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Cosa Pensano Veramente le Cosiddette “Élite” della Gente Comune?

Quanto odio e quanta cattiveria si manifesta dalle persone ai vertici del potere è sotto gli occhi di tutti, ma quello che viene rimosso da una collettività che ha fatto suo il pensiero unico, è che questa propensione al male che li alimenta, scaturisce dalle persone che attraverso il proprio comportamento quotidiano ricrea per filo e per segno quello che le élite fanno alla gente comune la quale si crede moralmente ed eticamente corretta.

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Cosa Pensa l’élite della gente comune

A volte ci si chiede se le cosiddette “élite” che questo autore definirebbe piuttosto parassiti abbiano un senso di correttezza etica o morale.

La risposta, a mio avviso, è piuttosto ambivalente. Queste creature ipertecnocratiche e “transumaniste” mostrano una consapevolezza “etica” di un tipo specifico e perverso di “ethos”, ma di un senso morale non c’è alcuna indicazione. L’unica giustificazione “etica” dell’azione che si può individuare da parte loro, a giudicare dalle prove disponibili, sembra essere la necessità percepita di muoversi verso una società tecnocratica, orientata all’IA, finanziariamente completamente digitalizzata e controllata, sulle ceneri della società esistente. Che cosa significa questo in termini di “etica”?

Dal punto di vista filosofico, sebbene i termini “etica” e “morale” siano normalmente utilizzati in modo intercambiabile, a rigore non sono sinonimi. Il termine “etico” è legato (come già detto) all’ethos, che denota un senso condiviso di valore e di scopo da parte di una particolare comunità (indipendentemente dai valori e dagli scopi a cui aderisce), e può quindi essere utilizzato per articolare una giustificazione “etica” di determinate azioni da parte dei membri della comunità, nella misura in cui appartengono alla collettività. Questo senso di “etico” risale al lavoro di G.W.F. Hegel, e deve essere distinto dal significato stretto di “morale”, che è specificamente legato alla coscienza morale e alle azioni degli individui, piuttosto che delle comunità.

Le implicazioni di questa distinzione sono di vasta portata. Esse comportano la conseguenza che i requisiti e le azioni “etiche” non devono essere considerati come universalmente vincolanti per tutte le persone, ma come applicabili a particolari comunità che condividono un ethos distinto. Si potrebbe usare il termine etico in senso lato per includere tutte le persone che appartengono a una certa cultura distinta, per esempio quella occidentale, in contrapposizione a quella orientale, ma poiché ci sono così tante sottoculture all’interno di ognuna di queste grandi denominazioni, non ha quasi senso applicarlo in modo così ampio: dopo tutto, ci sono differenze culturali significative tra la cultura francese e quella americana in Occidente, e tra la cultura indiana e quella cinese in Oriente, e quando il terreno si restringe ulteriormente, a livello di cucina francese e americana, o di cinema, per esempio, le differenze diventano ancora più pronunciate.

Per quanto riguarda la “morale”, tuttavia, c’è un’importante differenza: mentre l'”etica” nella sua accezione comunitaria può avere una rilevanza limitata, in quanto limitata ai membri di una comunità, la “morale” ha un significato universale, nella misura in cui si applica alle azioni individuali che sono giudicate in termini di criteri che sono considerati universalmente validi per tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla comunità culturale a cui si appartiene. Ad esempio, può essere “eticamente” giustificabile escludere le donne da alcune società maschili tradizionalmente esclusive, come quella dei “regolari” (in contrapposizione ai “continentali”) massoni, mentre altre organizzazioni si opporrebbero, preferendo ammettere sia uomini che donne. Al contrario, non è moralmente giustificabile affermare che agli uomini è permesso stuprare le donne, ma alle donne non è permesso fare lo stesso con gli uomini, o addirittura opporsi allo stupro. Dal punto di vista morale, è universalmente accettato che lo stupro (di uomini o donne, da parte di uomini o donne) è sbagliato;

Il significato universale di “morale” è meglio illustrato con riferimento alla filosofia morale di Immanuel Kant, un predecessore di Hegel nella filosofia idealista tedesca. Per Kant, le azioni morali non possono essere giustificate facendo appello alle loro conseguenze desiderate (una posizione morale-filosofica nota come “consequenzialismo”, o forse, in una fase precedente, come “utilitarismo”, che è leggermente più ampio nelle sue implicazioni), ma solo “deontologicamente” (dal greco deon: dovere, obbligo) – cioè, nella misura in cui sono eseguite perché è il proprio dovere di agire moralmente. Le azioni particolari dovrebbero essere guidate da quello che egli chiama “imperativo categorico” (che è incondizionato, in contrapposizione all'”imperativo condizionale”), che funziona come pietra di paragone per la bontà morale delle proprie azioni, e quindi come “legge morale”.

Kant ha dato diverse formulazioni dell’imperativo categorico, che si può riassumere dicendo: “Agisci sempre in modo che la massima (regola o assioma motivante) della tua azione possa essere considerata valida per tutte le persone in ogni momento”. Utilizzato come metro di giudizio, permette di “testare” se un’azione è moralmente buona o meno; ad esempio, è moralmente buono rubare? In termini di imperativo categorico, ne consegue la domanda: l’azione del furto può essere intesa come giustificatamente valida per tutte le persone in ogni momento? Per Kant la risposta è inequivocabilmente “No”, perché se si dice “Sì” significa che non ci si può opporre se si ruba; anzi, si dovrebbe applaudire. Per ragioni analoghe, l’omicidio non può essere moralmente giustificato, perché se lo fosse, ognuno dovrebbe concedere a tutti gli altri il diritto di ucciderli, e ciò diventerebbe contraddittorio.     

La distinzione tra “etico” e “morale” è stata fatta propria da Jürgen Habermas per aspetti specifici della sua etica del discorso (cfr. Lasse Thomassen 2010: 84-96; 102-105). Come già indicato in precedenza (seguendo Hegel), “etico” presuppone una comunità “etica” che condivide un ethos, cioè determinati precetti e costumi culturali che sono sussunti sotto il suo orientamento “etico”, mentre “morale” (seguendo Kant) implica un orientamento universalistico riguardo alle azioni moralmente rilevanti. I membri della cabala del NWO possono, nella migliore delle ipotesi, rivendicare una sorta di “ethos” (come sembrano fare Klaus Shwab e Thierry Malleret), ma il comportamento “etico” che ne deriva non sarebbe altro che una perversione, rappresentando un “ethos” che relega gli altri esseri umani al livello di “inutili mangiatori” sacrificabili.

E se un individuo appartenente a questo gruppo di psicopatici rivendicasse una posizione morale affermativa per le sue azioni (o per quelle promosse dal collettivo, cioè la cabala tecnocratica, di cui fa parte) volte a promuovere il (non così) “grande reset” e tutto ciò che esso comporta, fallirebbe, in termini di principio di “universalizzazione” di Kant e Habermas. Perché? Perché una simile affermazione, nel loro caso, comporterebbe un’ovvia contraddizione performativa: “Non uccidere” è un imperativo universalmente applicabile; uccidere deliberatamente milioni di persone (per mezzo dei cosiddetti “vaccini” da loro commissionati, ad esempio) implica l’eliminazione del “non” in questo imperativo, e ciò significa che l’universalizzazione di “Non uccidere” farebbe decadere le loro stesse vite. Ma chiaramente non è nell’interesse dei globalisti neofascisti ammettere questo. Come dice Thomassen (2010: 92) in riferimento alla rilevanza dell’etica del discorso di Habermas per la questione degli interessi:

Per Habermas, il discorso, come espresso nel principio di universalizzazione, riguarda proprio l’universalizzabilità di interessi particolari. Possiamo pensare a questi interessi in termini di rivendicazioni di validità e il test di universalizzazione serve a verificare se tali interessi o rivendicazioni di validità possono essere universalizzati o meno. In altre parole, si tratta di verificare se determinati interessi non sono semplicemente i miei o i nostri interessi, ma gli interessi uguali di tutti – in breve, se sono universali.

Quale dei due termini “etico” o “morale” ha la priorità quando è in gioco un giudizio sulle azioni delle persone? Il termine “morale” prevale su “etico” quando si tratta delle azioni di un individuo che è membro di una comunità “etica”. Sebbene si possa sostenere che le azioni di questi individui possano essere comprese come conseguenze delle priorità “etiche” della comunità a cui appartengono, questo non li esime dal peso morale e dalle implicazioni delle loro azioni. Ciò può essere illustrato all’interno di un contesto narrativo pertinente, che coinvolge i membri dei cospiratori democristiani iatrocratici e globalisti che spadroneggiano sul resto di noi.      

Poco prima di morire, nel 1999, uno dei più grandi registi del mondo, Stanley Kubrick, ha permesso di dare uno sguardo alla psiche collettiva dei “mega-ricchi e potenti” del mondo, tenendo presente non solo il legame tra ricchezza e potere, ma anche tra ricchezza e (almeno potenziale) disprezzo per i meno fortunati. Nel suo ultimo film, Eyes Wide Shut (1999), Kubrick ci ha regalato un capolavoro del cinema noir ricco di abbondanti allusioni all’intuizione di Freud sull’intreccio inseparabile di Eros e Thanatos, vita e morte, sesso e mortalità. Com’è prevedibile, quando ciò avviene nella sfera sociale della classe miliardaria, di tanto in tanto affiorano nella narrazione indizi relativi ai loro atteggiamenti nei confronti di questi ineludibili accompagnamenti della vita.

Il leggendario regista esplora le tormentate fantasie del suo protagonista noir, il dottor Bill Harford (Tom Cruise), che si imbarca in un’esplorazione notturna dell’Eros, incapace di scacciare l’immagine dolorosa della moglie Alice (Nicole Kidman) che fa sesso con un marinaio – cosa che lei gli ha confessato di aver desiderato (ma mai realizzato) circa un anno prima, dopo aver visto l’oggetto del suo desiderio entrare in un edificio. Grazie all’incontro fortuito con un vecchio amico studente alla festa in casa di un ricco paziente (dove viene arruolato per assistere una bella giovane donna in overdose), Bill viene a conoscenza della riunione di un’esclusiva società clandestina e, dopo aver ricevuto la parola d’ordine dall’amico (il pianista ingaggiato per l’occasione, dove suona bendato), si unisce alla riunione rituale, opportunamente mascherato  e ammantato di abiti a noleggio.

Nel corso della serata baccanale, in cui si vedono uomini copulare in incognito con giovani donne nude e attraenti in varie posizioni nell’immensa villa, Bill scopre il suo bluff e viene portato davanti all’intera assemblea, di fronte a una figura minacciosa che gli contesta la sua presenza illecita all’assemblea. Se non fosse che una giovane donna mascherata e nuda interviene in suo favore nel momento in cui sta per essere spogliato e insiste per ricevere la punizione al suo posto, Bill non se la sarebbe cavata così bene, potendo uscire indenne.

Quando il dottor Harford scopre sul giornale la notizia della recente morte di una giovane donna, è spinto a continuare a indagare sulla riunione segreta a cui ha partecipato la sera prima, ma si accorge di essere seguito. Poco dopo viene invitato dallo stesso ricco paziente a casa del quale aveva assistito una giovane donna che soffriva delle conseguenze di un’overdose. Il paziente, che riconosce di essere stato presente alla quasi-demolizione di Bill la sera precedente, chiarisce che Bill dovrebbe desistere dal sondare l’assemblea esclusiva. Nel tentativo di persuadere Bill, quest’ultimo banalizza la morte della giovane donna sottolineando che “era (solo) una prostituta” e che è morta per overdose, come aveva già rischiato di fare alla sua stessa festa in casa, dove Bill l’aveva visitata in precedenza.

È quando esorta Bill a ricordare la giovane donna (con “le tette grosse”) che si trovava nella sua camera da letto nell’occasione precedente, descrivendola comunque come una candidata all’overdose, che ci si rende conto che la donna è stata di fatto “sacrificata” al posto di Bill, e che il riferimento casuale a lei è una sincera espressione del totale disprezzo del ricco paziente per lei come donna e come persona. Non importa minimamente che lei abbia pagato con la vita la follia di Bill, anche se quest’ultimo, in quanto medico e potenziale futuro membro di questo alto livello della società, merita evidentemente un investimento avicativo e ammonitorio. Nel corso della conversazione si ha la netta impressione che l’amico pianista di Bill abbia subito la stessa sorte della squillo.

Questo episodio di Eyes Wide Shut, diretto da uno dei geni del cinema, può essere considerato paradigmatico degli atteggiamenti dei super ricchi nei confronti dei “comuni mortali”, come si vede attualmente nelle diverse miserie inflitte da queste “élite” alle persone di tutto il mondo. Non solo, ma come ho scritto prima a proposito della questione della priorità dell’etica” (orientata alla comunità) e della “morale” (incentrata sulla coscienza individuale), la morale ha la priorità sull’etica quando si compiono azioni che si pretende siano “eticamente” giustificate dalla missione collettiva di una sorta di comunità.

Oggi le presunte “élite” possono sostenere che il genocidio iatrocratico in atto oggi, che presumibilmente culminerà in uno stato di cose in cui “non possiederai nulla e sarai felice”, è giustificabile in termini finanziari, ecologici e demografici – e quindi etici. Eppure, proprio come il fittizio organizzatore della festa di Bill è individualmente colpevole della morte di “comuni mortali” come la cortigiana sacrificabile e il pianista assunto (anche se lui e altri potrebbero nascondersi dietro il gruppo selezionato a cui appartengono), gli individui che compongono questo gruppo di neofascisti oggi non possono sfuggire alle implicazioni morali della loro partecipazione a questo, probabilmente il più grande crimine della storia mondiale.

Come individui moralmente colpevoli sono colpevoli a tutti gli effetti peccato che, in quanto psicopatici, siano insensibili al senso di colpa o al rimorso. In termini di imperativo categorico di Kant (la “legge morale”) – dove la regola motivante delle proprie azioni dovrebbe prestarsi a essere elevata a legge universale per tutte le persone in ogni momento – il corollario delle loro azioni è che il democidio dovrebbe diventare universalmente accettabile, il che è moralmente contraddittorio nella misura in cui comporterebbe anche la loro morte.

Bert Olivier

Fonte: substack.com/@oliber

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