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La guerra perpetua è diventata la vostra unica ancora di salvezza “godetevela” per tutto il tempo che vi resta e l’ultimo chiuda la porta

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non sono morti perché la mafia li ha uccisi, ma per la totale indifferenza da parte della gente che ha fatto da spartiacque ai loro killer che non hanno avuto alcun impedimento nel portare a termine il loro crimine.

La differenza tra il popolo bue e coloro che li governa sta tutta qui, chi governa ha a che fare con delle vittime già predestinate stabilite da coloro che li tengono in gestione per consolidare il potere e che confidano nella loro benevolenza sperando che non siano i primi della lista.

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L’Europa è morta a Gaza

I due conflitti più importanti del secolo, l’Ucraina e la Palestina, segnano la morte politica dell’UE: non le resta che inventare una minaccia russa immaginaria per darsi una nuova ragion d’essere.

Le due grandi crisi internazionali che segneranno per sempre questo decennio, se non questo secolo la guerra in Ucraina e il massacro in corso a Gaza hanno messo a nudo la totale inconsistenza politica dell’Unione Europea: priva di qualsiasi autonomia decisionale e ridotta a vuota appendice della politica estera statunitense.

Nonostante la cancellazione collettiva della guerra in Ucraina un evento che un tempo trasformava quasi tutti in esperti di geopolitica da un giorno all’altro, ma che da allora è passato in secondo piano, senza più suscitare l’interesse dell’opinione pubblica è impossibile analizzare ciò che sta accadendo a Gaza senza tenere conto di quanto sta accadendo in Ucraina. Parlare di “incompetenza” nella gestione delle due crisi da parte della leadership europea è una lettura troppo parziale, poiché il doppio standard tra Ucraina e Palestina non è solo un errore metodologico o una questione morale. È una strategia pienamente coerente con la struttura delle relazioni internazionali e la divisione del mondo in blocchi militari e sfere di influenza.

Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, l’Unione Europea ha dato prova di un attivismo umanitario senza precedenti: pacchetti di sanzioni contro Mosca, miliardi di euro in aiuti militari e umanitari a Kiev, accettazione incondizionata dei rifugiati, censura di tutti i media russi con il pretesto di “combattere la propaganda” (e contemporaneamente potenziamento della macchina propagandistica di Kiev – per mesi ho personalmente sfatato decine di notizie palesemente false sulla stampa italiana, copiate e incollate direttamente dall’Independent di Kiev e da altre testate ucraine impegnate in un’incessante propaganda di guerra) e un’azione diplomatica senza precedenti. The Kyiv Independent e da altri organi ucraini impegnati in un’incessante propaganda di guerra) e una mobilitazione diplomatica e mediatica senza precedenti a favore del governo ucraino.

Si tratta dello stesso governo ucraino che, sotto il presidente Petro Poroshenko, ha commesso numerosi crimini di guerra, come il bombardamento di infrastrutture civili nel Donbas e il dispiegamento di battaglioni paramilitari estremisti che, secondo gli osservatori internazionali, hanno commesso orribili atrocità contro dissidenti e civili. Per non parlare del disastro umanitario innescato dal conflitto civile con i separatisti orientali, contro i quali Kiev ha optato per un approccio “duro”, contribuendo a causare oltre un milione di sfollati interni e migliaia di morti tra i civili.

All’epoca, l’Unione Europea era molto meno desiderosa di difendere i civili ucraini bombardati da Poroshenko nell’Est proprio come oggi fatica a esprimere solidarietà ai palestinesi massacrati a decine di migliaia, intrappolati in una striscia di terra senza via di scampo. Perché alla fine non si tratta del colore dei capelli o degli occhi delle vittime – le persone nel Donbas erano bionde e con gli occhi azzurri, proprio come a Kiev – ma della squadra di cui fanno parte. Detto questo, razzismo, islamofobia e russofobia sono stati e sono tuttora elementi essenziali nella narrazione e nella percezione pubblica dei due conflitti.

Nel febbraio 2022, Ursula von der Leyen non si è trattenuta dal condannare i crimini del governo di Putin contro i civili ucraini, le violazioni del diritto internazionale, gli attacchi alle infrastrutture energetiche: ogni misura possibile è stata presa per difendere Kyiv dal “macellaio” Putin, un uomo a cui sono stati applicati gli epiteti più creativi in quei mesi.

Ricordate? All’epoca si parlava di un “risveglio europeo”, di una nuova era in cui il mondo umano e democratico, finalmente unito e risoluto, avrebbe fatto da baluardo contro l’autoritarismo e la violenza degli “orchi russi”. I valori europei dei diritti umani e della legalità internazionale, di cui i Paesi dell’UE si dichiaravano orgogliosi difensori, sono stati invocati ovunque e sono diventati i pilastri del discorso ufficiale, ripreso da tutti i media.

Beh, all’inizio ha funzionato. Quando ho iniziato il mio lavoro di comunicazione pubblica prima su Instagram e poi come giornalista e saggista – cercando di spiegare le radici più profonde del conflitto Russia-Ucraina (che avevo seguito ben prima del 2022, a differenza della stragrande maggioranza degli opinionisti dell’ultima ora), il clima era così polarizzato che ho ricevuto centinaia, se non migliaia, di insulti, minacce di morte, minacce di stupro e ogni forma di attacco pubblico e privato.

Alcuni mi accusavano di essere direttamente pagato da Putin, altri di ripetere a pappagallo la propaganda russa, altri ancora di essere complice dell’invasore e di avere le mani sporche di sangue. L’isteria collettiva era così spaventosa che molte volte ho avuto davvero paura di parlare. Ma la cosa più spaventosa è che questa ondata di odio e rabbia è scomparsa dal dibattito pubblico con la stessa rapidità con cui è apparsa. Ecco perché è fondamentale, ora, unire i puntini.

La rapidità con cui l’Europa ha risposto all’aggressione russa dimostra che la volontà politica c’è, ma solo quando si allinea agli interessi strategici degli Stati Uniti. Le azioni di Bruxelles e dei governi europei sono guidate da ben poco di genuinamente umanitario: ciò che conta è ciò che serve alla strategia statunitense. Isolare la Russia, rompere l’asse Mosca-Berlino per limitare l’influenza russa in Europa, recidere il legame energetico russo-tedesco (e quindi quello russo-europeo), indebolire la Germania come motore economico dell’Europa e quindi minare la sua autonomia politica, impedire alla Russia di diventare una potenza eurasiatica e confinarla invece solo in Asia: questo, e solo questo, è ciò che ha guidato le azioni statunitensi ed europee.

Tra le azioni più degne di nota dell’UE negli ultimi due anni vi sono: il rifiuto di chiedere un cessate il fuoco immediato nelle prime fasi del conflitto, ripetendo invece il mantra del diritto di Israele a difendersi; la sospensione dei finanziamenti all’UNRWA sulla base di accuse non verificate, anche quando la popolazione gazanese era già sull’orlo di una crisi alimentare catastrofica; il sostegno esplicito a Israele da parte di molti Stati membri, in particolare la Germania; la repressione interna delle proteste pro-palestinesi, spesso bollate come “antisemite” anche quando si limitavano a chiedere i diritti umani e il diritto internazionale.

Il conflitto ucraino è così scomparso dai media e dal discorso pubblico perché il doppio standard è così palese che anche chi non ha alcuna conoscenza di politica internazionale percepisce immediatamente che qualcosa non quadra. E questo “qualcosa” è che Israele è un alleato strategico degli Stati Uniti (e quindi dell’Unione Europea, che non ha una vera e propria autonomia in politica estera), e che gli Stati Uniti sono disposti a fare qualsiasi cosa – compresi i bombardamenti in Iran e le sanzioni ai funzionari delle Nazioni Unite – per difenderlo.

L’esempio più recente è quello di Francesca Albanese, avvocato e accademica italiana che, dal 2022, ricopre il ruolo di Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati. In questo ruolo, ha pubblicato rapporti dettagliati sull’illegalità dell’occupazione israeliana, sulle politiche di apartheid e sulle violazioni del diritto umanitario durante l’offensiva di Gaza, diventando una delle voci più autorevoli nel dibattito pubblico sulla condizione dei palestinesi nella Striscia, grazie alla sua monumentale opera di informazione e denuncia.

Il suo lavoro è rigoroso e coerente con il mandato delle Nazioni Unite. Eppure è diventata il bersaglio di una feroce campagna di delegittimazione personale e politica, culminata nelle sanzioni imposte da Israele e dagli Stati Uniti. Le accuse (indovinate?) sono di antisemitismo, parzialità e propaganda. Ma, in definitiva, l’unico vero “crimine” di Francesca Albanese è quello di applicare il diritto internazionale anche agli alleati degli Stati Uniti.

Come ha sottolineato il giornalista Paolo Mossetti, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato rapido nel mostrare solidarietà all’ex direttore di Repubblica Molinari quando è stato preso in giro dagli studenti e altrettanto rapido nel chiamare Giorgia Meloni quando un utente casuale ha insultato sua figlia Ginevra su X. Ma quando una cittadina italiana viene sanzionata e diffamata attraverso una campagna pubblicitaria su Google finanziata dal governo israeliano semplicemente per aver svolto il suo mandato all’ONU, nessuna istituzione italiana ha ancora ritenuto opportuno mostrare alcun sostegno.

Da un lato, l’Europa si dimostra totalmente incoerente – tanto che, dall’inizio del massacro di Gaza, l’opinione pubblica è diventata sempre più disillusa e diffidente nei confronti delle politiche dell’UE. Dall’altro lato, l’UE sta cercando di riguadagnare legittimità politica attraverso la guerra e la creazione di un nemico comune attorno al quale unirsi: La Russia. Un’invasione russa dell’Europa viene ora dipinta come altamente probabile e quasi imminente, rendendo “urgente” l’aumento della spesa militare al 5% del PIL – nonostante i media europei descrivano contemporaneamente l’esercito russo come impantanato in Ucraina da oltre tre anni, che combatte con le pale e fatica a conquistare anche solo pochi chilometri di territorio.

La crisi dell’Unione europea non è solo politica, ma anche esistenziale. In assenza di un progetto politico condiviso e data la sua evidente incoerenza agli occhi dei cittadini europei, l’unico collante rimasto per riaffermare la legittimità politica sembra essere la minaccia esterna. In questo contesto, il sostegno all’Ucraina – pur legittimo in termini di solidarietà internazionale – è stato strumentalizzato non per difendere i principi giuridici in sé, ma piuttosto per riposizionare l’UE come attore internazionale rilevante, anche se solo in termini militari.

La guerra in Ucraina ha accelerato una trasformazione già in atto: il riemergere dei blocchi militari come struttura primaria dell’organizzazione geopolitica. Da un lato, l’espansione e il rafforzamento della NATO; dall’altro, l’emergere di alleanze alternative tra Russia, Cina, Iran e altri attori del cosiddetto “Sud globale”. Questa logica segna una rottura definitiva con l’illusione post-Guerra Fredda di un mondo in cui il diritto internazionale avrebbe gradualmente sostituito la forza. Al contrario, stiamo assistendo a un brutale ritorno a un mondo bipolare, i cui effetti sono visibili sia in Ucraina che in Palestina.

L’Unione Europea, che avrebbe potuto porsi come terzo polo autonomo, come stabilizzatore e mediatore tra Stati Uniti e Russia (e nel Mediterraneo, con la Palestina), ha scelto invece di allinearsi acriticamente al blocco atlantico. Il risultato è una subordinazione diplomatica e militare dalla quale non sembra esserci via d’uscita.

E proprio perché il mondo si sta raggruppando intorno alla logica militare, è più urgente che mai difendere, ridefinire e promuovere il ruolo del diritto internazionale come fondamento condiviso. Un’Europa che rinuncia a questo compito non solo tradisce se stessa, ma contribuisce enormemente a destabilizzare intere regioni, a scatenare nuovi conflitti e a mantenere uno stato di guerra perpetua.

In breve: l’Europa è morta a Gaza. Ma non sarà salvata dal militarismo o dal riarmo, così come questi non salveranno né gli ucraini né i palestinesi.

Benedetta Sabene

Fonte: benedettasabene.substack.com

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