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Quando la legge diventa complice del male

La vita è una sola non dimenticartelo mai, fa che non sia solo una perdita di tempo!

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La legge diventa complice del male

È ora di buttare via le favole per adulti che chiamiamo “storia del progresso umano”. L’umanità non progredisce, ripete i suoi errori ma inventa protesi tecnologiche per darsi l’illusione dell’evoluzione. Poi ricicla i suoi crimini, li rifà e dà loro nuovi nomi. Ogni secolo inventa nuove parole per vecchie brutalità e, con la totale inversione dei valori, d’ora in poi la colonizzazione diventa pacificazione, la guerra diventa intervento e la predazione diventa partnership.

E continuiamo, come sempre, a bombardare in nome del “bene”, a sterminare sotto la bandiera della civiltà, a imporre quello che chiamiamo ordine con la forza delle armi. La morale non è altro che uno straccio sventolato davanti alle telecamere mentre intere città vengono rase al suolo con le bombe. Il diritto internazionale è solo un’etichetta su una polveriera. Questo articolo non cerca di qualificare, ma di mettere a nudo. Mette le mani nel lavoro sporco della storia, per far emergere ciò che molti preferiscono dimenticare nella permanenza della menzogna, l’eredità sanguinosa degli imperi e la violenza bestiale ora travestita da virtù.

L’era moderna non si accontenta di celebrare momenti di ascesa o di progresso; è segnata da una successione ininterrotta di violenze sistematiche, massacri e distruzioni, sempre giustificati da ideali sbagliati di autodifesa o di superiorità civile. Questa dinamica non è né nuova né marginale: è il fondamento stesso della costruzione degli imperi e degli Stati che si definiscono moderni.

Questi arcaismi distruggono costantemente l’umanità e presto l’intero pianeta. Per dirla con Hannah Arendt, “la violenza è parte integrante del processo politico, è al centro della creazione di una società”(Violence, 1970). Si va dall’Impero assiro, che annientava i popoli vicini in nome dell’ordine, ai regimi totalitari del XX secolo, responsabili di genocidi. Ogni epoca ha visto una catena di atrocità il cui fine ultimo non è la semplice espansione, ma l’imposizione di una visione del mondo dominante.

Le giustificazioni per queste invasioni sono note, e vanno dall'”autodifesa” alla “pacificazione”, o addirittura alla scusa della cosiddetta missione di “civilizzazione”, ma di civilizzazione attraverso guerre rozze e barbare. Tutto ciò si basa sull’idea fallace che i popoli considerati “inferiori” debbano vedersi imporre la cultura e i valori di altre nazioni. Ciò permette di giustificare lo sfruttamento e la dominazione presentandoli come un atto di benevolenza, un “dovere” morale imposto da potenze coloniali tanto depravate quanto decadenti. Dietro questa cosiddetta missione civilizzatrice si nasconde il desiderio di controllo totale delle risorse vitali e di espansione territoriale ininterrotta, mascherato da altruismo e filantropia.

Usando la guerra come strumento di “civilizzazione”, queste potenze cercano non solo di sottomettere, ma anche di cancellare le culture e le identità locali per imporre il proprio modello di società. Questi discorsi ingannevoli sono stati utilizzati dai Romani per giustificare la conquista della Gallia, dagli spagnoli per la loro incursione in America Latina e dagli anglosassoni e da altre potenze europee per il loro dominio coloniale. Secondo le teorie di Michel Foucault, questi discorsi servono solo a legittimare i rapporti di potere mascherati da giustizia e moralità. Si tratta di ciò che egli chiama “biopotere”, una forma di potere esercitata sulle popolazioni con il pretesto della protezione e del benessere, ma che in realtà mira ad affermare l’autorità del dominante schiacciando ogni forma di opposizione.

Lungi dall’essere eccezionale, questa violenza trova la sua logica nella continuità dei rapporti di potere. Ad esempio, l’Impero romano, pur all’apice della sua gloria, non si limitò a conquistare nuovi territori; “civilizzò” il bacino del Mediterraneo massacrando, schiavizzando e imponendo la sua lingua, le sue leggi e i suoi dei. Ne è prova la guerra di Roma contro i Galli, la cui brutalità passerà alla storia come esempio dell’uso della violenza per estendere e preservare un ordine imperiale (Storia della guerra gallica, Giulio Cesare).

I conquistadores spagnoli non solo massacrarono le popolazioni indigene con il pretesto della civilizzazione, ma deturparono l’intero continente, imponendo una cultura aliena e sterminando migliaia di popoli originari con il pretesto di portare la “luce cristiana”. Gli anglosassoni, con la loro espansione coloniale e imperialista, giustificarono spesso la violenza e la conquista con l’idea di diffondere la loro civiltà, l’inglesità e il protestantesimo, che consideravano un modello superiore. La loro espansione nelle Americhe e in Africa, in particolare, non consisteva solo nell’imporre il dominio militare, ma nel riscrivere le culture locali e distruggere sistemi di vita secolari, mantenendo un rigido controllo sulle risorse e sulle popolazioni.

Allo stesso modo, le grandi potenze europee, a partire dalla Francia e dai Paesi Bassi, intrapresero guerre in nome dell’estensione della loro influenza imperiale, con il pretesto di missioni di civilizzazione, ma in realtà motivate dal desiderio di ottenere territori ricchi, rotte commerciali e manodopera schiava. Tutti questi imperi hanno usato la violenza e la guerra non solo per spazzare via intere culture, ma anche per imporre un ordine mondiale che favorisse gli interessi europei, lasciando profonde cicatrici nei popoli conquistati, alcune delle quali ancora oggi.

In ogni epoca, l’umanità ha fatto a gara di ipocrisia per giustificare l’ingiustificabile, sostenendo di difendere la civiltà contro la barbarie, ma rivestendo ogni azione militare di una ridicola facciata morale. Anche dopo le atrocità delle due guerre mondiali, quando avremmo potuto sperare in un campanello d’allarme, le potenze imperiali e totalitarie hanno continuato a giustificare la loro abietta violenza con il falso pretesto di “preservare la pace” o “stabilire un ordine giusto”. Questi discorsi non sono altro che ciniche manipolazioni, maschere di rispettabilità che nascondono sordidi obiettivi: l’estensione del potere, il dominio di interi popoli e il saccheggio delle risorse naturali. Dietro questi voli pindarici, apparentemente umanisti, si nascondono sempre gli stessi appetiti insaziabili e la stessa logica di dominio, che la storia, a quanto pare, non è mai riuscita a contenere.

È in questo contesto di interminabile violenza che il diritto internazionale è nato, dopo gli orrori di due guerre mondiali, come una fragile illusione, un ultimo sussulto di speranza per regolare l’equilibrio globale dei poteri. In origine, i fondatori del diritto internazionale, ispirati da teorici come Thomas Hobbes e Jean-Jacques Rousseau, avevano l’ingenua ambizione di “civilizzare” la guerra, credendo senza dubbio che la barbarie potesse essere controllata da regole. Ma questa utopia si scontrò presto con la brutale realtà del potere. A partire dal Trattato di Westfalia del 1648, che avrebbe dovuto porre fine alla Guerra dei Trent’anni, il principio della sovranità statale fu stabilito come dogma, non come un appello alla pace, ma come un lasciapassare per le monarchie europee, dando loro carta bianca per massacrare i propri popoli ed estendere il proprio dominio su quelli che ritenevano inferiori, il tutto con il pretesto dell'”ordine” internazionale.

In realtà, quello che chiamiamo “diritto internazionale” non è affatto un progresso, ma semplicemente un’estensione dell’equilibrio di potere tra le potenze dominanti. Le Convenzioni di Ginevra, che dovrebbero proteggere i civili e i prigionieri di guerra, non sono altro che un tentativo irrisorio di limitare l’orrore della guerra, un varco appena percettibile nell'”inferno” del conflitto. E anche all’interno di questo quadro, le grandi potenze imperiali non esitano a manipolare questi accordi per preservare i loro imperi e il loro dominio incontrastato. Come sottolinea giustamente lo storico Niall Ferguson, “la guerra è sempre stata un’impresa politica, con il diritto come accessorio”. Un mero strumento di camuffamento, concepito per nascondere le atrocità dei potenti e fornire loro una copertura legale per estendere il loro dominio e massacrare i popoli al fine di derubarli più efficacemente. Il diritto internazionale non è né un baluardo contro la barbarie né un progresso umanista, ma solo uno strumento tra i tanti, forgiato per mascherare e legittimare gli abusi delle élite a spese dei più vulnerabili.

L’attuale ritorno alla barbarie si manifesta con il riemergere di dottrine di attacco preventivo, in cui gli attacchi militari vengono lanciati con assoluto cinismo ancor prima dello scoppio di un conflitto. Potenze come Israele e gli Stati Uniti, con il pretesto di “proteggere la loro sicurezza nazionale”, hanno trasformato questa logica in un principio di governo, lanciando guerre senza la minima giustificazione legale, come se il loro unico interesse fosse sufficiente a legittimare la violenza. Già nel 2007, Israele ha bombardato un impianto nucleare in Siria, accusando il Paese di sviluppare armi nucleari potenzialmente pericolose, senza presentare la minima prova tangibile.

Questo intervento unilaterale si basa sul ragionamento assurdo e profondamente immorale di un’aggressione sistematica, giustificata da una minaccia ipotetica che potrebbe presentarsi in un momento incerto in un futuro indefinito. Questo ragionamento non è altro che una totale inversione del diritto, una scandalosa riscrittura delle regole della guerra, in cui l’attacco diventa la norma e la pace l’eccezione. Soprattutto, questa logica è totalmente contraria a qualsiasi forma di civiltà, perché non è prevenzione ma predazione, con la violenza deliberata contro tutti e il saccheggio mascherato da difesa. Non è la protezione degli innocenti, ma lo sfruttamento brutale di coloro che sono indicati come “minacce”, senza nemmeno preoccuparsi di dimostrare che esistono davvero. Questa è barbarie pura e semplice, rapina a mano armata e immoralità totale, con la menzogna e l’arroganza come forze trainanti di un modo di operare bestiale.

Nel 2003, l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti è stata un esempio perfetto di questa logica sbagliata: dopo aver palesemente mentito sull’esistenza di armi di distruzione di massa, gli Stati Uniti hanno affermato di agire per “liberare” l’Iraq. Ma in realtà questa guerra non aveva nulla a che fare con la difesa della libertà o dei diritti umani. Si trattava soprattutto di impadronirsi delle risorse petrolifere della regione e di affermare spudoratamente il proprio dominio geopolitico. Il presidente George W. Bush e i suoi alleati sapevano perfettamente che non c’era alcuna giustificazione legittima per questa guerra, che era tutta una farsa, una cortina fumogena per nascondere obiettivi imperialisti ben più sordidi. Come hanno sottolineato studiosi come Noam Chomsky e John Pilger, l’Iraq è stato vittima di un’aggressione puramente imperialista, vestita con pretesti di “libertà” e “democrazia” che non sono mai stati altro che una copertura per uno stupro su larga scala e un dominio senza scrupoli.

Il vergognoso episodio delle fiale brandite da Colin Powell davanti alle Nazioni Unite, che avrebbero dovuto dimostrare il possesso di armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein, è uno degli esempi più scandalosi di manipolazione dell’opinione pubblica. Queste fiale, una volta rivelatesi falsamente rappresentative delle prove reali, sono state utilizzate per giustificare una guerra di aggressione che non aveva alcuna legittimità. Ma non solo: c’erano anche le bugie deliberate sui bambini massacrati dai soldati iracheni, una storia inventata per scioccare e manipolare le coscienze occidentali, come se le vite di questi innocenti fossero una merce usata per alimentare la propaganda bellica. Questa non era una guerra per salvare un popolo, ma per rafforzare il dominio dei potenti, usando la sofferenza e la distruzione come strumenti di un ordine mondiale imposto con la forza.

D’altra parte, i bambini, i neonati e le madri innocenti di Gaza, vittime di una violenza cieca e devastante, non commuovono più nessuno. L’indignazione selettiva sembra essere cessata quando si tratta di popoli oppressi da potenze geopolitiche di altro ordine. L’orrore assoluto del genocidio in corso a Gaza è oscurato da una cortina fumogena ben controllata di minacce poste dall’attacco aggressivo e infondato all’Iran, abilmente orchestrato per sviare l’attenzione. E ora, mentre milioni di vite palestinesi vengono schiacciate dalle bombe, il mondo guarda altrove, distratto da una propaganda che serve a mascherare l’indegnità dei potenti. Quello che sta accadendo a Gaza non è solo un massacro umanitario, ma un silenzio complice, un rifiuto collettivo di vedere ciò che è impossibile ignorare.

Ma non commettiamo errori: la storia degli Stati Uniti, come quella di molte grandi potenze o di piccole colonie sanguinarie come quelle illegali israeliane, è una storia di colonizzazione violenta e di imperialismo costante. L’America è stata costruita sul sangue, in un genocidio che spesso viene ignorato e continua a essere cancellato dalla memoria collettiva. Come scrive Roxanne Dunbar-Ortiz in An Indigenous Peoples’ History of the United States, questo Paese è stato fondato su un progetto genocida di sterminio delle popolazioni indigene per espandere il territorio dei coloni europei.

Lo sterminio degli Amerindi, il loro trasferimento forzato, la loro sottomissione a epidemie e massacri, è stato il terreno su cui è stata costruita la nazione americana. Un genocidio che oggi è in gran parte dimenticato, ma che rimane il fondamento stesso di questa cosiddetta democrazia, che ci viene presentata come un modello. Come ciò che gli israeliani fanno da oltre 80 anni ai palestinesi e ora a tutti i loro vicini del Medio Oriente, questa violenza bestiale, nata dall’avidità e dall’avarizia di alcuni individui privi di morale e di anima, non è mai cessata. Ciò che è cambiato è la sua forma, grazie allo sviluppo della tecnologia della morte. Non è solo più brutale, ma anche più sottile, manipolata da un discorso mediatico propagandistico meglio calibrato che osa parlare di “sicurezza” e “civiltà”, pur essendo altrettanto spietato, sotto forma di neocolonialismo tecnocratico e impenetrabile.

La guerra in Iraq, l’occupazione dell’Afghanistan, l’intervento in Libia, poi in Siria e in Libano, per non parlare delle innumerevoli operazioni segrete condotte dalla CIA e dal Mossad, illustrano questa continuità imperialista che non vacilla mai. Con il falso pretesto di difendere i principi universali di libertà e diritti umani, gli Stati Uniti conducono guerre che in realtà mirano solo a rafforzare il proprio potere strategico ed economico, schiacciando intere nazioni sotto il peso delle loro ambizioni imperiali.

Come ha osservato Arundhati Roy, “questi interventi sono la manifestazione dell’imperialismo moderno, vestito di buoni sentimenti e promesse di democrazia, ma che persegue obiettivi puramente geopolitici”. Dietro ogni intervento si nasconde la stessa logica volta a sfruttare le risorse, dominare i territori e proteggere gli interessi politici, dando ai bombardamenti e alle distruzioni la facciata rispettabile della “liberazione”. La “guerra giusta” contro l'”asse del male” è in realtà solo un altro strumento per imporre un ordine mondiale dominato dagli stessi potenti banchieri apolidi e produttori di armi, in cui le vite umane non contano più di fronte agli inevitabili calcoli strategici e finanziari.

Gli Stati Uniti, e Israele in particolare, come altre potenze occidentali, continuano a nascondere il loro imperialismo dietro la maschera ipocrita di “preservare la pace” facendo la guerra a tutti coloro che si oppongono alla loro egemonia, e di “difendere i diritti umani” calpestando sistematicamente i trattati internazionali e la morale più elementare, mentre massacrano intere popolazioni. Questa doppiezza, questa forma di cinismo assoluto, affonda le sue radici in un imperialismo che si traveste da missione salvifica, ma che in realtà cerca solo di imporre ordini ingiusti e sfruttamento senza scrupoli.

Come ha giustamente osservato il filosofo e storico Walter Benjamin, “la vittoria sulla barbarie non fa mai scomparire la barbarie”. In realtà, la storia ci insegna che ogni volta che una potenza si arroga il diritto di agire nel proprio interesse, la violenza riaffiora, ma questa volta sotto una maschera più raffinata di “virtù” e “buone intenzioni”. Il diritto internazionale, lungi dal proteggere gli innocenti, serve ora solo a legittimare l’ingiustificabile, a camuffare la corruzione sistemica e a dare copertura morale all’indifendibile. Queste cosiddette “istituzioni” non sono altro che esche per mascherare la disuguaglianza del mondo, in cui solo il potere bruto e la forza più implacabile dettano la realtà. Coloro che traggono profitto da questo sistema non sono i più virtuosi, ma i più malsani e subdoli tra noi, coloro che manipolano la guerra e la sofferenza per costruire il proprio impero di ingiustizia.

L’ONU, la CPI, l’OMS, il FMI, le Banche Centrali e tutte le altre istituzioni globali, che dovrebbero difendere i principi di giustizia, equità e cooperazione internazionale, in realtà non sono altro che facciate che mascherano gli interessi imperialisti delle maggiori potenze economiche e militari. Il WEF, vera e propria vetrina di questo sistema globalista, incarna l’essenza di questa ipocrisia, sostenendo di lavorare per il bene comune mentre consolida il dominio delle élite finanziarie e politiche. Lungi dallo scomparire, guerra, colonizzazione e neocolonialismo persistono in forme nuove e sofisticate. Ogni intervento militare, ogni crisi umanitaria diventa una nuova giustificazione per questa dominazione sistematica e sanguinaria.

Il processo di dominazione imperialista non cessa mai; viene continuamente reinventato, sempre con il pretesto della civiltà, della libertà e della pace, come richiamo per le masse. In questo mondo, il diritto internazionale non è altro che una facciata, una copertura per nascondere un progetto di dominio mondiale che avvantaggia i più potenti e subdoli, mentre i popoli soffrono in silenzio, schiacciati dal funzionamento di un sistema che non dà loro voce.

Così, lontano dalla dolce illusione di un mondo governato da principi superiori e da un ordine basato sulla giustizia, diventa sempre più chiaro che la macchina imperialista continua a operare con la stessa violenza, ma in forme più sottili e insidiose. Non solo perché i potenti manovrano nell’ombra delle decisioni diplomatiche e dei trattati internazionali, ma anche perché noi, semplici spettatori di questa tragedia globale, abbiamo scelto di voltarci dall’altra parte. È più comodo credere che il diritto internazionale ci protegga, che le Nazioni Unite lavorino davvero per la pace, che le potenze occidentali difendano la libertà e i diritti umani.

Ma cosa facciamo di tutto questo? Ci accontentiamo di rassicurarci con discorsi ben fatti, di aggrapparci alla speranza che altri subentrino, che le istituzioni vengano un giorno riformate. E nel frattempo tutto continua: i massacri, i saccheggi, le manipolazioni. La guerra non è scomparsa, si è semplicemente trasformata in una guerra economica e ideologica, dove le vite umane contano solo come variabili di aggiustamento in un grande gioco di potere.

L’aspirazione a un mondo più giusto, a un futuro in cui la solidarietà e l’equità guidassero le nazioni, è stata trasformata in una vasta impresa di manipolazione delle masse, in cui la retorica sui diritti umani, la democrazia e la libertà sono usate come facciata per giustificare guerre sempre più devastanti. La finanza, attraverso il moderno neocolonialismo, divora le risorse dei Paesi in via di sviluppo, mentre i potenti assicurano un controllo totale, ammantato da termini come “stabilità regionale” o “lotta al terrorismo”, etichette che nascondono piani di dominio e distruzione su scala globale. Il vero obiettivo è sempre lo stesso: il saccheggio dei popoli e il consolidamento di un impero globale nelle mani di pochi.

E il vero scandalo sta proprio lì, nella nostra silenziosa complicità, noi cittadini del mondo che, con la nostra apatia e la nostra mancanza di rivolta, alimentiamo questa gigantesca macchina di distruzione e sfruttamento. Ognuno di noi, nella sua comoda indifferenza, permette che si sviluppi un sistema in cui l’ingiustizia e la violenza si ripetono senza sosta, come se fosse evidente. La nostra mancanza di mobilitazione, il nostro silenzio di fronte all’ingiustificabile, è ciò che permette ai principi che dovrebbero guidarci di trasformarsi nella loro stessa antitesi.

Persuadendoci di non avere né il potere né il dovere di cambiare le cose, diventiamo taciti alleati dell’imperialismo finanziario, della guerra preventiva e dell’ingiustizia sistemica. Il più grande successo degli imperi moderni non è tanto la loro capacità di imporre il proprio dominio, quanto la nostra accettazione passiva di tale dominio. Abbiamo permesso che le istituzioni che avrebbero dovuto garantire i nostri diritti, la nostra dignità umana e la nostra libertà individuale si trasformassero in strumenti di un’insaziabile sete di potere e di profitto, entità che, invece di proteggere gli oppressi, consolidano il potere degli oppressori. Le Nazioni Unite, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, la Corte Penale Internazionale: tutte queste istituzioni sono diventate strumenti deleteri per legittimare gli interessi dei potenti, mentre le popolazioni devastate rimangono invisibili in questo oceano di sofferenza e immoralità.

Non si tratta solo di una denuncia sotto forma di osservazione, ma dell’ennesimo appello disperato. Un appello a non rassegnarsi a questa disgustosa realtà, a non restare a guardare i treni della guerra, dello sfruttamento e della sofferenza umana passare come se fossimo semplici spettatori inconsapevoli della Storia. La Storia, come sempre, si ripete, ma a un certo punto dobbiamo scegliere se rimanere nella comodità della nostra indifferenza o se opporci finalmente a un sistema che schiaccia chi non ha voce né potere.

La vera battaglia oggi è anche contro il nostro silenzio, contro il lassismo che ci fa accettare l’inaccettabile senza battere ciglio. Il potere è dentro di noi. Ma preferiamo comprare la pace interiore con prodotti a basso costo fabbricati in fabbriche di schiavi sottopagati dall’altra parte del mondo, alimentare l’industria della sorveglianza con i nostri smartphone, e alimentare questa macchina infernale con i nostri acquisti, le nostre carte bancarie, le nostre vite digitali. Le nostre azioni quotidiane, alimentate dal nostro egoismo, finanziano questa follia. Perché abbiamo dimenticato che è in armonia con i nostri vicini, nella solidarietà, nella discussione e nell’azione comune che possiamo davvero cambiare le cose. Noi, cittadini del mondo, stiamo contribuendo a questa mostruosità, non per costrizione, ma per tacito consenso. Ci dividiamo, ci atomizziamo, inseguiamo beni materiali inutili, convincendoci che il mondo è troppo vasto e complesso per cambiare qualcosa.

Il mondo cambierà solo quando decideremo, innanzitutto come individui, di rompere questo ciclo, di mettere in discussione il nostro benessere e la nostra indifferenza. Sì, è cambiando noi stessi che metteremo fine a questa macchina di distruzione, a questa falsa legge internazionale, a questa follia che inizia con il gusto dell’avidità e della monopolizzazione materiale senza alcun ulteriore tentativo di elevare la nostra spiritualità. Informandoci, educando i nostri figli, rifiutandoci di acquistare i prodotti delle aziende che finanziano e alimentano questa follia. Non ci arriveremo con discorsi e manifestazioni vuote, ma con azioni concrete e quotidiane che smascherino i veri interessi che si celano dietro la maschera dei “diritti umani” e della “democrazia”.

Il cambiamento non verrà dalla cima della piramide del potere, ma da noi stessi. Dalle nostre scelte quotidiane, dalla nostra capacità di stare insieme, di condividere lo sforzo per costruire il futuro, di cacciare questi malfattori privandoli del loro potere. Finché questo silenzio persisterà, finché continueremo a voltarci dall’altra parte, le istituzioni, lungi dal proteggerci, continueranno a schiavizzarci per servire gli interessi di un piccolo gruppo di criminali che agiscono come una banda organizzata e che adorano solo il denaro e il potere. È smettendo di offrire loro la nostra energia, il nostro denaro, le nostre vite, che riusciremo finalmente a spezzare la loro morsa.

Perché il cambiamento avverrà solo quando smetteremo di fare il loro gioco.

Phil BROQ.

Fonte: jevousauraisprevenu.blogspot.com

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