a scapito dell’interesse comune, che la guerra smetta di divorare le nostre vite e le nostre speranze e che la pace, vera e duratura, sia finalmente una priorità.
L’impunità delle élite deve finire. Questa follia non può più durare. Dobbiamo denunciare questi manovre, questi compromessi, queste manipolazioni. Dobbiamo risvegliare la coscienza collettiva, ristabilire la verità ed esigere un futuro in cui il benessere dei popoli abbia la precedenza sulle strategie geopolitiche, sui profitti e sulle ambizioni smisurate dei potenti. La storia ricorderà la nostra scelta: quella di resistere all’autodistruzione o quella di sottometterci, ad occhi chiusi, a una guerra che non sarà mai la nostra.
Il tempo stringe. È ora di agire. Se vogliamo salvare ciò che ancora può essere salvato, se vogliamo offrire ai nostri figli un futuro dignitoso e libero, è giunto il momento di ripensare il nostro destino collettivo. Non c’è più spazio per l’indifferenza, non c’è più spazio per l’inazione. È giunto il momento di alzare la testa, di affrontare la realtà, di resistere alla follia che ci sta divorando. L’Europa, i popoli, il nostro futuro dipendono da questa scelta cruciale. È nostra responsabilità. C’è ancora tempo, ma non per molto.
Phil BROQ.
Fonte: jevousauraisprevenu.blogspot.com
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