Dire qualcosa a un mondo che non vuole più ascoltare è come arare il deserto
Amo il mio lavoro! (Anche se sono sempre sotto la soglia di sopravvivenza) Mi appassiona scrivere articoli frutto di un indagine sempre molto meticolosa che possa essere utile alle persone, pubblicare editoriali che vengono letti anche nel mezzo dell’artico (Google Analitics me lo conferma ogni giorno) li dove la postazione è monitorata da orsi polari che probabilmente ridono della nostra propensione acquisita nel complicarci la vita davanti ad un personal computer e interagire con le più disparate persone che manifestano spesso tutta la loro insoddisfazione per come vanno le cose qui sulla terra.
Ripeto spesso che il mio fine è cercare di cambiare il mondo attraverso la rete mediante un portale che mostra in prima pagina un lupo che manifesta tutta la sua volontà nel non fermarsi davanti alle difficoltà che incontra, ma come in tutte le cose spesso si tirano le somme e ci si trova davanti ad uno stato di cose che scoraggia inevitabilmente chi ha di fronte una realtà analoga a quella di chi combatte contro i mulini a vento.
Non esiste evidenza che tenga agli occhi delle masse in balia di una cieca percezione dei fatti che rientra in quella che viene definita nuova normalità, spesso quando scrivo ho la netta sensazione di dover esporre un dipinto di Raffaello con tutte le sue sfumature ed i colori intensi che lo contraddistinguono a delle persone daltoniche , ed ecco che mi ritrovo a dover descrivere una autentica meraviglia a chi è nella totale impossibilita di apprezzare l’opera nella sua essenza.
Oggettivamente potrebbe essere che il mondo sia in bianco e nero e sono io che vedo le cose in modo distorto, (Sono convinto che il 90% delle persone la pensa così) e fatta questa mia singolare constatazione non posso che godermi del dipinto di Raffaello senza il rammarico di chi non potrà mai godere di una gioia che ora che ci penso mi rende veramente una persona speciale per non dire estremamente fortunata 🙂
Toba60
Siamo tra i più ricercati portali al mondo nel settore del giornalismo investigativo capillare ed affidabile e rischiamo la vita per quello che facciamo, ognuno di voi può verificare in prima persona ogni suo contenuto consultando i molti allegati (E tanto altro!) Abbiamo oltre 200 paesi da tutto il mondo che ci seguono, la nostre sedi sono in in Italia ed in Argentina, fate in modo che possiamo lavorare con tranquillità attraverso un supporto economico che ci dia la possibilità di poter proseguire in quello che è un progetto il quale mira ad un mondo migliore!
E’ meglio guarire per vibrare che scrivere per resistere
Arriva un momento raro, lucido, brutale, in cui si capisce che non si può più costruire nulla con le rovine. Dire qualcosa a un mondo che non vuole più ascoltare è come arare il deserto. Dare intelligenza a un’epoca che la disprezza è come gettare perle nell’abisso. Ho raggiunto quel momento. Non si tratta di un grido di rabbia, ma di una constatazione gelida. Viviamo in un’era di tranquillo collasso, dove il ridicolo ha soppiantato l’essenziale, dove la profondità fa paura e dove la lucidità isola.

Per molto tempo ho creduto che scrivere potesse ancora risvegliare, illuminare, collegare. Oggi ne dubito… Non perché la parola abbia perso il suo potere, ma perché le menti si sono chiuse. Questo testo è quindi un addio a una vecchia battaglia, quella delle idee, e l’inizio di un altro percorso personale con quello della trasmissione sensibile, della guarigione, della presenza. Perché quando la parola non basta più a risvegliare le coscienze, bisogna imparare a parlare in altro modo, attraverso le mani, i silenzi, l’energia. Quello che segue è il racconto di questa trasformazione.
C’è stato un tempo, non molto lontano, in cui scrivere aveva un senso. In cui mettere insieme delle parole non era solo una catarsi intima, ma un atto di resistenza, un tentativo accanito di risvegliare coscienze anestetizzate. Quel tempo è finito. Scrivere oggi equivale a soffiare sulle braci spente dalla pioggia di un mondo che non ascolta altro che il frastuono delle proprie distrazioni. Non si legge più, si scorre. Non si pensa più, si reagisce. E soprattutto, non si cerca più di capire il mondo, lo si fugge con contenuti futili e schermi ipnotici.
Anche i cosiddetti media “alternativi”, che si credeva portatori di una ventata di novità, hanno in gran parte tradito la loro promessa iniziale. Lungi dall’educare, informare in modo approfondito o risvegliare le coscienze, si sono lasciati trascinare dalla stessa logica tossica dei grandi media, cercando solo il clamore, lo shock, lo scoop a tutti i costi. Imitano lo spettacolo che pretendevano di combattere, riciclano le indignazioni facili, semplificano le realtà complesse in narrazioni binarie e sensazionalistiche. L’esigenza intellettuale ha ceduto il posto all’urgenza del clic.
Il contenuto è diventato flusso, l’analisi, opinione, e la verità, una variabile di aggiustamento in base all’audience. La forma cambia, ma la sostanza rimane prigioniera della stessa dipendenza dal rumore. Non risvegliano più, alimentano la confusione. Non liberano più, affascinano in modo diverso. Così, anche i presunti rifugi del pensiero diventano vetrine e le alternative specchi deformanti di un sistema che alimentano loro malgrado.
Quanto agli autori indipendenti, ormai scrivono nel vuoto, come predicatori in una chiesa deserta. I loro testi cadono nel silenzio digitale, senza eco, senza impatto, sepolti sotto torrenti di immagini futili e contenuti preconfezionati. Le loro parole raggiungono ormai solo cerchie ristrette, fedeli ma esauste, sempre più stanche di essere lucide in un mondo che ha reso la verità oggetto di scherno.
Questi lettori continuano a leggere, continuano a pensare, ma con una stanchezza tenace, quella degli ultimi svegli in una sala cinematografica dove tutti dormono. L’intelligenza, oggi, è sospetta, disturba, complica, non è redditizia. La cultura è diventata un lusso inutile per una società ubriaca di immediatezza. Lo spirito critico è percepito come una provocazione malvista, un rischio di emarginazione sociale. Così, gli autori indipendenti come me continuano a scrivere per necessità interiore, come si prega da soli nel vento. Non per convincere, ma per non tradire ciò che sono. Ma anche questa fedeltà diventa, alla lunga, un dolore, perché non c’è niente di peggio che parlare sapendo che nessuno ascolta davvero. E forse è questa la cosa più crudele di tutte! Non l’opposizione, ma l’indifferenza.
In Francia, il paese dell’Illuminismo è ormai immerso in una notte senza fine. Una notte dolce, tiepida, anestetizzante. Il popolo, un tempo ribelle, non è più che l’ombra di una leggenda rivoluzionaria. A volte brontola, sì. Ma non morde più. Consuma. Rimugina. Aspetta che passi. Non ci si ribella più, ci si diverte. E nel frattempo, si sta operando una trasformazione radicale della società. Silenziosa per chi dorme, evidente per chi resta sveglio. Una ricomposizione demografica, culturale, identitaria, che solo i ciechi volontari rifiutano di nominare. Ma cosa può fare una battuta di spirito di fronte a una marea umana? Cosa può fare un libro di fronte a un algoritmo?
Il popolo, un tempo torrente impetuoso, si è trasformato in una palude stagnante. Guarda crollare i pilastri della sua civiltà con sconcertante apatia, come se assistesse a uno spettacolo il cui esito non lo riguarda più. L’indignazione si è spenta, sostituita da una rassegnazione ovattata, un comfort pavloviano che preferisce Netflix alla lotta, il commento sterile all’azione concreta. Anche la miseria, diventata anch’essa uno spettacolo, suscita solo un’alzata di spalle. Le catene non sono più di ferro, ma di schermi e distrazioni, ma non per questo sono meno solide. L’apatia non è semplice stanchezza, è una forma compiuta di schiavitù volontaria. E forse è questo il più grande trionfo di chi tira le fila, aver trasformato un popolo libero in un pubblico passivo e gli eredi della Rivoluzione in abbonati mensili al nulla.

Eppure la vita è breve e molto più di quanto crediamo finché ci riteniamo immortali. E per quanto nobile, generosa o altruista possa essere, non paga i debiti che accumula. Non solo quelli dell’affitto o delle tasse, che si pagano in denaro contante per continuare a esistere in una società mercantile, ma quelli più silenziosi, più spietati, che nessuna banca finanzia e che nessuna scusa può ripagare.
Perché verrà il giorno, inevitabile e inappellabile, in cui ognuno dovrà rispondere a questa domanda brutale: “Che cosa hai fatto della tua vita?” Non ciò che hai tentato, sperato o creduto di fare, ma ciò che hai realmente incarnato, costruito, trasmesso. E l’altruismo, per quanto puro, non è una risposta in sé se non lascia traccia, se non salva nulla né nessuno, se non fa altro che alimentare un sistema che schiaccia anche i più sinceri. Non basta essere stati buoni per essere in pace. Bisogna anche essere stati giusti con se stessi – e a volte questo significa abbandonare le lotte sterili, per vivere finalmente secondo la propria verità, non quella che il mondo si aspetta.
Questa battaglia è persa in partenza, non per mancanza di convinzioni, ma perché si svolge su un campo di rovine morali, minato dall’indifferenza, dalla sottomissione consensuale e dalla codarda successione di rinunce collettive. Ho scelto di uscirne, ma non per fuga, bensì per trasmutazione. Non è una resa, è una metamorfosi. Depongo le armi della parola, non per stanchezza, ma per lucidità, perché quando lo spirito non ha più eco, bisogna rivolgersi a ciò che ancora vibra. Poiché la società non vuole più ascoltare, mi dedico ora a coloro che vogliono sentire. Dove le parole falliscono, forse le mani possono ancora riparare. Laddove il linguaggio non apre più alcuna porta, l’energia circola senza chiedere il permesso.
Ho quindi scelto un’altra strada. Una strada più antica, più silenziosa, ma infinitamente più viva. Quella della cura, del tatto, dell’attenzione al respiro, alla vibrazione, all’invisibile. Laddove l’ego si esaurisce nel convincere, il cuore impara a trasmettere. Il magnetismo, le pratiche energetiche e le conoscenze ancestrali non hanno bisogno di essere predicate, si sperimentano, guariscono e talvolta senza una parola. È un ritorno alla realtà, non quella dei numeri e degli schermi, ma quella del vivente, del corpo sofferente, dell’anima errante, dell’essere umano che continua a cercare, in un mondo che non offre altro che rumore e velocità. Trovo in questo una correttezza che non ho più incontrato nei dibattiti o nei libri, con una pace interiore senza prestazioni, un’efficacia senza spettacolo. È lì che ora metto la mia energia. Non per cambiare il mondo, ma per sostenere ciò che resta di umano.
L’arte della guarigione, ancestrale e profonda, mi rivela una via più giusta, più incarnata, lontana dal frastuono collettivo. Attraverso il magnetismo, attraverso quelle medicine che il tempo non ha cancellato ma che la modernità ha disprezzato, ho deciso di rivolgermi a ciò che può ancora essere toccato dalle mie capacità. Vale a dire le anime singolari, i corpi dimenticati, i cuori silenziosi. Lontano dalla massa, lontano dal tumulto, lavoro dove qualcosa pulsa ancora. Perché dove le parole si infrangono contro muri di indifferenza, l’energia circola senza rumore, attraversa le resistenze, risveglia le forze sepolte. Quello che la società soffoca, io cerco di ravvivarlo, non più con discorsi, ma con gesti, presenze, un ascolto che nulla può comprare.
Laddove le parole non sono riuscite a trasformare, l’energia ha dato vita a cambiamenti tangibili. Il mondo delle idee, per quanto nobile, oggi lascia spazio a un mondo più immediato, più reale, più vivo. È qui che ora trovo la mia strada, ed è qui che impiegherò la mia energia, lontano dagli schermi e dalle illusioni. Tuttavia, per coloro che continueranno a seguirmi in questa evoluzione, sappiate che ci sarà sempre spazio per lo scambio, per l’ascolto e, perché no, per una vibrazione comune. La porta rimane aperta, ma ora conduce altrove.
Rinuncio quindi a scrivere per convincere, spiegare o allertare, a colpire i muri dell’indifferenza con parole ormai mute. Al contrario, scelgo di vibrare per trasformare, non più nel fragore delle idee, ma nella sottile risonanza dell’essere. Il mondo non ha più bisogno di persuasione, ma di presenza. Di quella vibrazione silenziosa che tocca dove il linguaggio fallisce. Non è più un’opera di parole, ma un lavoro dell’anima.
Phil BROQ.
Fonte: jevousauraisprevenu.blogspot.com
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L’apatia e la tolleranza sono le ultime virtù di una società morente, sempre meno persone leggono e molti non capiscono cosa leggono, dopotutto mantenere i popoli ignoranti è l’obiettivo che hanno sempre perseguito quelli che sono al comando e andrà sempre peggio mi sa, sembra di parlare ai muri.