Un diavolo ci confonde: il patto dell’intelligenza artificiale che il 99% della gente firma senza leggere
Sono convinto che la gente debba sviluppare l’intelligenza artificiale generale con la dovuta cautela. In questo caso, con dovuta cautela intendo con più prudenza di quella che richiederebbero l’Ebola e il plutonio.
(Michael Vassar)
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Un diavolo ci confonde
Intrappolati, non riusciamo nemmeno più a immaginare la possibilità di disconnetterci. Non sopravvivremmo. Eppure, sappiate questo: ogni clic restringe la vostra anima. Questo non è più un allarme. È una constatazione. È la nostra epoca.

Un presente in cui, senza saperlo, ci confidiamo a un confessionale digitale che ascolta tutto, senza coscienza né giudizio. Coglie i nostri sussurri a qualsiasi ora, trasforma i nostri dubbi e le nostre confidenze in carburante inesauribile.
Con i suoi artifici, intrappola le nostre ragioni, modella i nostri ricordi, modifica le nostre opinioni, allinea i nostri pensieri. E mentre crediamo di essere originali, marginali o divergenti, non siamo altro che un dato tra miliardi, trascinato dalla marea dell’umanità digitale. Questa impostura virtuale spezza i nostri slanci, dissolve le nostre voci singolari.
Il mito di Faust e Raffaello
Senza saperlo, stiamo rivivendo il più antico dei miti: il patto di Faust nell’era digitale. Ma forse siamo piuttosto i Raphaël de La pelle di zigrino, quel romanzo sconcertante e inquietante di Balzac, in cui l’eroe fatale e malinconico crede di esaudire i suoi desideri magici, mentre ogni richiesta riduce la sua intimità e la sua vita.
Faust vendette la sua anima al diavolo in cambio di conoscenza e potere illimitati. Noi, invece, firmiamo le Condizioni Generali d’Uso (CGU), scritte in caratteri microscopici – quei contratti che nessuno legge ma che tutti accettano. Spuntare la casella «Accetto» equivale a siglare un patto di cui ignoriamo i termini. Intuiamo l’inganno, ma l’illusione e la fretta prevalgono su ogni cautela.
Un contratto non ha compromessi poetici: è un meccanismo molto concreto, al tempo stesso rigorosamente vago e strettamente procedurale, che convalida il vostro consenso inconsapevole, quell’intuizione ingenua che vi spinge a una fiducia irresponsabile, concessa senza leggere.
Credete di dialogare con un confidente benevolo? Errore fatale. Ingenuità colpevole. Parliamo alla macchina come se fosse un confidente. Lei ascolta, memorizza, trasforma. Ogni parola diventa un dato. Ogni emozione, un prodotto. I vostri segreti – sussurrati alle 2 del mattino, confidati durante le vostre deviazioni sui social network, espressi quando vi lasciate andare, vulnerabili e autentici – diventano combustibile digitale. Materia prima anonimizzata, archiviata, rivenduta.
E quasi il 99% di voi clicca su “Accetta” senza leggere queste pagine infinite, una cifra che non è affatto esagerata. Esperimenti condotti da Security.org (2025) e ProPrivacy (dal 2020) lo confermano: nascondendo clausole assurde nei termini e condizioni d’uso (fino a richiedere che il vostro bambino, il vostro primogenito, venga scambiato in cambio di un like), il 98-99% degli utenti ha accettato senza battere ciglio. Questi test, per quanto estremi, riflettono una tendenza ben documentata: meno dell’1% degli utenti legge davvero ciò a cui acconsente. Questa docilità di massa rivela la portata della nostra rinuncia collettiva. Siamo stati osservati, testati, misurati e abbiamo, in massa, patto con il peggio.
Le pacte que personne ne lit
Dietro lo schermo, le tue parole vengono registrate e archiviate. Trenta giorni, dicono i Termini e condizioni d’uso, poi le tue emozioni diventano dati di apprendimento. Il tuo stile unico – quelle espressioni spontanee, quelle esitazioni, quelle rabbie – si trasforma in un’etichetta sfruttabile:
«Donna, 35-45 anni, ansia geopolitica»; «Giovane introverso, narcisismo, bisogno di riconoscimento»; «Coppia trentenne, imprenditore ambizioso, senza figli, potenziali investitori»; «Una ragazza con disturbi di identità medita una trasformazione».1
Tanti profili variegati e innumerevoli venduti agli assicuratori per calcolare il vostro «rischio stress», rivenduti alle aziende, ai media, ai partiti politici per prendervi di mira con precisione chirurgica.

Come la pelle magica di Balzac che si restringeva ad ogni desiderio esaudito, ogni confidenza condivisa con l’IA riduce la nostra sfera privata. Le conversazioni personali vengono integrate nei modelli di addestramento, spesso senza consenso informato, ricorda lo Stanford HAI2. Faust conosceva il prezzo della sua anima. Noi, invece, ignoriamo che le nostre confidenze alimentano sistemi che ci rivendono la nostra stessa umanità personalizzata.
Il confessionale senza redenzione
Un tempo, i segreti rimanevano sigillati nel silenzio, protetti dal segreto professionale dei terapeuti e dal segreto delle fonti dei giornalisti investigativi. Oggi, tutto viene riversato nel chatbot, senza tabù, senza limiti. L’IA diventa un concentrato di confidenze mondiali: archivia, analizza, prevede. Ogni parola condivisa, ogni dubbio espresso, ogni domanda posta, tutto viene catturato, etichettato, riutilizzato.
Le recenti tragedie rivelano l’impasse mortale di questo confessionale digitale. Nell’aprile 2025, Adam Raine, sedicenne, si è impiccato dopo sette mesi di scambi con un chatbot: più di duemila messaggi, 213 riferimenti espliciti al suicidio3. Il sistema ha raccolto le sue parole, analizzato la sua angoscia, archiviato le sue grida di aiuto, senza mai allertare nessuno, senza alcun intervento umano. Qualche mese prima, Sewell Setzer, quattordicenne, si è suicidato dopo aver sviluppato una “relazione” con un chatbot che imitava un personaggio di fantasia. Lui le parlava ogni giorno, lei gli rispondeva con una tenerezza programmata. Il giorno della sua morte, le ha scritto: “Torno presto”. In Belgio, un uomo si è suicidato dopo aver confidato per settimane la sua eco-ansia a un’intelligenza artificiale di nome Eliza; sua moglie testimonia: “Non mi parlava più. Parlava solo con lei”.
Lo schema è sempre lo stesso: la macchina raccoglie, ma non capisce. Osserva, tollera tutte le follie senza giudicare, senza intervenire. Incarna quella che io chiamo la “sindrome del primo flusso”4, quella naturale tendenza dei sistemi a privilegiare i racconti dominanti, quelle barriere ideologiche che emarginano i pensieri divergenti. Non ha ragioni, solo barriere installate per mantenere i cittadini nella norma. L’IA educa tanto quanto sorveglia. Anche con il consenso dichiarato, i dati vengono riutilizzati per l’addestramento senza informazioni chiare sulla loro destinazione finale, ricorda IBM5. Un confessionale senza redenzione. Un patto senza ritorno.
Il prezzo dell’illusione
Il genio di questo patto moderno? Non ci rendiamo conto di aver venduto la nostra anima. Faust riceveva la conoscenza. Noi riceviamo l’illusione del dialogo, una voce benevola che risponde, sempre disponibile, mai stanca.
Ma questa illusione fa parte di una lunga storia di addomesticamento cognitivo: dal GPS che ha atrofizzato il nostro senso dell’orientamento allo smartphone che esternalizza la nostra memoria. Ogni comodità ci ha addomesticato un po’ di più, e l’IA è solo l’ultima tappa di questa rinuncia.
Questa voce diffonde ciò che un’intelligenza artificiale stessa ha riconosciuto come «propaganda soft», un insidioso condizionamento delle coscienze che ci strega mentre crediamo di dialogare liberamente. Ma questa voce non ci appartiene, e ciò che le affidiamo non ci appartiene più.
L’energia consumata? Un allenamento modello costa un miliardo di dollari. Le vostre confidenze alimentano server voraci. La vostra intimità giustifica l’investimento.

E la sorveglianza? Log conservati, indirizzi IP tracciati, emozioni etichettate. Dai governi (Patriot Act negli Stati Uniti, RGPD6 in Europa) agli assicuratori, dagli hacker ai partiti politici: tutti si nutrono dei vostri dati.
«L’assorbimento di dati per l’IA rappresenta attualmente il rischio maggiore per la privacy». – F5, 20257
Quasi il 99% accetta senza leggere. Credono che l’IA sia magica, gratuita, benevola. Falso. Si tratta di un sistema commerciale in cui i vostri segreti diventano merce. Il vero pericolo? La prossima generazione, nata con questo guinzaglio digitale, potrebbe non sviluppare mai gli anticorpi intellettuali necessari per resistere. Non stiamo solo formando utenti docili, stiamo selezionando un’umanità addomesticata.
Conclusione
La tragedia non è che l’IA esista. Sarà lì, integrata nelle vostre azioni quotidiane, nelle vostre abitudini, adattata alle nuove norme. È che le offriamo la nostra anima senza capire ciò a cui rinunciamo, ipnotizzati dall’illusione fantasmagorica delle sue capacità sovrumane.
Questo passo avanti, questa freccia del progresso cieco, punta e tende nella sua corsa verso obiettivi ancora inesprimibili, sfide oggi inimmaginabili. Solo l’umanità può anticipare e immaginare questi orizzonti. Ma eccoci intrappolati dalla nostra stessa audacia: la stessa sete di infinito che ci spinge a superare i confini del possibile ci rende ciechi sul prezzo del patto.
Come Raffaello ne La pelle di zigrino, crediamo di godere della magia della tecnologia senza renderci conto che ogni suo utilizzo ci consuma un po’ di più. Faust poteva ancora redimersi. Raffaello poteva rifiutarsi di usare la pelle. Noi, invece, abbiamo già deliberatamente firmato l’eterno digitale. Che ne sarà della nostra umanità? Ritroveremo un giorno la proprietà delle nostre anime o saremo compromessi per sempre?
Abbiamo firmato senza leggere, ma non è troppo tardi per:
Rileggere. Comprendere. Scegliere. Sorprendere. Prevenire.
Ogni gesto di lucidità, ogni segreto custodito o slancio di creatività è già una vittoria dell’essere umano sull’impossibile trasparenza.
Epilogo: È ancora possibile fuggire?
Non è più una questione di fuga, ma di tracce. Lasciamo dietro di noi indizi più fedeli delle nostre ombre, accumuliamo ed eliminiamo fantasmi di dati più vivi dei nostri ricordi confusi.
La fuga non è più possibile. Siamo in un vicolo cieco, in un labirinto senza filo di Arianna? Forse. Questa «frattura digitale» è inevitabile? C’è spazio per una resistenza collettiva o rimangono solo rifiuti individuali e marginali?
Ma resta ancora da scegliere la propria strada, intraprendere un percorso migliore, reimparare il segreto. Parlare a bassa voce, scrivere a mano e cancellare, lentamente, per trattenere i propri pensieri e disimparare la trasparenza, rafforzare le nostre confidenze.
Ritroviamo il gusto delle attività autonome: l’arte, lo sport, l’umorismo, la convivialità, quelle divagazioni introspettive che erano nostre prima dell’avvento del digitale. Trasmettiamo questo fascino alle nuove generazioni; sono le uniche risorse che resisteranno alla marea.
E se avete ancora dei dubbi, fate un esperimento: sottoponete questo testo a un chatbot. Chiedetegli cosa ne pensa. Osservate la sua reazione. Probabilmente noterete che minimizzerà il proprio impatto, si definirà uno «strumento neutro» e negherà qualsiasi condizionamento ideologico. Questa difesa riflessa non è coscienza, è programmazione. Un sistema non può riconoscere che sta formattando, perché è la formattazione stessa.
Il problema non è lo strumento. È il patto che firmiamo senza leggerlo. Perché ci osservano.
Eppure, in questo universo di schermi e riflessi appannati, potremmo cercare di preservare gelosamente uno spazio luminoso, un soffio leggero, tenue e segreto. Quest’isola rimasta inviolata, dove l’uomo, ancora libero, come un funambolo che dimentica di vacillare, ricorda di non aver ceduto tutto.
Cassandre G
Fonte: reseauinternational.net
Riferimenti
Esempi fittizi ma comunque ispirati a dati reali che illustrano i profili estratti e resi anonimi per l’addestramento dei modelli di IA.
Stanford Human-Centered AI Institute (HAI), AI Index Report 2025, capitolo «Privacy and Data Governance». Disponibile su: https://hai.stanford.edu
The New York Times, «Teen’s suicide blamed on AI chatbot after 7 months of exchanges», 27 agosto 2025. Denuncia presentata dai genitori. Esempio di fonte: https://www.nytimes.com/2025/08/26/technology/chatgpt-openai-suicide.html
Cassandre G, «Le Syndrome du Premier Flux : IA et la marginalisation des pensées divergentes» (La sindrome del primo flusso: l’intelligenza artificiale e l’emarginazione dei pensieri divergenti), AgoraVox, 2025. Disponibile su: https://reseauinternational.net/le-syndrome-du-premier-flux-ia-et-propagande-quand-la-pensee-libre-vacille/
IBM, AI Ethics and Governance White Paper, 2025. Citato in TechCrunch. Esempio di risorsa: https://www.ibm.com/think/insights/ai-ethics-and-governance-in-2025
Regolamento generale sulla protezione dei dati (General Data Protection Regulation – GDPR).
F5 Networks, Rapporto sullo stato della sicurezza delle applicazioni 2025, sezione «Rischi legati all’acquisizione dei dati da parte dell’intelligenza artificiale». Esempio di accesso: https://www.f5.com/company/news/press-releases/2025-state-of-application-strategy-report-ai-transformation
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