Detto tra noi!
La categoria dei giornalisti ha attualmente toccato il fondo dando seguito ad un neoliberismo che ha spazzato via una figura professionale che un tempo rappresentava un modello etico e morale il quale era un punto di riferimento per gran parte della collettività.
La miseria sociale che appare davanti ai nostri occhi in questo momento è in gran parte frutto di questi ”autentici criminali” che giocano con la vita delle persone speculando sui fatti e trasformando la realtà in un film dell’orrore per dare poi seguito agli interessi di pochi che da questa trama possono imbastire ogni genere di tutta quella follia quotidiana che appare davanti ai nostri occhi.
A tutti i media ”Mainstream” televisivi, online e della carta stampata un sincero e spontaneo invito a riflettere sulla loro conclamata becera vigliaccheria che manifestano attraverso la loro endemica ipocrisia che li contraddistingue e che li pone alla stregua dei più efferati criminali che mietono distruzione e morte ovunque mettono mano.
Infami del nostro tempo che un giorno saranno ricordati per la loro efferata propensione al male del genere umano in balia della loro vocazione a frantumare ogni barlume di verità.
Toba60
(Invito a non perdere una sola parola dell’articolo in questione che riflette una realtà molto ben consolidata dei nostri tempi)
Siamo tra i più ricercati portali al mondo nel settore del giornalismo investigativo, capillare ed affidabile, ognuno di voi può verificare in prima persona ogni suo contenuto consultando i molti allegati (E tanto altro!) Abbiamo oltre 200 paesi da tutto il mondo che ci seguono, la nostra sede è in Italia, se ve lo potete permettere fate in modo che possiamo lavorare con tranquillità attraverso un supporto economico che ci dia la possibilità di poter proseguire in quello che è un progetto il quale mira ad un mondo migliore!
Il mito del libero arbitrio
Ci siamo convinti, con tragica ostinazione, di essere l’apice della specie umana, di essere altro, di essere superiore. Ma la nostra illusione è vecchia come la storia. Crediamo di aver trasceso la nostra condizione animale, pensando di aver sfondato le mura della natura per raggiungere una trascendenza ideale.

Che si tratti di architetti di algoritmi complessi, di cittadini illuminati di un mondo governato da principi umanisti o di predicatori di una presunta civiltà universale, siamo ancora nel fango. Sì, il fango! È più morbido, più liscio, più profumato, ma è sempre fango. Ci siamo addormentati in una commedia recitata a nostre spese, convinti di essere gli eroi, mentre in realtà siamo solo spettatori prigionieri in un teatro senza fine del nostro autocompiacimento. Non siamo l’eccezione, siamo il problema! Questa è l’essenza stessa della tragedia della nostra epoca.
L’umanità è sempre stata un costruttore di illusioni. Ci siamo persi in una metafisica dell’ego, erigendo cattedrali di principi astratti su fondamenta di ego eccessivo. Ci crediamo liberi, ma non facciamo altro che obbedire. Pensiamo di essere evoluti, ma non facciamo altro che ripetere. Pensiamo di essere nel giusto, ma siamo prigionieri degli stessi impulsi animali che governano i nostri corpi dalla notte dei tempi. E anche quando predichiamo la libertà e l’empatia, ci accontentiamo di un’illusione. Non vogliamo la libertà, ma un’illusione di libertà. Quella che ci permette di credere di scegliere ciò che in realtà ci rende schiavi. Sosteniamo di avere una moralità superiore, ma siamo dipendenti dalla nostra dopamina, dalle nostre comodità, dalle nostre reti sociali. Non siamo liberi, siamo moderni burattini, attaccati a fili invisibili.
L’ignoranza è la nostra più grande amica, perché ci permette di dormire senza soffrire. Preferiamo il conforto dell’ignoranza, la dolce illusione di una vita priva di interruzioni, di domande. È una strategia di sopravvivenza, ma non eccellente. Mantenendoci in questo stato di “non conoscenza”, siamo controllati quotidianamente senza il minimo sforzo.
Perché cercare la verità quando è molto più facile accontentarsi di ciò che ci viene servito su un piatto d’argento? Perché mettere in discussione ciò che ci fa comodo? Da qui l’incredibile efficacia di questa abietta propaganda, che provenga dai media, dallo Stato o da questo grande branco di animali docili in cui siamo immersi fino al collo. I media e il sistema giudiziario, presunti custodi della verità, sono diventati solo strumenti di formattazione. Pensiamo di essere informati, ma siamo solo manipolati. Il flusso incessante di informazioni superficiali ci porta fuori strada, ci soffoca, ci assorda. Eppure vogliamo queste informazioni. Le vogliamo. Dipendiamo da loro.
I media sovvenzionati, i cosiddetti guardiani della democrazia, le cosiddette contropotenze, sono diventati fabbriche di uniformità. Se una grande testata come Le Monde riprende un argomento di cui ha letto su un dispaccio dell’AFP, questo diventa immediatamente un imperativo categorico per Libération, che non può permettersi di non seguirne l’esempio. Ma tutti appartengono ai nostri padroni e sono lì solo per ingannarci, per mentirci, per inserirci nella loro matrice artificiale del mondo. Una sorta di contagio ideologico avviene attraverso la stampa, dove ogni articolo diventa una pallida copia del precedente. Il giornalismo, una professione che dovrebbe illuminare, aprire gli occhi e offrire conoscenza, è diventato una macchina per distorcere la realtà, prigioniera di un’invisibile ma onnipresente autocensura basata sulla corruzione.
L’emittenza pubblica è una farsa. Uno spettacolo grottesco in cui lo Stato pretende di essere il servitore della verità, mentre in realtà è il suo principale falsificatore. La presunta neutralità del servizio pubblico è un’illusione in cui tutto è orchestrato in una sinfonia di propaganda di Stato. Il giornalista, convinto della sua neutralità e della sua completezza, è uno strumento di sottile manipolazione, spesso inconsapevole di non scegliere non solo i suoi argomenti, ma anche il modo in cui vengono presentati, e di plasmare l’opinione come vogliono i gangster che gestiscono il mondo, senza nemmeno esserne consapevole. La neutralità nel giornalismo è solo un’altra illusione, un mito che ci viene propinato per mascherare la realtà.
Ma che senso ha parlare di “neutralità giornalistica” e di pluralità quando queste sono solo un’altra facciata per camuffare un’ideologia dominante, onnipresente e schiacciante? Coloro che si dichiarano neutrali sono in realtà i più pericolosi, perché la loro convinzione che le loro parole siano “pure” e “obiettive” è una maschera ideologica, fabbricata da un manipolo di folli miliardari, che è molto più sottile e insidiosa. Queste prostitute del pensiero sono anche prigioniere della loro stessa visione del mondo, incapaci di vedere che il semplice fatto di scegliere un argomento da trattare tra quelli proposti dall’AFP è già un atto di sottomissione.

I giornalisti francesi, in particolare, si abbandonano a questo conformismo intellettuale, tanto più pernicioso perché si nasconde dietro il mantello della falsa obiettività. Rispetto ai giornalisti americani, che sono molto più onesti intellettualmente, non hanno paura di dire chi sono e come vedono il mondo. I giornalisti francesi, invece, amano nascondersi dietro migliaia di pagine di discorsi apparentemente neutrali, rimanendo terribilmente conformisti e di parte. Sempre soggetti alla propaganda di Stato e incapaci di informare.
Il problema è che tutto questo non è opera di una sola mano. No, non si tratta di un complotto ordito nell’ombra da individui malsani in un salotto silenzioso. No, il sistema funziona a piccoli passi. Ognuno nel sistema dei media fa la sua parte. Che si tratti del piccolo giornalista, del produttore televisivo o dello scrittore impegnato, tutti servono il proprio microcosmo con una convinzione che sfiora l’autoinganno. Ma cosa ci ritroviamo? Un panorama mediatico interamente plasmato dallo Stato, che vorrebbe farci credere che questa diversità di opinioni sia rappresentativa della società. Le Figaro a destra, Libération a sinistra, e tutto va bene nel migliore dei mondi.
Ma la verità è che lo Stato finanzia, sostiene e regola questo sistema, direttamente o indirettamente. E tutto questo gioco da pazzi si basa sul denaro pubblico. Quattro miliardi di euro all’anno! È il prezzo per mantenere questo mostro mediatico statale, che in ultima analisi serve solo a trasmettere una visione standardizzata della realtà. Da France Télévisions ad AFP, l’intero panorama mediatico francese si basa su questi miliardi. E chi ne beneficia? Non il cittadino o il giornalista indipendente, ma una piccola manciata di attori corrotti, tutti legati allo Stato.
La macchina mediatica è interamente sovvenzionata da denaro pubblico, e tutto per creare illusioni di pluralismo e diversità. Basta vedere come lo Stato inietta denaro nei media che sopravvivono solo grazie a questo sostegno. Lo Stato, cioè le nostre tasse, finanzia indirettamente questi media che pretendono di dirci cosa è giusto, cosa è vero, cosa è democratico. E la stragrande maggioranza dei francesi gli crede!
La storia dell’umanità, lungi dall’essere una storia di progressiva emancipazione, è più simile a un lento e inesorabile processo di addomesticamento che di elevazione spirituale e intellettuale. Questo processo non è iniziato con la rivoluzione industriale, ma molto prima, si potrebbe dire addirittura con l’invenzione dell’agricoltura. Dal momento in cui l’uomo ha iniziato a coltivare la terra e a sedentarizzare le sue società, ha perso parte della sua autonomia, parte della sua libertà naturale. Come l’animale domestico che perde l’istinto di sopravvivenza, l’uomo moderno è stato spogliato della sua essenza, ridotto a mero ingranaggio della macchina sociale. Questo processo di assoggettamento ha raggiunto il suo apice: lo Stato, le imprese, le istituzioni – tutti questi moderni padroni – sono riusciti a trasformarci in creature obbedienti, pronte a sacrificare la propria individualità in nome di un illusorio “bene comune” che in realtà non è altro che l’interesse dei potenti.
Il mito del libero arbitrio è una delle più grandi truffe intellettuali del nostro tempo. Credere di agire liberamente, di avere un vero e proprio potere decisionale, è una tragica illusione quando non si hanno le informazioni necessarie e precise. Le nostre scelte sono già fatte molto prima che ne siamo consapevoli. Siamo burattini e i fili che ci legano sono invisibili ma potenti. Pensiamo di essere liberi, ma siamo solo il prodotto di condizioni mediatiche, sociali, economiche e politiche che determinano il nostro comportamento. Il vero libero arbitrio è diventato un miraggio.
In una società in cui tutto è progettato per costringerci e formattarci, il semplice atto di pensare con la propria testa diventa un atto sovversivo. Ma chi ha oggi il coraggio di opporsi a questa macchina? Siamo talmente abituati a essere circondati da catene invisibili che ci convincono di non essere nemmeno più viste, e le masse credono (perché non pensano più!) che tutto sia “normale”, che tutto sia “logico”. Questa è la più grande vittoria di questo sistema marcio che ci fa credere nella nostra libertà mentre ci priva di ogni reale autonomia.
L’uomo si è creduto l’apice della creazione perché ha saputo parlare di sé con parole troppo grandi per la sua stessa lucidità. Ha costruito una metafisica sul suo ombelico, una morale sui suoi impulsi e monumenti sulle sue debolezze. Si è detto che pensava mentre ripeteva. Che si stava evolvendo mentre obbediva. Che amava, quando voleva solo essere amato. Pensa di pensare liberamente, ma non fa altro che ripetere in continuazione il messaggio dominante. Pensa di essere un essere autonomo, ma dipende da ogni pulsante, da ogni segnale, da ogni flusso di dopamina che il sistema gli somministra. Parla di empatia, ma pretende di essere amato prima di capire. Parla di libertà, ma vuole solo scegliere il colore del suo guinzaglio. Non è al di sopra della vita, ma ci è dentro, e questa è forse la sua più grande sfortuna.
Perché gli altri animali non tradiscono la loro natura. L’uomo, invece, la nega. Vuole credere di essere puro spirito, mentre è prima di tutto grembo, sesso e paura. Crede di essere al servizio del bene, quando invece è al servizio della comodità, della riproduzione e del dominio, sempre. La nostra “intelligenza” non è diventata altro che un nome intelligente per la nostra capacità di giustificare l’ingiustificabile.

Tuttavia, non mi vedo come uno di questi individui, perso in questa massa docile, cieca ai suoi stessi condizionamenti. E sono ben consapevole che anche coloro che leggono queste parole non fanno parte di questa massa, o almeno non del tutto. Ecco perché d’ora in poi mi rivolgerò a “Voi”, i docili, e non a coloro che, come me, osservano questo sconcertante spettacolo, presi da questo vortice di conformismo.
Ma voi, che vi siete avventurati qui, non siete i docili schiavi del sistema, i semplici esecutori di una norma soffocante. Perciò uso la parola “voi” per rivolgermi a questa folla che sguazza nell’illusione del progresso, dimenticando se stessa. Ma è necessario gettare questo occhio critico su coloro che si abbandonano a questa morbosa routine, perché includere voi in questo “voi” è soprattutto un promemoria. Un promemoria che ci ricorda che, anche nella nostra ricerca della verità, non siamo totalmente immuni dalle tentazioni della società. È più facile di quanto sembri scivolare, a poco a poco, in questa inerzia collettiva, farsi trascinare da ondate di comodità e di certezza che si rivelano per quello che sono! Vale a dire, catene.
Voi, come individui condizionati, rifiutate deliberatamente di connettervi alla vostra essenza divina, a quel nucleo profondo che vi lega all’universo, alla natura, a ciò che vi è stato dato in modo primordiale e sacro. Piuttosto che riconsiderare la natura come vostra legittima eredità, base della vita e fonte di realizzazione, preferite immergervi in un cieco conformismo, trascinati dall’onda di un progressismo che sogna di riformare ma si rivela suicida. Abbandonate volontariamente questo legame primordiale per un’illusione di progresso, sedotti da promesse di evoluzione senza profondità, dove la disconnessione dalla propria essenza diventa un prezzo da pagare per conformarsi a una norma imposta. Avete scambiato la vostra libertà con catene invisibili e, nella vostra corsa a perdifiato, vi perdete sempre di più in un sistema che vi soffoca mentre promette di liberarvi. Non capite per cosa vivete. Non sapete cosa vi governa. Siete condotti come una mandria, tra il bastone e il secchio di pallini. E questa la chiamate civiltà?
Pensavate di essere qualcosa di diverso da un animale? Pensavate, con le vostre biblioteche complete, i vostri potenti algoritmi e le vostre dichiarazioni di diritti universali, di esservi tirati fuori dal fango da cui siete venuti? Ma siete ancora nel fango. Solo che è stato insaporito con immagini mediatiche, schizofrenia politica e una coscienza già pronta. Vi siete addomesticati. Siete diventati le mucche del vostro stesso mattatoio, che camminano verso la morte bendate, ma rassicurate dal tono gentile del narratore. Siete orgogliosi di non dover più andare a caccia di cibo, ma non vi accorgete che non potete nemmeno sopravvivere da soli. Se si scollega la macchina, si cade. Se si scollega il sistema, non si è più nulla. Avete sostituito la frusta con l’approvazione sociale, l’esecuzione con l’annullamento, il rogo con il bando digitale. È più pulito, più elegante, ma l’intenzione rimane la stessa del comunismo di un tempo, che sapeva solo mettere a tacere, sottomettere e governare.
Pensate di essere liberi perché potete scegliere il colore delle vostre catene. Ma queste catene sono invisibili, sono digitali, sono sociali, sono mentali. Parlate di uguaglianza, ma non riuscite a capire che l’uguaglianza che sostenete è solo una sottile forma di livellamento? Un’uguaglianza che vi livella verso il basso. Perché l’uomo non vuole essere uguale nella dignità, vuole essere uguale nella conformità, nella sottomissione a un ordine superiore che non ha nemmeno la forza di mettere in discussione. Non c’è libertà, ma solo uomini condizionati, un gregge di pecore in cerca di un macello più gentile. E cos’è l’istruzione, l’ultimo baluardo contro il pensiero selvaggio, se non un altro ingranaggio della macchina dell’addomesticamento?
Il potere ha semplicemente cambiato costume. Parla con parole dolci, piange con voi, si indigna con grazia e cattiveria, ma vuole ancora la vostra obbedienza. E voi la date! Meglio ancora, lo pretendete! Perché il pensiero vi spaventa. Perché vedere la realtà così com’è vi respinge. Perché avete capito, nel profondo, che l’universo non vi deve nulla. Che non siete né prescelti, né speciali, né immortali. Così si inventano cause, credenze, valori, hashtag, rituali. E lo si chiama senso. È solo vernice, trucco da quattro soldi.
Perché la verità è che non siete liberi, ma condizionati. Siete prigionieri volontari di programmi biologici che svolgono una missione che rifiutate di vedere nella sua crudele verità e che non è più evoluta di quella degli uomini delle caverne. Il programma prevede 4 fasi: sopravvivere, riprodursi, trasmettere e poi, fortunatamente, scomparire! Ma dovete sapere che la vita è una tragedia, e voi la rifiutate come bambini che piangono per le merendine cadute per terra. E il peggio è che pensate di essere belli, bravi, brillanti… Ma siete vuoti e lo sapete nel profondo! E forse è questa la vera tragedia di questa ricerca della modernità.
Guardatevi, voi che vi aggrappate alle vostre certezze come se fossero boe nell’oceano tumultuoso della vita moderna. Credete davvero che l’ignoranza sia una benedizione? Che il non sapere, l’essere all’oscuro, vi dia una tranquillità che si potrebbe definire saggia? No, amici miei. L’ignoranza non è libertà, è una condizione imposta. Ci si dice che “per fortuna non sappiamo tutto”, ma a che scopo? Per evitare di essere paralizzati dalla realtà? Per evitare il sovraccarico di informazioni che potrebbe scuotervi dalla vostra routine ben oliata? La vostra mente è satura di banalità, intrattenimento, comodità illusoria e supremazia monetaria. I vostri cervelli sono spugne imbevute di banalità, non per arricchire il vostro pensiero ma per soffocare la verità. Le informazioni, come parassiti, si insinuano nei vostri pensieri e voi accettate questa invasione. Anzi, peggio ancora, la spacciate!
Siete sommersi da numeri che non hanno alcun impatto sulla vostra vita, da dibattiti su argomenti privi di profondità, da idee che servono solo a distrarre la vostra attenzione da ciò che è essenziale. E voi evitate le domande essenziali su chi siete, dove state andando e perché continuate a vivere questa vita senza pensarci due volte?

Perché un giorno, presto, vi ritroverete a discutere dell’ultimo incidente per il quale non potete fare nulla, su un canale di disinformazione 24 ore su 24, 7 giorni su 7, come un automa, e vi ritroverete a difendere una propaganda che è stata ripetuta più e più volte, ma che voi accettate senza mai porvi la minima domanda. Non capite più cosa è veramente importante. Ripetete senza pensare quello che vi viene detto. Siete spettatori che giocano a fare gli attori, solo che in questa grande farsa siete voi i burattini, non i burattinai.
E tutto questo per cosa? Per alimentare questo flusso infinito di conoscenze superficiali, che danno l’illusione di essere informati e mascherano la mancanza di sostanza, profondità e umanità? Non è un caso che siamo arrivati a questo punto, è una strategia deliberata. Vi manteniamo nell’ignoranza necessaria, nell’oscurità, in modo da rendervi dipendenti da coloro che detengono la vera conoscenza “utile”, che modellano la vostra percezione tutto il giorno sui vostri smartphone e sui vostri media preferiti, che vi dicono cosa pensare, cosa credere, cosa dire, cosa fare! Ma in fondo non è questo che volete? Questa comodità da pecora. Questa negazione della vostra inutilità, della vostra incapacità di vivere, di essere liberi, di avere coraggio o brio? Tutto ciò che sapete è come essere indifferenti alla verità. D’altronde, perché cercare di sapere quando ci si può accontentare di una versione semplificata della realtà, che ci mantiene in uno stato di docilità accettabile?
Ma l’ignoranza, la negazione volontaria della conoscenza, non è nemmeno un’opzione per tutti. Perché solo una piccola élite benestante riesce a liberarsi da questo peso e si nutre di informazioni selezionate. Ma le masse non hanno questo lusso. No, sono bloccate, bombardate da idee preconfezionate e le ingoiano senza battere ciglio. Non ha nemmeno il tempo di pensare, i mezzi intellettuali e nemmeno il desiderio di farlo. L’autodistruzione è diventata la sua sorte. Ma non si tratta solo di sfortuna. È diventato un meccanismo di sopravvivenza naturale che è stato impiantato in ogni individuo.
Quest’ultimo non vuole essere escluso, non vuole essere l'”outsider”, il “teorico della cospirazione”, l'”antisemita” che mette in discussione il sistema e ne vede i difetti. Sarebbe troppo doloroso da sopportare. Ciò che lo guida, questo triste individuo, è l’istinto del branco, questo bisogno viscerale di appartenere a questa massa brulicante, di fondersi nel branco, di scomparire nel flusso ininterrotto di intrattenimento inutile e futile.
E non pensate che io sia qui solo per sputare su questa folla cieca. No! Sto solo cercando di essere quello che vi scuote, quello che vi dice che c’è un altro modo di vivere. Ma so anche che questo sistema si basa interamente su questa massa senza cervello. Senza di essa, tutto crollerebbe! Questo è il prezzo che dobbiamo pagare per mantenere l’unità di questo mondo fasullo, la fragile pace che permette ai tiranni di regnare, la stabilità di una società corrotta che non si evolverà mai più. Ed è qui che c’è bisogno di voi, naturalmente! Ma solo per mantenere l’ordine in questo mondo gestito da furfanti, non per reinventarlo.
Nella vostra sottomissione, nel vostro conformismo, preservate un equilibrio precario e ciò che deve essere preservato per mantenere i vostri padroni al loro posto. Siete voi che permettete alla macchina di funzionare, all’industria, all’economia e alla politica di alimentarsi della vostra inerzia. Ma non mettete mai in discussione il modello che vi ha reso schiavi per generazioni. Vi uccide creando guerre, vi rinchiude parlandovi di giustizia, vi rovina invocando la solidarietà e vi diluisce imponendovi la diversità. Siete gli ingranaggi ben oliati di un meccanismo di sottomissione antico come le colline.
Ma il vero problema è che non lo sapete nemmeno! Ignorate deliberatamente e consapevolmente questa tragedia, questo piccolo sacrificio quotidiano della vostra libertà, questa costante negazione del vostro reale potenziale, questa formale esclusione della vostra identità e dei vostri doni. E coloro che vi sfidano, coloro che vi dicono che è ora di pensare in modo diverso, sono visti come pazzi, come piantagrane, come estremisti. Perché per un uccello nato in gabbia, immaginare di volare nel cielo verso il firmamento è una malattia, e vederlo è un’eresia!
Lasciatemi dire che la verità è inquietante, e sono d’accordo. Perché distrugge quella che credete essere la vostra sicurezza, quella che chiamate la vostra “tranquillità”. Perché vi costringe ad agire, ad essere, a rimanere nel disagio del dubbio e della domanda costante. Perché ti costringe a vivere semplicemente! Ma per coloro che osano, per tutti coloro che come me non danno mai nulla per scontato, non accettano di essere guidati o manipolati… Capiscono cosa sto cercando di dire e provocare con questo testo!
Non sto cercando di farvi credere di possedere la verità assoluta o un idealismo fuori dalla mia portata. Al contrario, so di non sapere nulla! Ma si tratta di rendere ogni momento della mia vita più vivo, più autentico, più umano, più realistico sul mio ruolo su questa Terra, in questa vita, in questo corpo. Soprattutto, si tratta di liberarmi dalle catene invisibili di questa comodità adulterata che la TUA inerzia mi impone. Si tratta di liberarsi dalla sottile morsa della propaganda quotidiana che vi fa credere di aver scelto qualcosa da quando siete nati. In realtà, non avete scelto nulla per molto tempo… Al massimo, vi siete lasciati scegliere!
Eppure ci sono ancora voci dissenzienti, qualche recalcitrante che cerca di infrangere questa gabbia dorata, ma sono sempre più rare e ridotte ai margini. Lo scetticismo, la critica e la riflessione sembrano superati in un’epoca in cui preferiamo crogiolarci nel comfort intellettuale del pensiero unico. I veri resistenti stanno diventando sempre più discreti, annegati sotto il peso delle grandi masse del conformismo sociale e mediatico. L’unico contropotere che esiste oggi è quello di un pugno di coscienze lucide, ma anche loro sono deboli di fronte all’immensità del sistema. Siamo tutti troppo stanchi, troppo stanchi, troppo disgustati per continuare a cercare di svegliarvi.
Le vecchie élite di resistenza, come la nobiltà, la cavalleria e il clero, sono state schiacciate a suo tempo. Oggi, tutto è assorbito dal miraggio mediatico della società moderna, questo potere tentacolare che estende i suoi artigli su ogni aspetto della nostra vita. La salvezza, se esiste, sta in una radicale e personale presa di coscienza di questa alienazione. Ma chi è pronto a fare questa presa di coscienza, questa ribellione contro se stessi, contro il proprio benessere?
E che dire dell’istruzione, l’altro strumento di addomesticamento per eccellenza? Le scuole moderne non producono individui liberi e critici, ma macchine formattate, condizionate a obbedire. Ci insegnano a essere cittadini docili, a rispettare regole assurde, a non mettere mai in discussione l’ordine stabilito da altri. Quello che dovremmo insegnare ai nostri figli è molto di più di un semplice galateo sociale. Dobbiamo coltivare i loro istinti, le loro intuizioni, le loro doti naturali di capire il mondo come è realmente, senza lasciarsi ingannare dai dogmi del politicamente corretto e del conformismo. Abbiamo bisogno di un’educazione agli istinti, un’educazione che ci insegni a pensare, a sentire, ad agire, a resistere, a essere liberi e sovrani. Un’educazione che ci liberi dall’alienazione, invece di spingerci sempre più in là.
Tutto questo non è altro che un sofisticato meccanismo di controllo mentale su larga scala. Lo Stato, tiranno onnipresente, ha bisogno di nutrirsi all’infinito delle menti dei suoi sudditi. È un mostro insaziabile, sempre alla ricerca di nuove cause da abbracciare per giustificare la sua esistenza e, soprattutto, per rafforzare il suo potere attraverso la divisione e governare attraverso la paura. Non c’è democrazia in questo sistema, c’è un’industria per la produzione di opinioni, una fabbrica per plasmare le coscienze, una macchina per schiacciare le coscienze, una ragnatela per spegnere ogni libertà e pensiero. Ma chi trae vantaggio da questa illusione? Nessuno, se non lo Stato stesso, che usa questa illusione per dare credibilità alle sue false narrazioni.

E ogni attore del sistema sa quale ruolo svolgere, in quale momento, per trasmettere il messaggio. Tutto è perfettamente oliato. Il popolo, quel fantasma di cui tutti dicono di preoccuparsi, viene cullato da queste narrazioni prefabbricate e orchestrate. Pensano che ciò che vedono sui loro smartphone o in televisione sia un prodotto di qualità e oggettivo, mentre in realtà è semplicemente una mercificazione dell’opinione pubblica. La cosa peggiore è che questo sistema non sembra nemmeno scandalizzare le masse. La gente paga le tasse senza battere ciglio per finanziare questa macchina per uccidere l’umanità.
Ma è davvero normale che sia diventato quasi impossibile per un mezzo di comunicazione indipendente sopravvivere di fronte a una tale manna finanziaria statale, che perpetua una forma di monopolizzazione dell’informazione e dell’educazione? È normale che nessuno compri più libri di autori indipendenti, ma che tutti si abbonino a NetFlix? Come possiamo far sentire la nostra voce quando le masse si rifiutano di aprire gli occhi e le orecchie?
Perché questa visione del mondo, che ci dice che tutto è una questione di patriarcato o di manipolazione sociale, non è solo falsa ma anche pericolosa. Impedisce agli individui di affrontare la realtà delle loro differenze naturali e di accettarsi così come sono. È assurdo sostenere che non esistono differenze biologiche, intellettuali o culturali tra uomini e donne e imporre questa visione uniforme a tutta la società. Il progressismo, nella sua forma attuale, non combatte l’ingiustizia; alimenta l’invidia, la frustrazione e l’illusione del vittimismo. Attacca le differenze naturali tra i sessi e vuole cancellarle in nome dell’uguaglianza assoluta. Invece di difendere i diritti di ogni individuo, impone un modello standardizzato che non rispetta né le aspirazioni individuali né le particolarità biologiche. È una violenza morale, un attacco alla diversità umana.
Come uscire da questa trappola? Come ristabilire un’autentica libertà di pensiero e di espressione? In fin dei conti, tutto si basa sulla stessa logica di una società libera che deve essere organizzata sulla base della concorrenza e dell’autenticità, non della manipolazione statale. Gli individui devono smettere di essere soggetti docili, che pagano senza discutere, che pensano senza mettere in discussione. Finché questa mentalità persisterà, il sistema di oppressione, sia esso mediatico, statale o ideologico, rimarrà intatto.
La resistenza, e quindi la libertà, si realizzerà solo attraverso la disobbedienza intellettuale, la consapevolezza della trappola in cui viviamo e, soprattutto, attraverso l’azione individuale contro la standardizzazione del pensiero. Ma è così comodo appiccicare etichette alle cose e dirci che ciò che non capiamo è fantastico. L’intelligenza viene presentata come un artefatto, la libertà come una “grande scoperta” da etichettare, vendere ed esporre come l’ultimo pezzo del puzzle della nostra umanità. E se scaviamo un po’ più a fondo, ci troviamo di fronte a un’immagine della società in cui la ricerca del riconoscimento, quella famosa gloria, non è una sete innata ma una costruzione sociale. È l’eco del primate, dell’homo sapiens che è in tutti noi, che cerca in tutti i modi di distinguersi dal branco.
Questa frenetica ricerca di potere e status è antica quanto l’umanità stessa. E forse, se seguiamo questa linea di ragionamento fino alla sua conclusione, è molto più semplice considerare che l’essenza dell’essere umano è solo un riflesso di questa incessante lotta per l’autorità, una danza perpetua di ego e sopravvivenza. Perché, a ben guardare, tutto il resto sembra essere solo rumore di fondo, decorazioni superficiali su una realtà cruda e senza fronzoli. Siamo creature condizionate, prigioniere dei nostri desideri, dei nostri bisogni e delle strutture sociali che ci governano, per meglio uccidere le nostre anime.
Ciò che chiamiamo “progresso”, “evoluzione” o “libertà” non sono altro che l’illusione di un controllo che non possediamo. Gli ideali che brandiamo, le cause che difendiamo, spesso non sono altro che estensioni di questo desiderio di dominio, di questa aspirazione a marcare il nostro territorio in un mondo che ci sfugge.
Quindi, in questo mare di artificio e vanità, la vera domanda è: abbiamo mai avuto una scelta? E se è così, siamo pronti ad accettare la verità che ci sfugge, a riconoscere l’ombra che si cela dietro le nostre ambizioni? Forse, se smettiamo di rincorrere questa immagine di noi stessi, potremmo finalmente essere in grado di mettere il dito su qualcosa di più autentico, di più reale.
Ma per farlo, dobbiamo prima smettere di scappare. E pochi sono pronti a farlo. La resistenza oggi non consiste più nello sventolare striscioni o inveire contro il potere visibile. Si tratta di imparare a essere di nuovo umani. Resistere significa rallentare laddove tutto ci spinge ad accelerare, scegliere di essere piuttosto che di avere, di essere presenti piuttosto che di esibirsi. In un mondo in cui l’anima è soffocata dall’illusione del progresso, diventa urgente riconnettersi alla nostra saggezza ancestrale, ai nostri doni naturali, a quella parte dimenticata di noi che sa ascoltare la Terra, leggere i segni, sentire invece di consumare.
E se la vera rivoluzione fosse interiore? Un’alchimia discreta, una riappropriazione della nostra sovranità perduta, coltivando l’umiltà, la semplicità, la consapevolezza, il dono di sé e la consapevolezza degli altri? Tornando a essere umani, pienamente, lucidamente, compiremmo l’atto di resistenza più radicale che esista, rifiutando il suicidio collettivo del modernismo sfrenato e tornando a essere custodi del vivente e di noi stessi.
Quindi pensateci…
almeno una volta nella vita!
Phil BROQ.
Fonte: jevousauraisprevenu.blogspot.com
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