Metodo Mourinho e Allenamento Tradizionale
L’allenamento di Mourinho si differenzia largamente dall’allenamento calcistico tradizionale, ma anche dall’approccio integrato. Vediamo i capisaldi della teoria dell’allenatore di Setubal.
Quando è arrivato in Italia Josè Mourinho si è fatto, neanche tanto velatamente, fautore di una nuova dottrina in ambito calcistico, una sorta di Dr House del calcio nostrano, completamente fuori dagli schemi tradizionali in fatto di comunicazione, ma probabilmente anche di metodo. Da interista appassionato più che ai colori, alle dinamiche del gioco stesso, mi chiedevo se la serie di “tituli” che compone un curriculum eccezionale (specialmente per un allenatore di 46 anni) fosse frutto della semplice fortuna (prima o poi a qualcuno sarebbe dovuto succedere) o se siamo davanti davvero a un innovatore.
Il miglior modo per allenarsi su uno sport come il calcio è semplicemente.. giocare a calcio. Ovvero un buon allenatore dovrà semplicemente proporre metodiche di allenamento volte ad evidenziare determinati “principi e sottoprincipi di gioco” e a favorirne la loro “introiezione gerarchizzata”. Per poterlo fare sarà necessario perciò agire su determinati aspetti dell’allenamento, che coinvolgono situazioni di gioco, individuale o di squadra, più o meno complesse.
La novità sta nell’assunzione (neanche così tanto banale, visti i canoni delle squadre di calcio professionistiche) che la “forma fisica” sia un concetto totalmente subordinato alla “forma generale”, e di questo ne rappresenti la naturale evoluzione. In parole povere: a che serve un mese di preparazione fisica, dove faccio diventare i miei atleti prima dei fondisti, poi degli sprinter e solo alla fine di tutto ciò gli consegno un pallone e gli faccio fare una partitella, se questi giocatori non hanno nemmeno un’idea del loro sistema di gioco? Se ho poco tempo a disposizione (come è logico che ce ne sia nel calcio professionistico attuale) questo lo spendo per insegnare ai giocatori quale sarà il modo di giocare, per consolidare gli automatismi e per creare delle situazioni facilmente riscontrabili in partita, sulle quali ci si dovrà allenare tenendo altissima la concentrazione (e quindi diminuendo il carico di lavoro, in termini di tempo).
La supercompensazione fisica è derivante dall’allenamento tattico/metodologico. Perciò non sarà necessario che un giocatore sia in grado di correre sessanta metri in 7 secondi, basta che lo sappia fare, anche più lentamente, con la palla al piede e con l’abilità cognitiva di capire se in quello scatto si dovrà cercare un dribbling piuttosto che un uno-due. I cambi di direzione e il lavoro sulle distanze brevi dovranno essere sviluppati simulando situazioni di partita in cui queste qualità son richieste, così come lo sviluppo della forza muscolare. Gli attrezzi della palestra sono vincolati ai periodi di recupero, nel caso in cui i medici lo ritengano necessario.
Insieme al suo preparatore atletico storico Rui Faria, Mourinho ha elaborato una vera e propria enciclopedia delle situazioni allenanti più favorevoli per lo sviluppo di determinate qualità di gioco, e riesce a rendere ogni allenamento diverso dal precedente. Inoltre avrà particolare rilevanza il concetto di “concentrazione”, che è un vero e proprio fattore allenante dal quale non si può prescindere.
Risultato? Gli allenamenti di Mourinho si basano sulla creazione di un’identità di gioco della squadra fin dai primi giorni di preparazione. Vengono aboliti sia la preparazione fisica tradizionale “a secco” che i cosiddetti “richiami” e li si sostituisce con situazioni di gioco volte a migliorare determinati “principi, sottoprincipi e sottoprincipi dei sottoprincipi” di gioco.
Qualcuno potrebbe sostenere che Mourinho non sia un innovatore in questo campo e che questo tipo di allenamento sia stato già sperimentato da tanti allenatori, e venga comunemente definito come “approccio integrato all’allenamento”. La verità è che l’allenamento integrato si basa sull’utilizzo del pallone per la maggior parte della seduta, con esercizi di diverso tipo, che vengono comunque svolti in maniera “meccanica” e senza curare necessariamente l’idea di gioco collettivo della squadra. Vedrete giocatori fare addominali passsandosi il pallone con le braccia dopo ogni ripetizione, o altri esercizi puramente “fisici” mascherati dall’uso della palla. Per Mourinho non esiste niente di tutto ciò.
Ciò che conta è creare problematiche verosimili su cui lavorare, creare situazioni di gioco che accentuino determinati movimenti, ricorrendo a vincoli di vario tipo che pongano i giocatori obbligati a sviluppare determinati fattori allenanti. Il tutto con la massima concentrazione. Non esiste il doppio allenamento con una seduta di tipo “fisico” la mattina e una di tipo “tattico” la sera, per il semplice motivo che i giocatori hanno bisogno di concentrazione, che può essere garantita solo da un numero limitato di ore.
L’esempio più banale proposto dal libro è che una corsa in rettilineo, per quanto lunga e intensa, non richieda uno sforzo di concentrazione elevato. Una situazione di gioco sullo zero a zero in una partita fondmentale a pochi minuti dalla fine richiede quantità elevatissime di concetrazione. Bisogna perciò lavorare sul secondo punto, e non sul primo.
Particolare attenzione si pone poi al discorso del recupero, che dev’essere inteso più come recupero del sistema nervoso centrale, che come recupero fisico (in quanto quest’ultimo ha tempi più brevi rispetto al primo).
Non si può negare il fatto che Mourinho sia stato un ciclone come impatto sul calcio, sia italiano che mondiale. Il tipo di allenamento da lui proposto è il tipico uovo di Colombo. Sembra abbastanza scontato che per ottenere risultati in un certo sport sia necessario perfezionarsi e allenarsi in maniera conforme a ciò che la competizione richiede.
Questo vale soprattutto per il calcio, dove il tipo di fisico conta decisamente meno che in altri sport (nel calcio trovano spazio giocatori di diversa statura, corporatura e caratteristiche tecniche), e ciò che conta realmente è l’organizzazione di squadra. Mourinho è famoso sia per la sua impresa in Champions e in Uefa con il Porto, ma anche e soprattutto per i campionati nazionali vinti (compreso quello di serie A).
Il suo metodo di allenamento infatti, che minimizza il rischio di “picchi di forma fisici”, riesce a mantenere il livello prestazionale di un atleta costante per tutta la stagione. Inoltre lo espone meno agli infortuni, in quanto i movimenti provati in allenamento, e le sinergie muscolari evocate, sono le stesse che poi il giocatore utilizzerà in partita. Il turn-over potrà essere limitato, sia perchè i sovraccarichi fisici son rari, sia perchè è importante sviluppare degli automatismi tra gli stessi elementi della squadra. Meno innesti ci saranno, più sarà facile mantenere l’identità di gioco collettiva.
Un approccio così lineare e banale da essere quasi sconvolgente, e da far pensare, “ma proprio mai nessuno prima di oggi aveva pensato a tutto ciò?”. Forse sì. Probabilmente il metodo di lavoro di Mourinho non è del tutto nuovo, e trova parzialmente riscontro in alcune delle scuole calcio più importanti al mondo, come l’Ajax o il Barcellona. Avete mai assistito a una partita in cui il Barcellona cambia mezza squadra e fa giocare le riserve? E’ incredibile notare come i principi di gioco siano esattamente gli stessi della prima squadra.
Ai ragazzi della cantera del Barca viene insegnato a giocare in un certo modo fin dalla giovanissima età. La prima squadra non si discosta molto come impostazione dalla primavera, e i risultati sono davvero sorprendenti. Ciò non significa che le squadre di Mourinho abbiano uno stile di gioco simile al Barcellona, ma che come nel Barcellona si potrà trovare un’idea di gioco collettiva anteposta ad ogni altro aspetto.
Mourinho è stato un innovatore, perchè ha avuto il coraggio di mettere in pratica le teorie da lui studiate, elaborate ed evolute. Certo, allenatori non ci si improvvisa da un momento all’altro, e per la stesura dei propri modelli di allenamento il Mou ha impiegato diversi anni, in collaborazione anche con Rui Faria. Questo è il motivo per cui la maggior parte degli allenamenti dell’Inter sono svolti a porte chiuse. Copiarlo non è facile, e non solo per una questione di carisma. E’ un grande comunicatore, ma soprattutto un grande allenatore, dal quale prendere esempio e perchè no, cercare un’ulteriore evoluzione delle sue stesse idee.
Simone Moro
Fonte: patextra.it