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Il Disprezzo del Bello e l’Enfasi su Tutto Ciò che è Brutto e Malvagio

Mio Papà era un commerciante d’arte e sin da piccolo lo aiutavo a spostare i quadri da una parte all’altra della sua galleria per posizionarli nei posti più congeniali alla vista del pubblico, adoravo non solo i quadri, ma soprattutto i pittori che ai miei occhi appartenevano ad un altro mondo e si relazionavano con me così come facevano con le loro opere le quali erano l’espressione di una realtà fantastica che io amavo tanto…

….era proprio bello 🙂

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Il Disprezzo del Bello

Fin da Omero, la nostra tradizione identifica il bene e la bellezza; καλὸς καὶ ἀγαθός, bello e buono, è il meglio che si possa dire di qualcuno: una bella persona. La morale cerca il bene, che è bello, e l’arte cerca il bello, che è buono, quindi i cattivi del film non possono essere belli; se c’è qualcosa di bello, può essere solo una maschera ingannevole (come per Dorian Gray) o un talento perduto (come per Gollum).

Salvador Dali

Purtroppo, contro la tradizione che identifica il bene e il bello, contro questo filo luminoso di Arianna, sta prendendo sempre più forza lo sminuire il bello. Si tratta di una tattica veramente antropoclastica, cioè distruttiva dell’umano, perché coltiva il brutto e l’ignobile e lo presenta come più intelligente e più autenticamente umano. A questa triste dissociazione tra bene e bellezza hanno contribuito ideologie come il marxismo, che con il suo concetto di arte sociale ha condannato l’arte bella come borghese, e anche alcune avanguardie artistiche, che hanno condannato il figurativo e trasformato l’arte in un linguaggio snob e criptico alla portata solo degli iniziati.

È vero che gli artisti sono sempre caratterizzati da una ricerca creativa e che gran parte del loro successo consiste nel vedere la bellezza dove gli altri vedono solo la bruttezza. Cristo, ad esempio, scandalizzava quando vedeva la bellezza in un lebbroso (e lo toccava per guarirlo), o in un’adultera (e la salvava dalla lapidazione); allo stesso modo, un poeta non si limita a cantare di cose belle come uccelli e fiori, ma sa trovare mistero e bellezza anche in un bidone della spazzatura (come nel famoso sonetto di Rafael Morales).

Ma, di fronte a queste legittime ricerche, la bruttezza non cerca di trovare la bellezza nella bruttezza apparente, ma di esaltare la bruttezza contro la bellezza, di passare il testimone a chi ha la mano più sporca; le piace puntare il dito contro tutto ciò che di brutto c’è nella Creazione, contro il pulcino che è caduto dal nido ed è stato divorato dalle formiche, come se quel dettaglio fosse più reale e più grande dell’impressionante bellezza dell’intera foresta dove tutti gli uccelli volano pieni di amore e di vita. Lo sminuire il bello, quindi, ha qualcosa di brutto da dire in tutti gli ambiti: etico, estetico e ontologico.

Questo riso contro il bello è, alla fine, la conseguenza di aver rifiutato la tradizione come fonte legittima e di essere rimasti senza un modello. L’amore romantico, le figure del principe e della principessa, della dama e del cavaliere, il corteggiamento, la verginità, il candore, il poeta amante… tutto questo viene censurato e ridicolizzato dal politicamente corretto. I rapaci vichinghi godono di maggior prestigio dei conquistadores, che hanno creato un impero duraturo e meticcio. “Non voglio essere una principessa, voglio essere un’astrofisica e studiare l’antimateria”, recita uno slogan femminista nelle scuole secondarie, come se una principessa non potesse essere un’astrofisica; un certo femminismo rifiuta anche l’esistenza di una vocazione femminile all’affetto e alla cura, e naturalmente alla maternità, che cessa di essere venerabile e diventa servitù del maschio.

Il carcere o la prostituzione o l’estetica sinistra godono di prestigio tra coloro che si sentono più ribelli, più intelligenti, più critici o più giovani grazie ad essi. Il sordido o l’osceno sono coltivati come mezzo di distinzione e originalità. Basta guardare i tatuaggi che la gente porta con orgoglio in spiaggia: ci sono più serpenti, teschi, mostri e draghi che uccelli, fiori e angeli. Sta diventando più di moda vestire i bambini da mostri per Halloween che da angeli per Natale. Ci trattiamo l’un l’altro con sempre meno considerazione, meno deferenza, meno registri, con un tuteo grossolano, più preoccupati di vestirci e agire come ci pare che di saper essere e saper dominare i diversi registri.

Sembra che ci sia una gara tra le celebrità per mostrare carne o muscoli sui social media. Più il rozzo diventa generalizzato, più troviamo banale l’elegante; se tutti ci salutiamo con un grugnito, salutarci con un sorriso ne risente. Ridere del nobile ha il vantaggio di abbassare l’asticella morale, non ci impone di comportarci come i parenti degli dei o i figli di Dio, ma come ci pare.

Questo è vero per i costumi; ma lo stesso vale per le nostre valutazioni morali. Ci sono sempre state persone meschine o con le zanne storte che hanno ridicolizzato la virtù altrui; ma oggi questa tendenza ha il prestigio e l’efficacia di questo agente contro-umanista che sminuisce il bello. Nei cartoni animati, nei film e nei pregiudizi, è ormai un espediente consueto che la ragazza boy scout sia una perbenista e il ragazzo ben curato sia un bullo, mentre il ragazzo alternativo o gotico ha un cuore d’oro; favorita da questa nuova morale, che si preoccupa più della realizzazione personale che dell’amore per gli altri, la bruttezza fa sembrare a volte ridicole, noiose o impoverenti virtù morali come l’abnegazione, l’austerità, l’umiltà e l’autocontrollo, e, d’altro canto, atteggiamenti che non sono vere e proprie virtù, come la spontaneità, l’originalità, la curiosità, l’amore per se stessi, la fedeltà a se stessi, la coerenza con se stessi, in breve, l’autenticità (intesa come la condizione di essere se stessi, qualunque essa sia), sembrano arricchenti e interessanti.

Salvador Dali

I Greci avevano già messo a fuoco nel modo più plastico la grande questione umana: come dobbiamo comportarci? C’è un codice scritto da qualche parte? E la loro risposta era: siamo ibridi di animale e dio e dobbiamo privilegiare la nostra metà più nobile, il divino; quindi non graffiamo come cani o strilliamo come scimmie o picchiamo come cervi, ma come si comporterebbero gli dei se scendessero sulla terra. Sono convinto che gli standard educativi che abbiamo ereditato dall’antichità consistessero nell’imitazione dei modi e dei gesti divini. Quando smettiamo di credere negli dei, le buone maniere iniziano a essere considerate solo una convenzione, senza alcuna base reale, come sta accadendo ora, e allora iniziamo a pensare che sia intelligente ignorarle.

Uno degli unici due uomini brutti dell’Iliade è Tersite, l’unico che, per mancanza di coraggio da guerriero, alza la voce per convincere tutti gli Achei ad abbandonare l’assedio di Troia. E dentro ognuno di noi c’è un Tersite nascosto che possiamo imbavagliare o a cui possiamo dare voce. E quel Tersite interiore è oggi in salsa con questa brutta ondata contro il nobile, il bello e l’alto. Ho il sospetto che le persone tendano a dare eco alle interpretazioni e alle manifestazioni più antropoclastiche quanto più sporca, brutta o bassa è l’esperienza che hanno avuto di ciò che dovrebbe essere pulito, bello e alto (famiglia, amicizia, amore…).

Si pensi, ad esempio, al giovane e ingenuo Rimbaud, che da ragazzo subì l’esperienza traumatica dello stupro e, invece di aggrapparsi alla luce, a Dio, al bene, invece di dedicare i suoi sforzi, da quel momento in poi, alla lotta contro ogni violenza e grossolanità, divenne sporco, sboccato e violento come l’episodio che lo aveva privato della sua innocenza. Essere sporchi per quello che facciamo o per quello che ci è successo è un modo per cercare di superare la sporcizia che nel profondo non riusciamo a sopportare. C’è, credo, molta sofferenza nascosta in questo gongolare per il sordido, molto disperato tentativo di recuperare, aggiungendo ancora più bruttezza, la grazia che la sofferenza ci ha fatto perdere.

Il fantasma dell’opera nascosto nelle cantine che si proclama angelo della musica di una diva sta proclamando a gran voce il suo amore per la bellezza e l’amore che non ha. L’estetica satanica in cui sguazzano tanti giovani nasce spesso da paure, sofferenze, invidie, risentimenti e da un orgoglio indicibile. Questa reazione contro la bellezza è una violenza contro la nostra natura, che la ama sopra ogni cosa. Non potremmo celebrare la bruttezza se non sentissimo di essere chiamati alla bellezza. Non potremmo rivendicare la bellezza dei demoni se non fosse che gli angeli resteranno sempre più belli.

Jesús Cotta Lobato

Fonte: geoestrategia.es

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