Quando l’occidente danza sull’orlo dell’abisso
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Carl William Brown
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Sull’orlo dell’abisso
Arriva sempre un momento in cui gli imperi marciscono dall’interno. Non perché vengono attaccati, ma perché sono stati costruiti su menzogne così pesanti da finire per affogarli. Siamo testimoni di uno spettacolo morboso in cui l’Occidente, lungi dal interrogarsi sulla propria decadenza, sceglie deliberatamente di gettare il mondo nel caos.

La guerra, in questa logica perversa, non è più una tragedia da evitare, ma la panacea universale alla quale si sacrificano la ragione, la diplomazia e persino la verità. L’Occidente, vecchio re stanco, maschera la sua agonia con una patina marziale, fa il matamoro sui palcoscenici orientali e si accanisce a far risuonare i tamburi di guerra contro la Russia o l’Iran per coprire il fragore del proprio declino.
La guerra è diventata il suo oppio, la sua droga pesante, il suo diversivo definitivo. Non cerca più la pace, la teme. Perché la pace impone l’introspezione. E questo l’Occidente non osa più farlo. Preferisce far tremare il mondo piuttosto che affrontare il proprio vuoto. Così, in questo quadro cupo, l’Occidente si accanisce nel costruire muri, nell’erigere barriere intellettuali e militari. La Russia, oggetto di tutte le accuse, è dipinta come un mostro, mentre l’Iran è presentato come una minaccia esistenziale. Questa accusa è peraltro denunciata da Teheran come una pura “minaccia immaginaria”. La recente “guerra dei dodici giorni” tra Israele e Iran, caratterizzata dall’intervento diretto e illegale degli Stati Uniti, illustra perfettamente questa strategia di aggressione unilaterale, senza diritto internazionale, sotto la copertura dell’antiterrorismo, ma in realtà con il cinico obiettivo di mantenere il controllo occidentale su una regione strategica.
Ma questa strategia si sta ritorcendo contro i suoi promotori. Il trattato di partenariato strategico globale firmato tra Iran e Russia, prorogato per vent’anni, rappresenta una svolta importante. Rifiutando la subordinazione all’Occidente, questi paesi aprono la strada a una cooperazione multipolare, fondata sulla sovranità, il rispetto reciproco e la resistenza alle sanzioni illegali. Questo modello di solidarietà regionale, sostenuto dalle potenze emergenti dei BRICS, annuncia il declino irreversibile dell’unilateralismo occidentale, un tempo pilastro del suo dominio.
Dagli attacchi del 7 ottobre 2023, orchestrati da Netanyahu e dai suoi scagnozzi per giustificare le loro continue aggressioni, il Medio Oriente è tornato, come sempre, ad essere il terreno di gioco preferito dei piromani geopolitici. Ma questa volta i fiammiferi sono intrisi dell’essenza della disperazione occidentale. Il conflitto non può essere isolato e si inserisce ormai in una spirale più ampia che porta a una brutale ricomposizione dello scacchiere regionale. Come la caduta di Bashar al-Assad, evento a lungo fantasticato nelle cancellerie occidentali, non ha assolutamente portato la stabilità tanto sperata. Ha semplicemente aperto un vuoto, favorevole a tutte le manipolazioni, tutte le ingerenze, tutte le escalation.
Ed ecco che l’Occidente, con il pretesto della lotta al terrorismo, ai regimi “canaglia” e all’asse del “male”, continua a indicare l’Iran, paese sovrano e ribelle all’egemonia americana, come il nemico perfetto. Teheran, che ora viene accusata di tutti i mali, è messa alla gogna mediatica dalla propaganda occidentale come una bestia preistorica che si vorrebbe vedere scomparire per cancellare meglio i difetti delle nostre democrazie vacillanti. Ma l’Occidente non difende più i valori, vende armi.
Il racconto occidentale si è trasformato in un dogma intollerante e assoluto. Non c’è più spazio per il dubbio, l’interrogativo o la complessità. Il dissenso, un tempo linfa vitale del pensiero critico, è oggi criminalizzato, ridotto a un atto quasi sovversivo. Opporsi, pensare in modo diverso, significa ormai condannarsi all’esilio intellettuale o all’emarginazione sociale. Questa guerra culturale è il preludio alla guerra militare, dove nelle menti le parole “dialogo” e “negoziazione” sono state cancellate, spazzate via da un linguaggio bellicoso e manicheo che invita allo scontro cieco. La patina democratica si sta sgretolando, lasciando intravedere la pelle necrotizzata di un sistema che resiste solo grazie all’ignoranza programmata e alla violenza di Stato.
Il popolo occidentale, strangolato da un sistema che lo imbavaglia e lo divide, diventa spettatore di uno scenario che non controlla più. Le vecchie generazioni, rassegnate, vedono le loro voci soffocate da una macchina politico-mediatica implacabile. Quanto ai giovani, sacrificati sull’altare della superficialità digitale, navigano in un oceano di futili distrazioni, con la mente svuotata e il loro impegno ridotto a un clic, a un “like” intercambiabile. Privati della parola, privati del pensiero, questi cittadini dello smartphone vivono in un mondo in cui il confine tra vero e falso, profondo e superficiale, è diventato illeggibile. La società occidentale si sta impoverendo, restringendo, disumanizzando.
Questo degrado spirituale, culturale e intellettuale accompagna il declino materiale di una civiltà un tempo radiosa. La corsa sfrenata allo sfruttamento delle risorse e l’uso del petrodollaro – il cui standard aureo rimarrà l’unico valido anche di fronte all’euro digitale, che è diventato denaro fittizio – hanno accentuato le disuguaglianze e distrutto il buon senso. Al posto di un’etica della cooperazione, l’Occidente offre oggi un’etica bellicosa, un imperialismo brutale che rinuncia ai suoi ideali liberali per abbracciare la logica del conflitto permanente.
Ma l’Iran, proprio come Putin, non ha mai mancato di denunciare questa campagna di demonizzazione. I suoi missili balistici, ci viene detto, rappresenterebbero una minaccia esistenziale. Il termine sa di retorica prefabbricata, di lessico da tribuna, quello che si tira fuori ogni volta che si deve giustificare l’ingiustificabile. Il regime iraniano, senza negare la sua capacità di rispondere, afferma tuttavia di non cercare la guerra. Ed è esattamente ciò che fa la Russia. Questo è un dato di fatto! Ma ciò che disturba è proprio questo, ovvero che questi paesi possano tenere testa alla follia che ha colpito i neoconservatori (termine perfettamente appropriato), sempre assetati di sangue e di debiti, e che possano rifiutare e dimostrare al mondo intero di non voler svolgere il ruolo di burattini designati.
Allo stesso tempo, l’Occidente, e in particolare l’Unione delle mafie europee, si sta sgretolando da tutte le parti. Il suo popolo, quel grande corpo elettorale un tempo sovrano, è imbavagliato da leggi eccezionali, represso con la scusa della sicurezza interna, infantilizzato da discorsi vuoti e emergenze continuamente inventate. La guerra che sta per arrivare non è solo esterna, ma è innanzitutto interna. È una guerra contro la lucidità, contro il dissenso, contro la stanchezza di cittadini sempre più consapevoli che la patina democratica si sta sgretolando a vista d’occhio.
L’Occidente vuole la guerra, non per desiderio di potere, ma per paura della propria impotenza. Cerca di esportare il caos per non affrontarlo in casa propria. La Russia, avversario ideale dal 2014, incarna il contrappunto storico a tutte quelle menti degenerate che giurano solo sulla distruzione dell’umanità. Sono slavi (bianchi), ortodossi (credenti), nazionalisti (orgogliosi), sovranisti (virili), militarmente potenti ed economicamente autonomi. Sono l’anti-Occidente per eccellenza. Anche l’Iran, da parte sua, soddisfa tutti i requisiti che spaventano questi gangster in giacca e cravatta, in quanto repubblica islamica, autonoma e distaccata dalle banche centrali, con una civiltà plurisecolare orgogliosa, una potenza regionale non allineata nonostante gli embarghi e, soprattutto, totalmente ribelle all’ordine decadente occidentale.
L’obiettivo non è più quello di stabilire un ordine mondiale giusto, ma di preservare a tutti i costi un’egemonia vacillante. E poiché i popoli non seguono più, bisogna distrarli, dividerli, stordirli con racconti semplicistici. Il dialogo è morto. La diplomazia è sepolta. Rimangono solo slogan stupidi come “asse del male”, “minaccia esistenziale”, “sicurezza nazionale”. Tutte parole vuote che mascherano l’indigenza di un impero in fase terminale. Ma di fronte a questa logica bellicista, si sta organizzando una risposta. L’Iran e la Russia, due nazioni che si sarebbe voluto isolare, si uniscono per formare un contro-modello.

Ecco perché l’entrata in vigore del Trattato di partenariato strategico globale tra questi due paesi (Iran e Russia) segna una svolta decisiva nelle dinamiche internazionali contemporanee. Questo trattato, che copre un periodo di 20 anni, non è semplicemente un approfondimento delle relazioni bilaterali tra le due potenze, ma un vero e proprio modello di convergenza contro l’unilateralismo occidentale e i suoi strumenti di pressione. Creando circuiti finanziari e tecnologici alternativi, intessendo una cooperazione multilaterale al riparo dalle ingiunzioni di Washington e Bruxelles, essi delineano i contorni di un mondo post-occidentale. Perché ciò che l’Occidente teme di più non è la guerra, ma di non poter più dettare la pace.
Infatti, lungi dal limitarsi a relazioni temporanee o congiunturali, con questo accordo l’Iran e la Russia affermano la loro volontà di costruire una cooperazione pacifica, duratura e orientata al futuro, lontana dalle dipendenze imposte dalle grandi potenze occidentali. Questa partnership è il risultato di una storia condivisa, di esigenze strategiche reciproche e dell’evoluzione del sistema mondiale, in cui gli Stati indipendenti si orientano ormai verso alleanze regionali e multilaterali, privilegiando soluzioni collaborative piuttosto che l’imposizione di modelli unilaterali.
Di fronte all’intensificarsi delle sanzioni economiche e delle pressioni diplomatiche, in particolare da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, che continuano ad applicare risoluzioni ostili contro l’Iran e a sequestrare beni russi, Teheran e Mosca hanno opposto una ferma resistenza. La loro volontà di resistere alle estorsioni occidentali è chiara, poiché respingendo queste manovre coercitive e cercando soluzioni giuridiche e diplomatiche, aprono la strada alla creazione di meccanismi alternativi, come canali finanziari e commerciali indipendenti. Queste iniziative non solo neutralizzeranno l’effetto delle sanzioni, ma rafforzeranno anche lo sviluppo nazionale dei due paesi, consolidando così un nuovo asse strategico, economico, tecnologico e politico, che ridefinisce i rapporti di forza sulla scena mondiale.
Ma in questo tragico quadro, Hamas è in via di marginalizzazione, Hezbollah è indebolito e le alleanze regionali dell’Iran si stanno frammentando sotto i colpi dell’Occidente. Questi sono tutti pretesti per attivare la leva militare e trascinare il mondo intero nel caos tanto caro ai globalisti. Ma ciò che si rifiuta di dire è che il nemico principale dell’Occidente non è né il terrorismo, né Teheran, né Mosca, bensì lo specchio che essi stessi gli tendono. Questo specchio che riflette l’immagine di un modello esaurito, incapace di reinventarsi se non risvegliando i vecchi demoni della guerra fredda e della crociata morale. Questo specchio teso all’Occidente è insopportabile perché riflette una verità troppo nuda di un impero che regna ormai solo con la paura, il debito e la distruzione.
Tuttavia, il pacifismo iraniano, per quanto ambiguo, così come l’infinita pazienza dei russi, non può bastare a placare gli ardori bellicosi di coloro che non hanno più nulla da offrire alla loro popolazione se non paura e diversivi. Si mette il bavaglio, si stigmatizza, si proibisce. E nel frattempo, le élite atlantiste sventolano le bandiere della guerra come si agita un drappo rosso davanti a un toro infuriato. Non è la pace che l’Occidente sta preparando. È una fuga in avanti, una corsa disperata per ritrovare, tra le ceneri di un Oriente devastato, l’illusione perduta della sua passata grandezza. Ma la Storia non si lascia ingannare all’infinito. Giudica, valuta e alla fine fa sempre cadere le maschere.
L’Occidente, in preda alle sue contraddizioni, persiste tuttavia in questa fuga in avanti bellicosa. Ma questa fuga non è che un ultimo respiro, un tentativo disperato di imporre una narrazione militare a una realtà plurale, complessa e mutevole. Il declino non è solo economico, è soprattutto civile, simboleggiato da questa paura panica dell’alterità, da questa chiusura su se stessi che soffoca la creatività, il dialogo e l’innovazione. Il popolo occidentale è anestetizzato. Gli anziani, rassegnati, ripetono ciò che viene loro detto di pensare. I giovani, ottusi da un flusso continuo di vuoto digitale, confondono dissidenza e “like”, impegno e storie su Instagram. Non si discute più, si sceglie da che parte stare come si spunta una casella. L’informazione si riduce a ciò che può essere visualizzato sullo schermo di uno smartphone. La conoscenza diventa sospetta, il pensiero diventa sovversivo.
La vera guerra inizia lì, nella testa. Quando la sfumatura diventa tradimento, quando il dubbio diventa eresia e quando il dissenso diventa terrorismo intellettuale. E mentre si imbavaglia, si stigmatizza e si picchia con il pretesto della sicurezza, le élite occidentali portano avanti il loro programma bellicista. I popoli non votano più, ratificano. Gli eserciti non difendono più, invadono, e la libertà non è più che una parola vuota incisa sulle bombe.
Spetta quindi a coloro che rifiutano la fatalità di quest’epoca riprendere la parola, resistere alla logica bellicista, fare leva sulla loro storia, cultura e identità per offrire un’alternativa credibile. La pace, la cooperazione e l’amicizia tra i popoli non sono utopie, ma necessità vitali, gli unici antidoti alla guerra fabbricata e alle manipolazioni mediatiche. Perché si tratta di un suicidio mascherato da crociata. E in questa marcia macabra trascina con sé un mondo stanco, ma sempre più lucido. Perché ovunque i popoli stanno alzando la testa.
Non stiamo solo vivendo un cambiamento di equilibrio, ma la fine di una narrazione menzognera che provoca il caos sulla Terra. Il tempo del dominio occidentale sta volgendo al termine. E ora tutto il mondo lo sa.
Così, l’Occidente svuotato di significato, impoverito del suo spirito critico e incatenato alle sue illusioni belliche, è un gigante dai piedi d’argilla. Si regge solo grazie alla menzogna e alla paura, e solo sollevando il velo di questi artifici potrà finalmente nascere un altro futuro, più giusto e più umano. L’Occidente rimane in piedi solo perché schiaccia. Sopravvive solo grazie alla paura che semina, alle guerre che scatena, ai popoli che addormenta. Ma anche i giganti crollano, soprattutto quando hanno il cuore vuoto e il sangue intriso di debiti.
Phil BROQ.
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