Quando i bastardi finanziano gli idioti combattono…
Alla gente importa poco della guerra, importante è che a farla siano sempre gli altri 🙁
Toba60
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La Guerra degli utili idioti
In questo macabro teatro del conflitto contemporaneo, le persone non sono altro che marionette, condannate a recitare un ruolo tragico in una commedia scritta da finanzieri invisibili, spietati speculatori e cinici strateghi. Il conflitto israelo-palestinese ne è l’illustrazione più perversa, dove l’idiota che conduce la guerra, manipolato e spesso portato alla follia, è sostenuto da potenze esterne il cui obiettivo non è né la pace né la riconciliazione, ma il dominio implacabile e la massimizzazione del profitto.
La storia della guerra umana, soprattutto nelle sue fasi più barbare, non è quasi mai nelle mani dei soldati. Essi sono semplici pedine, strumenti rumorosi e ciechi, incapaci di comprendere la portata del loro ruolo nel grande gioco dei potenti. Il vero criminale di guerra non è colui che preme il grilletto, ma colui che paga perché venga premuto. E lo fa con totale discrezione e impunità. In questa arena spietata, pochi conflitti illustrano questa realtà in modo così crudele come la tragedia israelo-palestinese.

Per decenni, questo conflitto è stato alimentato non dall’odio tra i popoli perché non c’è odio ereditario tra questi popoli ma da un costante flusso di fondi, armi, tecnologia militare e copertura diplomatica, alimentato principalmente da quello che potrebbe essere definito l’Impero anglosassone. Washington, Londra e Canberra sono tre capitali unite da una lingua comune, da una visione coloniale del mondo e da un sistematico disprezzo per le sofferenze che causano. Condividono la comune ossessione di garantire solo i propri interessi geopolitici, senza scrupoli e senza limiti morali, e la loro presa non viene mai messa in discussione, a prescindere dalla carneficina umana che provoca.
L’America, autoproclamatasi modello di democrazia e libertà, si distingue per la sua infinita generosità nei confronti dello Stato di Israele. Ogni anno, miliardi di dollari vengono trasferiti a Israele sotto forma di aiuti militari, una somma mostruosa spesa per la fornitura di armi, tecnologie di sorveglianza, droni e missili. Allo stesso tempo, Gaza, trasformata in un campo di prova militare, sta diventando un vero e proprio laboratorio per testare armi di distruzione di massa. Non è Tel Aviv a inviare le bombe che stanno distruggendo Gaza, ma bombe “made in USA”, a volte con il logo ancora visibile. L’orrore di questa situazione non è un caso, ma il prodotto della cinica complicità di un Congresso americano unanime, pronto a firmare assegni militari come se fossero buoni di manutenzione per un cimitero.
Ma l’America non è sola. L’ombra britannica si allunga su questa tragedia. Sono stati loro, nel 1917, a piantare il primo seme del conflitto con la Dichiarazione Balfour, promettendo la terra a un popolo senza terra su un territorio già popolato. Oggi Londra continua il suo ruolo sostenendo lo sforzo bellico israeliano, non solo con contratti di armamento ma anche con tecnologie di sorveglianza informatica. E l’Australia, fedele alleato, sostiene spudoratamente l’impunità di Israele negli organismi internazionali, trasformando talvolta i propri territori in un terreno di sperimentazione per le narrazioni militariste.
Il problema non è quindi solo chi spara, ma chi finanzia la guerra con la freddezza di un banchiere e l’arroganza di un impero convinto della propria superiorità morale. Ci indigniamo per le sofferenze dei palestinesi, per i bambini dilaniati dalle bombe, per gli ospedali distrutti e le scuole cancellate, ma continuiamo a firmare assegni, a bloccare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a consegnare armi e a garantire l’impunità. L’atrocità non è solo chi uccide. È chi si nasconde dietro di essa, con la coscienza pulita, e dice: “Non sono io, sono loro!”.
Il vero bastardo, quello che merita tutto il nostro odio, non è solo colui che uccide, ma colui che, dagli uffici e dalle sale riunioni con aria condizionata, finanzia la guerra, la incoraggia e ne raccoglie i frutti. L’uomo che arma senza sporcarsi le mani, che orchestra guerre per procura, che costruisce muri con i soldi, che trasforma le persone in cavie e le rovine in mercati di ricostruzione. Sì, l’idiota che fa la guerra a volte è accecato dalla propaganda, a volte è persino convinto di servire una grande causa. Ma il bastardo agisce freddamente, con totale consapevolezza di ciò che sta facendo. Non uccide per passione o per orgoglio nazionale, ma semplicemente per trarre profitto. Perché ogni guerra è un affare redditizio. Ogni popolo diviso, ogni territorio devastato, ogni odio fomentato, è un’ulteriore linea di profitto sul suo bilancio. Sono queste persone che devono essere denunciate e abbattute, perché finché respireranno, la gente rimarrà all’ombra della guerra.
Dal 7 ottobre 2023, gli Stati Uniti hanno speso più di 17,9 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele, un record assoluto. Questo include sistemi di difesa missilistica, armi pesanti, bombe da 2.000 libbre e proiettili d’artiglieria. Queste somme impressionanti, ben superiori agli impegni annuali previsti dagli accordi di pace con l’Egitto del 1979, riflettono una chiara volontà politica di mantenere Israele in una posizione di forza militare, a prescindere dal costo umano. Non si tratta di difendere una democrazia in pericolo, ma di garantire la supremazia geopolitica di un alleato strategico, calpestando i diritti fondamentali del popolo palestinese.
Questa generosità americana non è un’eccezione, ma l’espressione di una strategia imperiale globale. Ovunque l’Impero anglosassone veda un rivale da indebolire, inietta senza vergogna miliardi, armi e mercenari. L’Ucraina è diventata un altro campo di battaglia, un altro esempio della stessa logica di controllo tramite guerra per procura, in cui i popoli vengono sacrificati per le ambizioni imperialiste di Washington e Londra.
Quanto all’Unione Europea, è stata ridotta al ruolo di docile vassallo, sacrificando i suoi interessi e i suoi cittadini sull’altare di una guerra che non è la sua. In Francia, Germania e Italia, miliardi di euro vengono riversati nello sforzo bellico ucraino, mentre gli ospedali chiudono e l’inflazione devasta le classi medie. Il costo sociale delle sanzioni contro la Russia, imposte su pressione di Washington, è una realtà crudele che nessuno osa affrontare. In questo contesto, i governi europei stanno diventando gli strumenti di una strategia americana di cui pagano il prezzo senza esserne i beneficiari.

Sia nel conflitto israeliano che in quello ucraino, le persone sono pedine sacrificate da potenze esterne che finanziano la guerra per proteggere i loro interessi geopolitici. I veri nemici non sono solo quelli che premono il grilletto, ma anche quelli che manovrano i fili di queste tragedie, le orchestrano e ne traggono profitto. Coloro che, dietro le quinte, versano sangue per consolidare il loro dominio imperialista. Sono loro, e solo loro, che devono essere nominati, denunciati e combattuti.
Per decenni, il mondo intero ha vissuto sotto lo spietato dominio di due giganti imperialisti, gli Stati Uniti e il Regno Unito, che hanno trasformato ogni guerra in un mezzo per aumentare il loro potere, la loro influenza e i loro profitti. Questi due Paesi hanno orchestrato e mantenuto un groviglio di violenza, sofferenza e distruzione, alimentando una macchina militare ed economica che controllano con spaventosa freddezza. Sotto il loro governo, interi popoli sono ridotti al rango di semplici pedine in un gioco geopolitico in cui le vite umane contano poco, se non come capitale da sfruttare.
Attraverso ripetuti interventi militari, guerre per procura e il costante sostegno a regimi oppressivi, queste potenze hanno accumulato morte e miseria, arricchendo al contempo una piccola casta di banchieri, industriali e politici che, lungi dall’essere colpiti dagli orrori che provocano, prosperano sulle rovine delle nazioni che hanno ridotto in cenere. Questi attori nascosti, che manipolano a distanza i fili della violenza, sono i veri responsabili dell’instabilità globale, perché sanno perfettamente che ogni conflitto genera profitti colossali, nuove risorse da controllare e popolazioni da sottomettere.
È giunto il momento di smascherare questa élite criminale e di spezzare il circolo vizioso che ha messo in moto. La gente deve aprire gli occhi su questi maestri del caos, questi architetti della guerra, e liberarsi dalla loro morsa. Devono esigere che coloro che, per decenni, hanno seminato terrore, sofferenza e miseria a beneficio dei loro interessi privati, siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Non è più accettabile che questa piccola casta continui a dettare il destino del mondo, mentre gli innocenti vengono sacrificati in una carneficina senza fine. L’unico modo per spezzare questo circolo vizioso è porre fine al loro dominio e ricostruire un ordine internazionale basato sulla giustizia, sulla dignità umana e sulla vera pace. I popoli devono insorgere non solo per chiedere la fine della guerra, ma anche per sradicare le radici stesse di questa violenza sistemica protetta dall’impunità e dal cinismo dei veri padroni del mondo.
Le potenze imperialiste, in particolare gli Stati Uniti e il Regno Unito, hanno perfezionato un arsenale di meccanismi subdoli e spaventosamente efficaci per mantenere il loro dominio imperialista sul mondo. Queste leve di influenza si estendono oltre la sfera militare e diplomatica per includere l’economia, i media e la manipolazione delle narrazioni. Lungi dall’essere un semplice incidente geopolitico, la guerra è diventata uno strumento preciso e calcolato per mantenere una rete di potere, in cui la sofferenza umana è semplicemente una variabile di aggiustamento a vantaggio di pochi.
Lungi dal limitarsi a bombe e carri armati, il dominio imperialista si svolge soprattutto nei corridoi silenziosi della finanza mondiale. Gli Stati Uniti e il Regno Unito, attraverso i loro strumenti finanziari come la Banca Mondiale, il FMI, la Banca Europea per gli Investimenti, ecc. impongono politiche economiche neoliberiste che mantengono i Paesi in guerra sistematicamente dipendenti. Queste istituzioni, che in teoria dovrebbero sostenere la stabilità globale, sono in realtà strumenti di sottomissione, che impongono prestiti a tassi usurai, condizioni crudeli di austerità e riforme strutturali che devastano le società indebolite dai conflitti. In questo modo, le potenze imperialiste orchestrano la dipendenza economica, dove gli aiuti umanitari vengono insidiosamente trasformati in uno strumento di controllo politico e militare.
Il neocolonialismo si esprime anche attraverso accordi commerciali iniqui che avvantaggiano esclusivamente le multinazionali anglo-americane e le élite locali corrotte. Lo sfruttamento delle risorse naturali nelle zone di guerra, che si tratti di petrolio in Siria, minerali in Africa o terre rare in Asia centrale, avviene a spese delle popolazioni locali. I contratti per le armi, che sono una vera e propria fonte di profitto per i giganti industriali occidentali, sono accompagnati da una ricostruzione imposta, in cui solo le aziende dei Paesi imperialisti sono autorizzate a ricostruire le infrastrutture distrutte, a un prezzo elevato e sempre soggetto a condizioni.

Ma queste potenze non si accontentano di finanziare i conflitti attraverso la vendita di armi. Esse impiegano anche sanzioni economiche per indebolire i loro rivali e promuovere il proprio dominio. Queste sanzioni non sono mai un mezzo per “punire” i regimi ritenuti devianti, ma piuttosto una forma di guerra indiretta. Quando vengono applicate contro un Paese, il loro obiettivo primario è quello di distruggere il suo tessuto economico, aprendo la strada all’ingresso di multinazionali che, una volta crollata la resistenza, possono sfruttare i mercati devastati e acquistare risorse a prezzi irrisori.
Il controllo reale non avviene solo sui campi di battaglia, ma anche attraverso la manipolazione dell’opinione pubblica. Il controllo dei media, spesso controllati da grandi aziende capitalistiche legate alle potenze imperialiste, permette di plasmare una realtà parallela, giustificare le guerre e cancellare i veri responsabili. I media occidentali, che spesso fanno eco alle politiche imperialiste, modellano le narrazioni per garantire che gli interventi militari siano accettati come missioni umanitarie. Ogni attacco diventa così una “lotta per la democrazia”, ogni bombardamento una “risposta proporzionata al terrorismo”. La distorsione della realtà non si ferma qui, poiché le immagini della sofferenza umana vengono accuratamente selezionate e le voci dissenzienti vengono emarginate. I critici delle guerre imperialiste vengono sistematicamente etichettati come “filorussi”, “antisionisti” o “nemici dell’Occidente”. Una censura sottile ma potente trasforma l’opposizione alla guerra nella totale emarginazione delle voci umane contro l’imperialismo.
Le grandi aziende mediatiche, al servizio degli interessi imperialisti, mascherano i loro servizi con l’obiettività, ma servono soprattutto a legittimare la violenza. Questi media plasmano l’opinione pubblica, incitando i cittadini ad accettare sacrifici e guerre che in realtà non sono altro che giochi geopolitici di influenza. L’esempio del sostegno alle guerre in Afghanistan e in Iraq, dove l'”Operazione Libertà” è stata venduta come una missione di pace, illustra questa strategia di manipolazione di massa. Le interminabili guerre orchestrate da queste potenze non solo hanno un costo umano immediato, ma generano anche ondate di rifugiati che queste stesse potenze sanno come sfruttare. La gestione delle migrazioni diventa un’altra leva di influenza geopolitica, dove i Paesi imperialisti, mentre finanziano guerre sanguinose, si presentano come “salvatori” dei rifugiati, manipolando i flussi migratori a fini politici. Il controllo delle popolazioni sfollate diventa un altro aspetto del loro dominio.
I conflitti prolungati non distruggono solo le infrastrutture e le vite umane. Devastano l’ambiente. Interi ecosistemi vengono spazzati via dai bombardamenti, dall’inquinamento chimico e dalla guerra biologica, le risorse naturali vengono saccheggiate senza sosta e la terra diventa un cimitero per le generazioni future. La guerra, nel suo aspetto imperialista, non è solo genocidio umano, è anche genocidio ecologico. Perché la storia imperialista moderna, erede del colonialismo, è tessuta con i fili del passato. Le ex potenze coloniali, come Francia, Spagna e Regno Unito, hanno perpetuato un modello di dominio reinventando la guerra per procura, sostenendo dittatori e regimi tirannici per preservare i propri interessi economici e strategici.
L’economia così come ci viene presentata è una mascherata, un inganno abilmente orchestrato per mantenere le persone in uno stato di servitù finanziaria. Dietro le cifre e i grafici pomposi che inneggiano alla prosperità si nasconde una realtà brutale in cui una manciata di banche, i veri padroni dietro le quinte, stampano continuamente nuove banconote, non per sostenere la vita e le aspirazioni del popolo, ma per alimentare la macchina da guerra, finanziare conflitti lontani e garantire i colossali profitti di un’élite insaziabile.

Nel frattempo, i governi, sotto il controllo di queste stesse istituzioni finanziarie, impongono ai loro cittadini un fardello di debiti sempre più grande, una trappola da cui è diventato quasi impossibile fuggire. Il credito viene assegnato ai potenti, alle armi, alle industrie di distruzione, mentre il popolo è lasciato a lottare in un ciclo infinito di debiti, austerità e privazioni. L’illusione dell’economia, l’assurda convinzione che la prosperità collettiva derivi dalla crescita infinita e dal debito perpetuo, deve essere smantellata. È ora di smascherare questa truffa e restituire la ricchezza ai veri produttori, le persone, e non più ai creatori di guerre e ingiustizie.
Eppure l’Impero anglosassone persiste oggi in questa tradizione infida, manipolando costantemente le alleanze e dividendo i popoli per mantenere una gerarchia globale in cui una piccola élite, ricca e potente, prospera a spese delle masse oppresse. Con il pretesto della democrazia e della libertà, queste ex potenze imperialiste non hanno mai abbandonato le loro pratiche neocoloniali; le hanno semplicemente reinventate e adattate alle realtà economiche contemporanee. Falsificando il discorso economico, hanno creato un sistema in cui l’indebitamento delle nazioni e la finanziarizzazione dell’economia diventano strumenti di dominio. Attraverso istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, impongono politiche di austerità e riforme economiche distruttive che sottraggono risorse ai Paesi poveri, alimentando al contempo una macchina capitalistica che li mantiene dipendenti.
Il sistema economico globale, così come è concepito oggi, si basa su un equilibrio di finzioni, in cui le grandi potenze e le loro élite finanziarie si nutrono delle disgrazie dei popoli, riducendoli al rango di semplici ingranaggi di una macchina che schiaccia tutto ciò che incontra sul suo cammino. Questa farsa economica, in cui il libero mercato è in realtà un terreno di caccia per multinazionali e speculatori, impedisce una reale emancipazione dei popoli.
Ma tutto questo può cambiare, a patto di smantellare le fondamenta di questo sistema. Rompere questo circolo vizioso significa decostruire la falsa promessa dell’economia di mercato e restituire le risorse non alle tasche dei potenti, ma ai veri creatori di valore: i lavoratori, le comunità e le persone stesse. Ciò richiede una riorganizzazione radicale del sistema finanziario globale, dove le regole del gioco non sono più dettate dagli interessi di un’élite autoproclamata, ma dalla volontà collettiva di un’umanità finalmente liberata dalle sue catene economiche.
Il primo passo verso questa liberazione sarebbe quello di rompere l’impunità delle élite finanziarie. La creazione di vere istituzioni internazionali in grado di giudicare e condannare i responsabili dei crimini economici e militari deve diventare un imperativo. Le élite imperialiste devono essere chiamate a rispondere delle loro azioni. Questo è un prerequisito per qualsiasi speranza di stabilire un ordine mondiale basato sulla giustizia.
Un’altra via per l’emancipazione è il decentramento del potere economico. È imperativo rimettere le risorse naturali e i mezzi di produzione nelle mani dei popoli, sostenere i movimenti sociali locali e rompere la morsa delle multinazionali sui governi. Il controllo delle risorse deve essere restituito a coloro che ne sono stati privati per secoli, e non agli attori finanziari che sfruttano le crisi per arricchirsi.
Infine, è necessario ripristinare la sovranità dei popoli. Porre fine all’intervento imperialista significa rafforzare la diplomazia popolare, basata sull’autodeterminazione dei popoli. Le nazioni devono essere libere di scegliere le proprie alleanze, senza pressioni esterne o manipolazioni da parte delle potenze imperialiste.
I conflitti e la violenza che persistono all’inizio del XXI secolo non sono necessariamente inevitabili. È possibile immaginare un altro mondo, un mondo senza imperialismo, un mondo basato sulla solidarietà tra i popoli e sulla giustizia sociale. La storia ci ha dimostrato che la resistenza può trionfare attraverso le rivoluzioni popolari, i movimenti anticoloniali e le rivolte di massa contro l’ingiustizia e lo sfruttamento. È questa visione di un mondo equo e pacifico che deve guidare la nostra vera lotta per liberare l’umanità dal giogo imperialista. Finché queste potenze avranno i mezzi per manipolare i fili del potere, la pace rimarrà un’illusione.
Ma la resistenza non è un’illusione. È la forza viva che rifiuta l’oppressione, la scintilla che alimenta la speranza nel cuore delle tenebre. Non è con la sottomissione, ma con la lotta incessante e collettiva che saremo in grado non solo di ricostruire ciò che è stato distrutto, ma di forgiare un futuro in cui la dignità e la giustizia non saranno sogni lontani, ma una realtà palpabile per tutte le generazioni a venire.
Phil BROQ.
Fonte: jevousauraisprevenu.blogspot.com
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