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Il dramma del mondo è la guerra tra il bene e il male

Il male viene sempre giustificato sino al momento in cui non si ritorce contro di noi 🙁

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La guerra tra il bene e il male

Il dibattito filosofico sulla natura del Bene e del Male dura da secoli. È uno dei temi più intramontabili e complessi nella storia del pensiero umano, un argomento sul quale sono stati scritti interi volumi, sufficienti a riempire biblioteche che, metaforicamente, arriverebbero dalla Terra alla Luna. Si tratta di una ricerca continua e senza fine, poiché le domande che suscita sono fondamentali e le conclusioni, spesso, contrastanti.

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Non è mia intenzione tentare un’analisi completa di questo vasto argomento nel presente testo. Mi limiterò invece a presentare due conclusioni fondamentali e, a mio avviso, decisive. In primo luogo, che il dibattito sul Bene e sul Male è, nella sua essenza, un dibattito su tutto. Tocca ogni aspetto dell’esistenza, può estendersi a ogni questione umana ed esistenziale e per questo la sua portata è infinita. In secondo luogo, che la guerra tra il Bene e il Male non si combatte solo nel mondo esterno o dentro di noi, ma anche all’interno della discussione stessa che la riguarda. Ciascuna delle considerazioni opposte, delle visioni del mondo e delle divergenze costituisce una forma di questa guerra, spesso velata. E mentre la disputa teorica continua senza una conclusione chiara, la guerra continua a infuriare – nelle società, nelle relazioni, nelle coscienze.

Ritengo che, indipendentemente dal livello di istruzione o dalla formazione filosofica, ognuno di noi possieda una consapevolezza interiore, quasi istintiva, di ciò che è Bene e ciò che è Male. Questa consapevolezza nasce spesso dall’esperienza, dal dolore, dalla gioia, dalla convivenza. Non è necessario ricorrere a scuole di pensiero o modelli teorici per comprendere questi due opposti: li sentiamo. E forse, proprio per questo, ha più senso evidenziare alcuni errori e malintesi comuni che accompagnano la discussione in merito.

L’idea che il Bene e il Male siano concetti “relativi” deriva spesso da una scoperta selettiva della relatività. Tuttavia, se si prende sul serio questa idea, logicamente bisognerebbe applicarla anche a tutto il resto, persino alla realtà stessa. È interessante notare, tuttavia, che questa relatività di solito crolla quando il Bene o il Male toccano personalmente chi la sostiene.

D’altra parte, l’affermazione che il Male sia semplicemente una “costruzione della Coscienza” è superficiale e, in ultima analisi, infantile. È come dire che l’aria è “qualcosa dei nostri polmoni”. La coscienza, in effetti, è il campo in cui risiedono le nostre esperienze e percezioni, ma ciò non significa che tutto si esaurisca in etichette mentali. Le cose esistono, agiscono e influenzano, anche quando cerchiamo di limitarle a concetti.

Alcuni sostengono che il Bene e il Male siano convenzioni sociali, prodotti di schemi linguistici o modelli culturali. Ma se accettiamo che ogni parola sia un concetto convenzionale, allora smantelliamo non solo il Bene e il Male, ma anche il terreno stesso su cui si svolge il nostro pensiero. Non parliamo più del contenuto dei concetti, ma dell’architettura del discorso e degli argomenti. Eppure, il Bene e il Male non sono semplicemente “argomenti”. Sono esperienza, sono giudizio, sono coerenza.

Una frequente confusione si verifica quando equipariamo il Bene al Giusto o all’Utile. Tuttavia, il Giusto è qualcosa di diverso: un sistema di regole, un accordo. Il Bene non coincide necessariamente con esso. E, di conseguenza, l’Utile può servire sia il Bene che il Male. Non sono pochi i casi in cui il Male è infinitamente più efficace e “utile” del Bene, specialmente quando il criterio è l’interesse e non l’etica. Inoltre, non è sempre vero che una cosa sia o buona o cattiva. Può essere entrambe le cose, a seconda delle circostanze, dello scopo, delle intenzioni e del risultato, come un coltello che a volte salva e a volte ferisce.

Spesso commettiamo l’errore di identificare il Bene con ciò che ci avvantaggia personalmente e il Male con ciò che ci danneggia. Tuttavia, questa visione è limitata e, in un certo senso, egocentrica. Se un’azione è buona per me ma allo stesso tempo danneggia qualcun altro, allora – secondo la mia personale visione morale – si tratta di qualcosa di cattivo. Non di buono. Non giudichiamo l’azione isolatamente, ma sulla base dell’insieme delle sue conseguenze. Né possiamo accettare come valida la generalizzazione che la stessa cosa sia allo stesso tempo buona e cattiva: sono due cose diverse, con risultati diversi, e collegarle artificialmente crea solo confusione.

Infine, è importante comprendere che l’esistenza dei concetti di Bene e Male non è una creazione dei nostri sistemi culturali o religiosi. Al contrario: questi sistemi hanno semplicemente cercato di descrivere, gestire o dare un senso a qualcosa che preesisteva come sensazione interiore. L’uomo, molto prima delle regole e delle teorie, aveva dentro di sé il senso del giusto e dello sbagliato, della luce e dell’oscurità.

E forse, alla fine, questa invisibile guerra tra il Bene e il Male non è una disputa teorica che si svolge nei convegni di filosofia. nbsp; È uno scontro quotidiano che si gioca nel mondo, nelle nostre scelte, nelle nostre decisioni piccole e grandi, nel nostro sguardo verso gli altri — e nello specchio.

Non dobbiamo dimenticare che il Bene e il Male sono, prima di tutto, due parole; parole che hanno lo scopo di indicare qualcosa che accade, non di costituire il fatto stesso. Le parole in sé non sono la realtà, sono solo indicatori che ci aiutano a descriverla. Da questo punto di vista, la questione spesso citata della “polarizzazione” non sembra essere vera nel modo in cui viene solitamente presentata. Sebbene per qualche motivo il bipolarismo sia considerato qualcosa di negativo o “inaccettabile”, non ci disturba quando funziona in modo pratico, come nelle batterie, che non esisterebbero senza i loro due poli opposti.

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Allo stesso modo, l’esempio del bianco e del nero non costituisce un bipolo assoluto; né il bene e il male possono essere limitati a un bipolo assoluto. Esiste invece una scala, uno spettro continuo che si estende tra i due estremi. Come tra il bianco e il nero si interpongono innumerevoli sfumature, transizioni, gradazioni e combinazioni di colori, così anche tra il bene e il male esiste una moltitudine di qualità intermedie. Si tratta di qualcosa di più complesso di un semplice «o questo o quello». Possiamo immaginare questa scala graficamente: da un lato i colori “bianchi”, dall’altro quelli “neri”, e tra di essi un confine – piccolo, sottile, quasi impercettibile – oltre il quale la tendenza inizia a cambiare.

Questo confine intermedio è determinante. Separa un estremo dall’altro, non in modo assoluto, ma con una transizione graduale. Eppure, per semplicità, ci riferiamo agli estremi: diciamo “bianco” o “nero”, mentre in realtà intendiamo un’area complessiva che converge verso di essi. Lo stesso vale per i concetti di Bene e Male. Non parliamo di due forze assolute in conflitto, ma di una dinamica di situazioni, azioni e influenze che convergono, o tendono a convergere, verso l’uno o l’altro estremo.

Quindi, il bipolarismo è semplicemente un linguaggio semplificato per descrivere qualcosa di molto più complesso. Il Bene e il Male non esistono come entità assolute, ma come due aree più ampie all’interno di uno spettro continuo. L’immagine reale è quella di una scala: un percorso con fasi transitorie, una dinamica in cui le azioni, i risultati, le intenzioni e le conseguenze convergono gradualmente in una direzione o nell’altra.

In sostanza, quindi, quando parliamo di Bene e Male, non ci riferiamo a punti assoluti. Ci riferiamo a tendenze, direzioni, azioni che appartengono a un sistema con un inizio, una parte centrale e una fine — o meglio, senza una fine definita, poiché questo spettro è continuo e in costante flusso. E forse la cosa più onesta che possiamo fare nei suoi confronti è riconoscerlo come tale: non per perderci nella relatività, ma per acquisire una visione morale ed esistenziale più chiara.

Un altro punto di vista che ricorre spesso nelle discussioni su questo tema è il seguente: se, ad esempio, un lupo mangia un bambino, si può dire che sì, questo è un male per il bambino – o per noi che ci identifichiamo con il bambino – ma dal punto di vista del lupo non è qualcosa di male, poiché «il lupo obbedisce semplicemente al suo istinto di fame». Quindi, secondo questa visione, il lupo non è cattivo; siamo semplicemente noi a interpretarlo in questo modo. In base a questa logica, il male non esiste in natura: le cose sono semplicemente “naturali”.

Tuttavia, questa opinione non spiega perché la Natura venga automaticamente assolta, quasi come un’autorità al di sopra di ogni giudizio. Non chiarisce cosa intendiamo quando diciamo “la Natura”, né perché la consideriamo come qualcosa di purificato e al di sopra delle valutazioni morali. Se un lupo mangia un bambino e questo è considerato naturale, allora perché concludiamo automaticamente che non è un male? Perché non considerare che la Natura stessa possa essere portatrice del Male, o almeno di una crudeltà disumana? Il fatto che viviamo in un mondo in cui molte creature sono costrette a divorarsi a vicenda per sopravvivere, perché dovremmo accettarlo come un fatto neutro e naturale e non come un segno di un mondo che contiene anche elementi tragici o addirittura “cattivi”? Il termine “naturale” qui sembra funzionare come un mantello di abbellimento; come se dicessimo: poiché è naturale, allora non può essere male. Ma questa posizione, senza rendersene conto, sembra ammettere esattamente il contrario di ciò che cerca di sostenere: cioè che il Male esiste, anche all’interno della Natura.

Forse qui è utile fare una distinzione: una cosa è il Male in sé e un’altra è ciò che noi consideriamo “male”. Purtroppo, la lingua greca moderna non ci offre un vocabolario chiaro per fare facilmente questa distinzione. Usiamo la stessa parola sia per il Male oggettivo che per ciò che è soggettivamente sgradevole. L’inglese, al contrario, ci aiuta a distinguere tra evil e bad: il primo ha un significato più profondo, esistenziale ed etico, il secondo esprime semplicemente qualcosa di indesiderabile o negativo. Qui, quindi, quando parliamo di Male, ci riferiamo principalmente all’evil, non semplicemente al bad. E la discussione assume un altro spessore quando comprendiamo questa distinzione.

Queste sono alcune osservazioni fondamentali che, a mio avviso, sono importanti e riguardano le domande più comuni che sorgono nelle prime fasi di ogni discussione sulla natura del Bene e del Male. Se ci fosse più spazio, se ne potrebbero aggiungere molte altre, poiché l’argomento è inesauribile, ma ritengo che le considerazioni di cui sopra tocchino alcuni dei punti più cruciali.

Per comprendere il Bene e il Male, e per distinguere la guerra perpetua che si combatte tra loro — e che influenza tutto, dentro di noi e intorno a noi — non è necessario addentrarsi in complesse teorie filosofiche o sofismi. Basta osservare, con occhi aperti e mente serena, ciò che realmente accade intorno a noi. Rivolgere lo sguardo alla vita e ascoltarla. La comprensione più profonda di queste cose non è privilegio di pochi “eletti”; è qualcosa che tutti noi possediamo dentro di noi, in quanto esseri umani. Se non la possedessimo, non saremmo in grado di distinguere ciò che è importante da ciò che è insignificante, ciò che è luminoso da ciò che è oscuro. Saremmo semplicemente esseri biologici, privi di discernimento morale.

Il Bene e il Male agiscono — sia in modo spirituale che materiale — attraverso tutto e dentro tutto. O, più precisamente, anche dietro tutto e sopra tutto. La loro guerra sembra costituire il più grande scontro di forze non solo nel nostro mondo, ma forse anche nell’intero Universo. O, al contrario, dall’Universo e oltre, si manifesta anche nel nostro mondo — attraverso l’esperienza umana, le scelte, le conseguenze.

Spesso cerchiamo di cambiare le parole. Invece di Bene e Male, preferiamo parlare di Positivo e Negativo, di Ordine e Caos, Creazione e Distruzione, Superiore e Inferiore, Luce e Oscurità, Vita e Morte. Forse perché le parole originali ci sembrano cariche di significato, identificate con particolari visioni del mondo o semplicemente obsolete. Tuttavia, anche se cambiamo le parole, ciò non significa che cambi anche la sostanza. In realtà, questi concetti alternativi descrivono, spesso in modo più poetico o simbolico, le stesse cose: l’esistenza di due forze opposte che si scontrano, si trasformano, interagiscono. Non sfuggiamo al Bene e al Male, ma, più profondamente, cerchiamo di ridefinirlo.

Quindi, quello che succede intorno a noi e dentro di noi, quello che determina le nostre situazioni e le nostre vite, è una guerra continua e invisibile tra queste due forze. Non sappiamo se sia sempre esistita o se continuerà per sempre: questa è una domanda aperta e forse irrisolvibile. Ma ciò che è certo è che sta accadendo in questo momento. Qui, ora.

Se osserviamo più attentamente, vedremo che il Bene e il Male non sono semplicemente forze che agiscono all’interno delle situazioni, ma spesso sembrano costituire la causa stessa o l’effetto. E forse è per questo che si trovano “in tutto” — perché tutto deriva da cause e porta a conseguenze. Questo ci porta a una delle osservazioni più critiche: la questione delle reazioni a catena.

Tutto ciò che accade, a qualsiasi livello — che si tratti della storia mondiale o degli eventi nella vita di una persona — è il risultato di una serie di cause ed effetti. Una catena di eventi, in cui uno porta all’altro, uno provoca il successivo, e così via. Ogni situazione che viviamo, ogni coincidenza, ogni decisione, non è nata “dal nulla”. Se ne cerchiamo attentamente l’origine, vedremo che è il risultato di un altro evento, che a sua volta era il risultato di un altro ancora, e così via — una successione che può essere rintracciata indietro nel tempo fino ai confini più remoti del passato. A un certo punto, però, seguire questa catena diventa impossibile: ci perdiamo nelle profondità del tempo, limitati dalla nostra conoscenza e dalla nostra percezione.

Eppure, questa catena è reale. Esiste. Tutto ciò che accade oggi è il risultato di una tale sequenza, anche se non siamo in grado di dimostrarlo completamente. Potrebbe risalire alla creazione dell’Universo; potrebbe estendersi nel futuro, influenzando eventi che non possiamo nemmeno immaginare. Forse oggi hai avuto un incidente con la tua auto perché, in modi inspiegabili, Napoleone fu sconfitto una volta a Waterloo. E questa sconfitta ha portato, attraverso una lunga catena di eventi, al tuo incidente di oggi. Forse ciò che è accaduto oggi causerà in futuro la morte violenta di un elefante; forse tutto è iniziato con un’eclissi solare o finirà con il collasso di una stella. Esempi fantasiosi, ma filosoficamente fondati.

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Questa è la stessa catena che crea, provoca e trasmette il Bene e il Male. Se vogliamo comprenderli non come concetti astratti ma come influenze attive, dobbiamo osservarli all’interno di questa catena. Individuare le conseguenze delle azioni, le influenze che si trasmettono da un evento all’altro, il modo in cui un’azione cattiva genera un’altra azione cattiva. Lì, all’interno di questo flusso, individueremo anche la “catena del Male”, il domino che provoca un male dopo l’altro. Questo è il modo in cui funziona il Male, attraverso le sue reazioni a catena, le conseguenze che si espandono e si diffondono.

Se osserviamo questa catena più nel dettaglio, inizieremo a individuare molti altri fenomeni interessanti. Come, ad esempio, il modo in cui le “catene” del Male e del Bene sembrano intrecciarsi, incontrarsi, scontrarsi, cercare di influenzarsi, indebolirsi o addirittura convertirsi a vicenda. Sembra che sia in corso una lotta continua di influenze, con il Bene che cerca di fermare la diffusione del Male – o viceversa – attraverso una strategia invisibile che si dispiega nel tempo.

Se guardiamo ancora più attentamente, vedremo che in questo flusso di situazioni ci sono momenti che sembrano essere stati orchestrati. Come se intervenissero dei registi invisibili, imperscrutabili. Spesso gli eventi si presentano come se fossero stati orchestrati da una “mano” invisibile. Le coincidenze non sono sempre casuali. La sincronicità — come definita dalla psicologia e dalla tradizione mistica — fa la sua comparsa in un modo che ci costringe a chiederci: si tratta di una semplice coincidenza o di un segno? Di una sequenza o di un’intenzione? Molti eventi sembrano condurre a un risultato specifico, come se avessero un obiettivo, uno scopo, una missione. E, altrettanto spesso, questo percorso viene ostacolato, combattuto, ribaltato, come se esistessero forze che promuovono o bloccano determinate direzioni.

In questo contesto, assume particolare importanza l’insegnamento secondo cui dobbiamo rispondere al Male con il Bene. Non per debolezza, ma per consapevolezza. Perché quando qualcuno sceglie di rispondere al Male con il Male, allora rafforza la catena del Male, la alimenta, la perpetua. Al contrario, quando qualcuno risponde con il bene, crea un ostacolo. Rompe il meccanismo della trasmissione a catena del male, lo ferma o almeno lo indebolisce. Questo è il motivo più profondo che sta dietro alla famosa frase: «Se qualcuno ti colpisce su una guancia, porgigli anche l’altra». Non per arrenderti, ma per interrompere il meccanismo. Per creare una frattura nel flusso. Per provocare eventualmente il pentimento, la coscienza o almeno l’imbarazzo; e se non altro, avrai almeno limitato la diffusione del Male da parte tua.

Nello stesso spirito si muove anche la saggezza popolare che ci esorta: «Fai del bene e gettalo al mare». Il mare qui funge da campo simbolico, un oceano di ritorno, un promemoria del fatto che le nostre azioni, qualunque esse siano, tornano indietro. Il mare le riporta, prima o poi, ai nostri piedi. Il bene, anche se non viene ricompensato immediatamente, lascia una traccia; viene trasportato, viaggia, continua. E allora la catena, inizialmente invisibile, comincia a delinearsi.

La stessa luce traspare anche da quell’enigmatica ma profonda massima: «Quando fai del bene, che la tua mano sinistra non sappia ciò che fa la destra». Si tratta di un invito all’altruismo, ma anche di una tecnica esistenziale. Il Bene non deve diventare uno strumento di autopromozione o di scambio; deve rimanere autentico. Più è puro, più è silenzioso, più è potente. Il potere del Bene, in fin dei conti, non si misura nella ricompensa esteriore, ma nella rottura che provoca nella catena del Male.

Attraverso queste osservazioni sottili ma decisive, possiamo iniziare a vedere il mondo con occhi diversi. Non come un insieme statico di oggetti, ma come un meccanismo vivente di interazioni a catena. E al suo interno, il Bene e il Male non sono semplici concetti. Sono principi attivi, forze, movimenti. La domanda non è solo come comprenderli. È soprattutto come — e in quale catena — sceglieremo di inserirci.

La visione metafisica del Bene e del Male in assoluta correlazione con la catena infinita di cause ed effetti, eventi e situazioni, reti e correlazioni — sostiene che dietro la realtà, così come la percepiamo, esistono due forze contrapposte di superintelligenza. Si tratta di due principi che, in un modo che rimane incomprensibile alla comprensione umana, sembrano avere la capacità di una supervisione assoluta: osservare la catena delle cose dall’alto, individuarne ogni diramazione, prevedere dove porterà in futuro e intervenire per indirizzarla verso l’esito desiderato da ciascuna di esse.

Possiamo immaginare quanto segue: una forza sa che ciò che sta accadendo a qualcuno in un dato momento è il risultato di precedenti interventi della forza avversaria e cerca di ribaltarlo, di reindirizzarlo, di trasformarlo in modo che serva al proprio scopo. Lo stesso fa l’altra. Entrambe le forze, attraverso questa concezione metafisica delle cose, hanno pieno accesso al passato che ha generato il presente e piena supervisione dei possibili esiti futuri a cui questo presente può portare.

Solo che questo “futuro” non è stabile né scontato. Si trova in una situazione di incertezza quantistica, come nel famoso esempio del “gatto di Schrödinger”. Il suo esito è “in gioco” e la direzione finale che prenderà dipenderà da quale forza riuscirà a intervenire in modo più efficace: rovesciare, impedire, guidare. Non si tratta di un conflitto di concetti, ma di una guerra minuziosa, strategica, quasi “militare”, in cui ogni momento, ogni punto critico, ogni dettaglio ha importanza.

Questa guerra, secondo la logica frattale che permea la tradizione mistica — «come sopra, così sotto» — non si combatte solo su scala cosmica. Si ripete ovunque, sul pianeta, nella società, nella cultura, a casa tua, nella tua relazione, nelle tue cellule, in ogni essere umano e in ogni forma di vita. Si combatte contemporaneamente in ogni campo — dalla tua anima individuale fino al minuscolo molecola di un filo d’erba che vibra per forze insondabili.

Stiamo parlando di una guerra che non si combatte con le armi, ma con la sorveglianza, l’intenzione e l’intervento. È segreta, silenziosa e, spesso, invisibile. Ma è lì, in ogni momento dell’esistenza. In ogni decisione, ogni mossa, ogni conseguenza. Per ogni cosa che accade, “si gioca il tutto per tutto”. Il risultato di un evento può essere una battaglia vinta per una forza e una battaglia persa per l’altra. E, naturalmente, anche se la perdita di una battaglia non significa che sia stata persa anche la guerra, molte sconfitte consecutive portano gradualmente al rafforzamento dell’avversario. Il bilancio complessivo delle battaglie non è mai irrilevante. C’è sempre un punto critico, una massa di influenza che può far pendere l’esito in una direzione o nell’altra.

E forse questa è, in fin dei conti, la vera “guerra dei mondi”. Non tra nazioni, non tra ideologie, ma tra il Bene e il Male, che lottano attraverso ogni cosa, per ogni cosa, al di sopra e al di là del mondo, ma anche nei nostri occhi ogni volta che siamo chiamati ad agire.

Il segreto di tutta questa guerra invisibile e infinita non sta solo nella comprensione delle forze o nel riconoscimento delle catene, ma nell’osservazione di quelle situazioni, eventi, persone o scelte che sono particolarmente cruciali. Si tratta di quei punti all’interno della rete di interazioni che, a seconda della direzione che prenderanno, possono influenzare infinitamente più di quanto sembri a prima vista. Sia nel contesto della nostra vita personale, sia a livello collettivo – nell’umanità, nel mondo o persino nell’Universo stesso – ci sono sempre momenti cruciali in cui la battaglia viene combattuta con tutta l’intensità disponibile, con tutti i mezzi.

I punti chiave non sono sempre facili da individuare. Non brillano né avvisano. Spesso sono piccoli, quasi invisibili: dettagli della vita quotidiana che trascuriamo senza pensarci due volte. Eppure, da una prospettiva molto più ampia, questi elementi apparentemente trascurabili costituiscono punti di svolta cruciali. Sono i sottili punti di intersezione in cui si incrociano le grandi correnti della causalità. E più in alto si guarda, più chiaramente si percepisce la profondità del loro significato.

Coloro che hanno imparato a osservare, coloro che hanno acquisito — attraverso l’esperienza, la pratica, la sensibilità o il dono — la capacità di leggere oltre la superficie degli eventi, comprendono la “regia” del mondo. Comprendono in qualche modo questi punti cardine: li sentono, li percepiscono, ne individuano la vibrazione. Questi punti sembrano emettere un’«armonia» nell’ambiente, come un’onda sonora che si sintonizza con le strutture più profonde della realtà. E, a seconda dello “stile” o della “firma” di questa armonia, si può distinguere da quale forza proviene l’intervento, qual è il suo obiettivo e cosa esattamente cerca di promuovere o impedire.

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Non è un caso che i nostri antichi antenati attribuissero tanta importanza ai presagi. Comprendere tali armonie, segni e simboli significa proprio questo: osservare la struttura invisibile all’interno della quale operano le forze e si giocano le decisioni. Non si tratta di superstizione, ma di una forma superiore di consapevolezza: vedere il flusso e le correnti, non solo la superficie delle cose.

Questi punti chiave sono dei bivi; e, come in ogni bivio, la direzione che si sceglie può cambiare l’intero percorso. Il poeta Robert Frost lo descrive magnificamente nella sua famosa poesia The Road Not Taken: «Ho preso la strada meno battuta, e questo ha fatto tutta la differenza». E in effetti, la strada è spesso come una linea ferroviaria: quando il treno si avvicina al bivio, due capistazione — le due forze opposte — stanno pronti ai comandi, pronti a decidere quale corrente prevarrà, in quale direzione proseguirà il viaggio.

In questo contesto, il famoso consiglio “segui la corrente” (go with the flow) non è sempre saggio. Se segui la corrente meccanicamente, senza consapevolezza, senza alcuna supervisione, allora potresti esserti arreso a una forza che non ha a cuore i tuoi obiettivi. L’importante non è sottomettersi al flusso, ma acquisire consapevolezza della sua natura. Cos’è questa corrente? Dove va? Da quale forza è guidata? Cosa provocherà? Senza questa minima supervisione, diventi parte della catena senza saperlo; e non scegli, semplicemente segui.

La maggior parte delle persone tende ad attribuire la maggior parte delle situazioni alla fortuna. Eppure, quasi nessuno è in grado di spiegare cosa sia esattamente questa famosa “fortuna”; un concetto così vago che sembra più un rimedio generico contro l’inspiegabile e l’ignoto che una vera e propria spiegazione. Il “caso” non è, in sostanza, altro che la necessaria invenzione della nostra mente quando non dispone delle informazioni o della supervisione necessarie per comprendere i meccanismi di una situazione. Si tratta di una patina di sicurezza: una falsa interpretazione che ha lo scopo di coprire la nostra ignoranza, di dire “qualcosa” invece di ammettere che non sappiamo.

L’apparenza di “casualità” deriva semplicemente dalla mancanza di prospettiva, dalla nostra posizione limitata all’interno dell’evento stesso. Ad esempio, se vediamo davanti a noi due veicoli che si scontrano sulla strada — o anche se siamo noi stessi alla guida — di solito diremo che è stata una coincidenza, un momento sfortunato, «un brutto momento». Questo evento sembra casuale proprio perché non disponiamo dell’orizzonte spazio-temporale necessario per vederlo nel suo insieme. La nostra mente, invece di accettare questa mancanza, preferisce colmare il vuoto con una parola: fortuna.

Ma se salissimo più in alto, in senso letterale e figurato, vedremmo le cose in modo diverso. Se, per esempio, fossimo su un elicottero e osservassimo dall’alto il percorso dei due veicoli, potremmo prevedere con relativa certezza e senza gravi interferenze la loro collisione. Vedremmo chiaramente che le loro traiettorie, le loro velocità, le loro rotte li conducono con precisione matematica nello stesso punto, nello stesso momento. Non sarebbe stato, quindi, qualcosa di “casuale”; sarebbe stato un risultato inevitabile, una causa prevedibile, semplicemente non visibile dalla posizione delle persone coinvolte.

E se, al di là di questa prospettiva, avessimo a disposizione mezzi ancora più potenti – conoscenza, consapevolezza, tecnologia o anche forza – potremmo non solo prevedere il conflitto, ma anche impedirlo. Potremmo intervenire delicatamente nella catena di cause che ha portato a quel punto e cambiare il corso degli eventi prima che l’incidente raggiunga il suo esito finale. Potremmo anche provocare il conflitto, guidando i due veicoli in quella direzione attraverso una serie di cambiamenti apparentemente insignificanti in piccole scelte ed eventi, che tuttavia si coordinano per creare il risultato desiderato. E in ogni caso, le persone coinvolte nell’evento, dalla loro posizione, non avrebbero mai saputo né che la collisione stava per verificarsi, né che avrebbe potuto essere evitata.

Questo esempio è molto più profondo di quanto sembri. Non descrive semplicemente un incidente stradale. È una metafora del modo in cui funziona la realtà, di come la mancanza di supervisione ci porti a semplificazioni e di come, in definitiva, il “caso” sia un concetto che copre temporaneamente la nostra incapacità di comprendere la catena causale delle cose. Forse, quindi, non esiste nulla di assolutamente casuale. Forse, dove pensiamo che regni il caos, in realtà manca semplicemente la conoscenza del tutto.

Ma cosa succede, invece, quando – nello stesso esempio dell’alta sorveglianza – non c’è solo una forza superiore che osserva e interviene, ma due? Due potenze di natura trascendente, con intenzioni, strategie e obiettivi diametralmente opposti, che osservano dalla stessa catena di eventi da vette diverse e percepiscono una fase specifica come cruciale per l’esito del loro conflitto?

In questo caso, i loro effetti non sono solo teorici. Si manifestano, si trasmettono, si diffondono nel campo umano. Solo che — e qui sta la particolarità fondamentale — queste forze non agiscono direttamente nel modo in cui potremmo immaginare. A livello umano, agiscono principalmente attraverso le persone, attraverso le loro scelte, i loro sentimenti, le loro passioni, le loro virtù, le loro decisioni, i loro errori e i loro slanci di luce. Gli esseri umani non sono strumenti privi di volontà; possono partecipare – e partecipano – a questa guerra, alcuni inconsciamente, altri in parte, e pochi con piena consapevolezza.

Questo è il vero significato dell’antico detto sacerdotale: «Syn Athina kai cheira kinai» (Con Atena e la mano che si muove). Non significa «fai qualcosa e poi Atena apparirà». Significa: se vedi Atena muoversi, dai una mano anche tu. Perché se non lo fai, se non rafforzi la sua opera, questo movimento può essere interrotto, neutralizzato dall’intervento contrario dell’altra forza. E non dimentichiamo che anche l’altra parte ha «mani» che si muovono intorno a noi, nelle persone, nei sistemi, nei pensieri e nelle azioni.

Kazantzakis lo esprime in modo sconvolgente: «Noi siamo i salvatori di Dio», dice. Dio, la forza del Bene — comunque la si definisca — ha bisogno del nostro aiuto. Non perché sia debole, ma perché questa è la Legge del Gioco: la nostra partecipazione è un prerequisito per consentire a questa forza di agire nel mondo attraverso di noi.

In ogni caso, ci troviamo tra due fuochi. E se non prendiamo posizione, se rimaniamo in una neutrale ambiguità, allora inevitabilmente saremo attaccati da entrambe le parti, che lo capiamo o meno. Se non acquisiamo una visione interna, se non scegliamo consapevolmente da che parte stare, allora ci muoviamo semplicemente come pendoli: un po’ qui, un po’ là, senza bussola, senza intenzione. E allora diventiamo pedine. Non soldati, ma semplici numeri su una mappa di influenze che non comprendiamo.

Ma se iniziamo a comprendere, a distinguere, a vedere — se saliamo un po’ più in alto nella nostra supervisione — allora riconosciamo che siamo chiamati a ricevere il “battesimo del fuoco”: anche noi dobbiamo entrare consapevolmente in questa guerra. Non necessariamente con le armi, ma con il nostro ethos, la nostra voce, le nostre azioni, le nostre idee, la nostra bontà, la nostra responsabilità. Alla fine combatteremo tutti, che lo vogliamo o no. La domanda è: con chi? O meglio: da quale parte della battaglia sceglieremo di stare.

Se non lo facciamo, allora il sistema ci considera popolazione non combattente, perdite statistiche. Facilmente manipolabili, facilmente sacrificabili. E allora si conferma la frase attribuita a Gesù: «Dovevi essere o caldo o freddo. I tiepidi li vomiterò». Non sono parole dure, sono parole precise. In questa guerra, la neutralità non è una virtù, è ignoranza, è paura, è resa al più forte.

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Tutto questo, ovviamente, attraverso la più ampia prospettiva metafisica della guerra tra il Bene e il Male. E se qualcuno chiedesse quale sia la prospettiva fisica, sarebbe difficile dare una risposta chiara. La prospettiva fisica si limita, forse, agli strumenti della psicologia, della sociologia o della biologia, ma nessuno di questi sembra sufficiente per cogliere la sostanza più profonda di questa lotta cosmica. Perché questa guerra, se è qualcosa, è soprattutto esistenziale.

Una delle frasi più diffuse e solitamente accettate senza riserve del narrato “spirituale” contemporaneo è quella di Paolo Coelho: “Quando desideri qualcosa con tutto il cuore, l’intero universo cospira per aiutarti a realizzarla”. Si tratta di una frase che, sebbene sembri ispiratrice, è allo stesso tempo semplicistica e fuorviante, se non addirittura disorientante. Trascura, per ingenuità o per intenzione, l’aspetto più fondamentale: che nell’universo non esiste una sola cospirazione. Ce ne sono due.

L’Universo sembra essere dominato da due tendenze opposte. Una è la tendenza a mantenere l’ordine esistente, l’insistenza sul prevedibile, sul stabile, sull’«immobile» , una ripetizione statica del già noto, che resiste a ogni cambiamento sostanziale. Questa è la tendenza che incarna l’entropia, la decomposizione, il deterioramento, il silenzioso declino di tutto verso la dissoluzione. L’altra tendenza è la forza della creazione; un’energia che cerca il movimento, la vita, il cambiamento, l’esplorazione delle possibilità, il passaggio dal dato all’ignoto, dalla situazione alla resurrezione.

La nostra esperienza quotidiana si svolge tra queste due tendenze contrastanti. Quando ciò che desideri, quello che immagini o ti appresti a realizzare è qualcosa di veramente importante — qualcosa di cruciale che provocherà una serie di cambiamenti a catena non solo per te ma anche per altri punti della catena delle cose — allora l’Universo non «cospira» a tuo favore. Al contrario, di solito ti combatte. Maggiore è la dinamica del cambiamento che porti, più forte sarà la resistenza che incontrerai.

L’Universo, nella sua tendenza alla stabilità, percepisce ogni “grande” azione come una minaccia. Proprio come in una vasca da bagno piena, dove un corpo di volume maggiore provoca un maggiore spostamento dell’acqua, così anche un evento di grande importanza provoca reazioni più intense. L’acqua trabocca. Le turbolenze sono un elemento intrinseco del grande cambiamento. Sono, in sostanza, un segno.

Attraverso l’osservazione nel corso degli anni — non solo a livello personale, ma anche collettivo, storico ed esistenziale — ho scoperto che non si tratta di una coincidenza. È una legge. Quando cerchi di realizzare qualcosa di veramente importante, incontrerai degli ostacoli; e non solo ostacoli casuali, ma una resistenza determinata e persistente che proviene dall’Universo stesso, come se ti mettesse alla prova, come se controllasse l’importanza di ciò che stai per fare.

Infatti, se ti chiedi se ciò che stai pensando di fare è davvero importante, puoi scoprirlo osservando il grado di resistenza che incontri. Più gli ostacoli sono numerosi e gravi, più profondo e cruciale sarà il risultato finale. Più insistenti sono gli interventi della realtà per dissuaderti, più evidente diventa che ciò che stai iniziando è importante, non solo per te, ma anche per l’equilibrio della catena.

Quindi, invece di seguire ingenuamente il romantico invito di Coelho, forse è più realistico — e più onesto — riconoscere la resistenza come un segnale. Trasformare gli ostacoli in una bussola. Non per arrenderci, ma per capire. Per capire quando ci troviamo di fronte a qualcosa di cruciale e renderci conto che le cose importanti non accadono con facilità, non sono benedette fin dall’inizio dalla “buona sorte”, ma incontrano ostacoli, proprio perché possono sovvertire l’intero ordine esistente.

(Ricordo Giorgio Balano, che una volta disse: «Dov’è il tesoro? Da che parte, in che punto? Ma dove ci sono i mostri, le guardie, dove ti impediranno di andare. Dove è difficile, dove hai paura. Perché il tesoro non è incustodito. Se fosse incustodito, e la strada fosse aperta, e tutto fosse sbloccato, non ci sarebbe alcun tesoro lì…»)

D’altra parte, come già accennato, esiste anche il lato opposto dell’Universo: l’altra forza creativa che, quando percepisce che stanno per verificarsi cambiamenti importanti e sostanziali, si affretta ad aiutare. Il suo aiuto non arriva necessariamente sotto forma di un intervento trionfale; è più discreto, più silenzioso, ma profondamente mirato. Spesso, come ho notato attraverso un’osservazione specializzata e di lunga durata, questa forza benefica si attiva proprio perché individua prima il movimento della forza avversaria. Osserva l’accumulo di ostacoli, il sistematico blocco della catena dei cambiamenti, le vibrazioni all’interno del sistema, come il ragno che percepisce il movimento nella sua tela.

L’intervento della forza creativa, tuttavia, non passa inosservato. Quando una parte si muove, anche l’altra si mobilita. E allora ha inizio uno scontro più diretto, più intenso; non solo a livello energetico, ma anche nelle situazioni. La battaglia si manifesta attraverso gli eventi, attraverso le persone, attraverso le coincidenze e le sincronie, attraverso tutto. Questo “attraverso” è di fondamentale importanza. Non si tratta di una semplice allegoria; descrive il metodo stesso con cui queste forze agiscono, non dall’esterno, ma dall’interno, attraverso le condizioni esistenti. Il modo in cui funziona, ovviamente, è un argomento vasto e complesso, che va oltre i limiti di queste pagine.

È qui che assume ancora maggiore importanza il detto che abbiamo citato prima: «Con l’aiuto di Atena e con la tua mano». Quando qualcuno capisce di trovarsi nel mezzo di questo conflitto, quando osserva – o meglio, sente – le forze che lottano nella sua vita, allora deve intervenire. Non deve rimanere indifferente. Se vede che Atena si muove, deve aiutare; altrimenti il movimento potrebbe spegnersi, essere trascinato via, neutralizzato dalla resistenza dell’altra parte. Nessun intervento del Bene è scontato; ha bisogno di sostegno, rinforzo, accettazione.

La questione specifica —e cruciale— è però la consapevolezza stessa della persona coinvolta, ovvero il fatto che si trovi al centro di un conflitto più ampio e invisibile. Che è, senza necessariamente saperlo, il campo d’azione di due forze opposte, due onde che si muovono in modo contrapposto nello stesso spazio-tempo. E il punto è che, se si muove in modo maldestro o inconsapevole, non sarà colpito solo dal lato negativo, ma probabilmente anche dalla forza d’urto stessa del conflitto tra loro. La pressione della collisione non fa distinzioni: semplicemente trascina via tutto ciò che non è stato posizionato con precisione e consapevolezza.

Qui incontriamo nuovamente il tema del “seguire la corrente”, il famoso go with the flow. Ma questo non significa “arrendersi passivamente a qualsiasi cosa accada”. Al contrario: significa acquisire la perspicacia e la sensibilità necessarie per riconoscere l’onda giusta. Aspettare il momento giusto, vedere quando si presenta il movimento che vale la pena seguire e poi con attenzione e impegno raggiungerlo, “cavalcarlo”, come fa il surfista esperto che non si tuffa a caso, ma sa quale onda lo porterà e quale lo inghiottirà.

Una paragone sconvolgente, quasi criptico, di questa idea appare alla fine del film Papillon, dove la fuga non avviene con la forza, ma aspettando l’onda giusta. L’unico momento in cui l’universo permette una rottura della normalità — e se sei pronto, se sei presente, se hai osservato bene, allora puoi approfittarne.

La storia della sorveglianza e delle localizzazioni, degli interventi e delle invasioni, delle alleanze, delle mutazioni e delle trasformazioni, non è altro che la storia della guerra tra il Bene e il Male. Una guerra incessante, silenziosa, che si svolge contemporaneamente a ogni livello dell’esistenza. E gli esseri umani, che ne siano consapevoli o meno, sono spesso portatori di questa battaglia; a volte come ospiti di una forza – del Bene o del Male – e altre volte come alleati consapevoli. E questo non avviene sempre in modo costante; questi ruoli cambiano, si trasformano. Persone che in un momento sono strumenti attivi di una parte, possono diventare inconsapevolmente strumenti dell’altra. Possono essere pedine, ma possono anche essere giocatori.

Tutti abbiamo sentito la strana ma eloquente frase: “non c’è male senza bene”. Per chi ha imparato a leggere gli strati della realtà, questa frase rivela uno dei metodi più frequenti e profondi del potere del bene nella guerra: il metodo della trasmutazione. Quando il Male agisce, quando la sua interferenza è così forte da non poter essere fermata in tempo, il Bene – se riesce a intervenire e trova spazio interviene nel punto successivo della catena. Lì dove può cambiare il corso delle conseguenze; lì dove può sfruttare lo slancio del Male e trasformarlo in qualcosa di inaspettatamente luminoso. Non si tratta di giustificare il Male, ma di ribaltarne il significato; della capacità del Bene di leggere l’oscurità e di rivoltarla contro se stessa.

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La trasformazione del Male in Bene – anche se con un certo ritardo – non è un processo automatico. Richiede consapevolezza, prontezza, intervento. E, di solito, avviene silenziosamente, nei dettagli. Laddove la maggior parte delle persone non vede nulla, agiscono i veri trasformatori.

D’altra parte, però, esiste un metodo altrettanto diffuso: il travestimento. Il Male, forse più di ogni altra sua strategia, preferisce presentarsi sotto le spoglie del Bene. Appare come benefico, giusto, necessario, persino luminoso. Convince chi lo serve che sta facendo la cosa giusta, che sta aiutando, che si trova dalla parte giusta della storia. È così che nascono i doppi agenti. Non spie di qualche servizio segreto, ma persone comuni che, credendo di agire per il Bene, in realtà lavorano per il suo contrario. E questo rende il conflitto ancora più difficile. Perché non è una battaglia tra il bene evidente e il male evidente. È una battaglia tra l’autentico e il contraffatto. Tra il luminoso e il pseudo-illuminato.

Il Male opera grazie alla sua fama (come un grande esercito potente che avanza, e grazie alla sua fama spesso non ha bisogno di combattere, perché molti si arrendono non appena vengono a sapere che sta arrivando o non appena lo vedono o lo percepiscono). Il Male, con la sua fama, provoca il Male, ancora più Male, si diffonde rapidamente e immediatamente, e in modo mascherato. Chi ha paura del Male, per evitarlo, per «difendersi» preventivamente, fa il Male. E pensa di farlo per evitare il Male, preventivamente, un male che al momento non esiste, e così fa lui stesso il male! E il Male si diffonde così inarrestabile, da tutti coloro che lo fanno proprio perché vogliono evitarlo.

(Immaginate qualcuno che dice: lui mi farà del male, devo difendermi, per il mio bene, è cattivo, lo attaccherò per difendermi per primo. E fa del male senza che nessuno gli abbia fatto del male. Ma guardate la cosa anche in questo modo: anche se non lo fa per primo, e qualcuno gli fa davvero del male, lui risponderà comunque con il male, per difesa o per vendetta. La diffusione del Male, in questi due modi, come una “contagio”, è rapida, sia in modo indiretto e mascherato, come “Bene”, sia in modo diretto e manifesto, come “Male necessario”).

(Ricordo una vecchia e bella frase poetica: «Il Male è mostruoso». Quando sei con il Male, cioè, sei con i mostri. Ed è simboleggiato dai mostri al contrario del Bene che presenta simboli antropomorfi – e mostra mostri. E, come dice Nietzsche, «chi caccia i mostri deve stare attento a non diventare lui stesso un mostro», e «quando guardi nell’abisso, anche l’abisso guarda dentro di te…»).

È un dato di fatto, o almeno dovrebbe esserlo, che il Male esiste anche dentro di noi, è parte di noi stessi. È il nostro io inferiore, il nemico, gli istinti, l’inconscio (diametralmente opposto alla coscienza), l’io isolato, che non è in connessione con il Tutto, la mancanza di comprensione, quella nostra “ombra” con cui durante l'”iniziazione” dobbiamo combattere e vincere, sconfiggere il nostro io inferiore custode per varcare la soglia delle cose elevate, trasformarlo in qualcosa di superiore, migliore, evolverci, proiettarci, morire la “piccola morte” (il bruco che diventa farfalla).

La guerra tra il bene e il male, dentro di noi, è la guerra tra il nostro io inferiore e quello superiore, la guerra tra la nostra parte animale e quella umana, con l’obiettivo di diventare subumani o superumani, con l’obiettivo dell’entropia o dell’evoluzione, della morte o della vita, della stasi o della resurrezione, dell’incomprensione o della comprensione, dell’oscurità o della luce…

Potremmo dire molto su questa guerra eterna e sconvolgente, che si combatte ovunque e sempre, e che speriamo – o è inevitabile, secondo il Disegno Divino, se tutto va bene – che il Bene prevalga e vinca. Dentro di noi, fuori di noi, intorno a noi, in tutto, ovunque. Ma non possiamo dire molto, proprio perché ci troviamo in uno stato di guerra.

E tutto questo descrive la tragedia dell’uomo, l’epopea tragica degli dei, il “Dramma del Mondo”. Possiamo dire che il mondo intero è un campo di battaglia e noi siamo guerrieri, parafrasando Shakespeare che dice che il mondo intero è un palcoscenico teatrale e noi siamo attori che cambiano ruolo.

Il Male opera attraverso la sua fama. Come un esercito onnipotente che avanza seminando il panico solo con il suo nome, così anche il Male, grazie alla sua fama, spesso non ha nemmeno bisogno di combattere. Molti si arrendono immediatamente non appena lo percepiscono, lo vedono, lo sentono. La sola minaccia è sufficiente a paralizzare la volontà. E così si diffonde. Rapidamente. In modo aggressivo. Sotto mentite spoglie. Convince l’uomo che, per proteggersi, deve prevenirlo, attaccare per primo, agire “preventivamente” — e in questa illusione di difesa, diventa egli stesso portatore del Male.

Chiunque affermi “mi farà del male, quindi devo attaccare per difendermi” diventa essenzialmente un aggressore per paura; sacrifica la discernimento in nome della prevenzione. Anche quando l’attacco non è preventivo ma una risposta a un colpo reale, il ciclo del Male continua. La sua diffusione, sia indiretta e mascherata, sia diretta e giustificata, si evolve come un’epidemia che si trasmette non per intenzione, ma per paura, per riflessi di sopravvivenza. Più si cerca di evitarlo, più facilmente lo si incarna. Il Male è mostruoso. Quando qualcuno si allea con il Male, si allea con i mostri; diventa parte dell’irrazionalità. Come avverte Nietzsche, chiunque dia la caccia ai mostri deve stare attento a non diventare lui stesso un mostro. Perché quando guardi profondamente nell’abisso, l’abisso guarda dentro di te.

Il Male, ovviamente, non è qualcosa di esterno. È parte di noi stessi. È il nostro io inferiore, l’ego isolato che si separa dal Tutto, gli istinti incontrollabili, l’inconscio che si oppone alla coscienza, l’ombra che si frappone alla luce e la altera. Questo è il conflitto interiore che ogni persona è chiamata a vivere, a comprendere e, idealmente, a superare. La guerra tra il Bene e il Male è, prima di tutto, interiore. È la guerra tra l’animale e l’uomo che è in noi; la lotta continua tra il subumano e il sovrumano, tra l’entropia e l’evoluzione, tra la decomposizione e la trasformazione, tra la morte spirituale e la resurrezione.

Questa è la grande lotta interiore: morire come bruchi e rinascere come farfalle. Trasformare il nostro io inferiore e varcare la soglia dell’evoluzione. Coloro che ci provano, vivono una “piccola morte” che non è una perdita, ma una rinascita.

La guerra tra il Bene e il Male si combatte ovunque: dentro di noi, fuori di noi, intorno a noi. È onnipresente, invisibile e visibile, sussurro e tuono. Speriamo, o forse sappiamo profondamente, che alla fine il Bene prevarrà. Se tutto andrà come dovrebbe. Se il Principio Divino non verrà interrotto, se l’Uomo sarà all’altezza della sua missione spirituale.

Ma non possiamo dire di più. Non perché non ci siano, ma perché siamo ancora in mezzo alla battaglia. Siamo soldati in guerra. Non abbiamo una visione completa, né una comprensione definitiva.

E forse questa è la grande tragedia dell’uomo. Il tragico poema degli dei. Il dramma del mondo. L’intera creazione sembra un campo di battaglia; e noi, guerrieri che cambiamo ruolo come si cambia maschera sul palcoscenico teatrale.

Come disse Shakespeare, «il mondo è un palcoscenico e noi recitiamo delle parti; forse, però, queste parti non sono solo da recitare, ma da assumere come responsabilità, come missione».

Ηώ Αναγνώστου

Fonte: terrapapers.com

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