Il Presagio: Profezia di un Nuovo Mondo
La vita é tutta un mistero e l’umanità intera va perennemente alla ricerca di tutte quelle certezze che non potrà mai avere.
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La conoscenza del presagio nell’ambito della filosofia
La filosofia ha innanzi tutto a che fare con la curiosità e con il desiderio di capire. Affrontata attraverso uno studio accademico, aiuta a trovare risposte alle domande fondamentali dell’esistenza umana. Favorisce lo sviluppo di un pensiero autonomo e critico e incoraggia a non accontentarsi delle soluzioni più facili o mainstream.

La filosofia si occupa però anche di fornire fondamento ad altri ambiti del sapere e ad altre scienze, poiché indaga le condizioni e i presupposti della nostra conoscenza, del nostro pensiero e del nostro agire. Essendo vincolata all’uso preciso di concetti e ad argomentazioni logicamente stringenti, contribuisce a gettar luce sui fraintendimenti derivanti dall’uso del linguaggio e a far emergere gli errori di pensiero.
Ma col ‘presagio’ la filosofia si trova impreparata.
Traggo da un articolo di Gianfranco Bertani alcuni suoi stralci sul ‘presagio’.
Avendo l’occasione di introdurre una serie di interventi che hanno come tema centrale il presagio e il suo rapporto con l’arte, mi sembra quasi doveroso fare alcune basilari, generalissime riflessioni sul concetto e l’uso della parola ‘presagio’, premettendo fin d’ora però che esso non è stato obiettivo di alcuna indagine filosofica in ambito contemporaneo, almeno a quanto mi risulta. Saranno quindi queste considerazioni che non vogliono essere assolutamente definitive, ma alcuni spunti di premessa per una tematizzazione filosofica del concetto di presagio.
Innanzitutto è d’obbligo fare riferimento al suo significato originario; è d’obbligo ma sarà forse anche interessante quando lo paragoneremo all’utilizzo che oggi, nel linguaggio comune, ne facciamo.
… scriveva Michele Federico Sciacca in un suo libro memorabile sulla condizione umana, “l’uomo fin dal ventre della madre ha scritto sulla schiena: “fragile””. Il presagio gli ricorda la sua fragilità, la sua precarietà: la risposta moderna al presagio è un atto morale, sempre e comunque. E può diventare, sono sempre parole di Sciacca, un “atto d’infedeltà metafisica” qualora l’uomo desideri per sé l’autosufficienza trasformando la sua saggezza nella farsa di se stessa: autosufficienza infatti che implica stabilità, coincidenza tra essenza ed esistenza; e il teologo ci ricorda qual è quell’unico essere la cui essenza implica l’esistenza. Il presagio rimanda alla nostra fragilità e alla nostra precarietà, evidenziando quella caratteristica prima che è a fondamento di queste: quella di essere dipendenti. Forse questo è il significato più vero del presagio.
Ecco che la filosofia senza l’aiuto della scienza ha un’enorme difficoltà a comprendere il ‘presagio’, come si è visto. Esso ci permette di conoscerlo là dove entra in ambiti chiaramente ad esso legati che hanno a che fare con la scienza.
Ci occuperemo di due casi particolari, espressi da fotografie, in cui il ‘presagio’ trova sostegno in due ambiti scientifici che si rivelano, per darne conoscenza e comprensione. Nel primo caso è la matematica del biliardo cosiddetto, per l’appunto, ‘matematico’, nel secondo caso è la ‘gnomonica’, che si occupa del comportamento dell’ombra dei raggi del sole nell’arco del giorno. Va detto che questi comportamenti scientifici non sono generali e vale solo per i due casi sopra citati, di cui ci occuperemo fra poco. Ma, comunque, non è detto che sia una cosa esclusiva per i due casi.
La fotografia come tavolo per il biliardo matematico
Il biliardo matematico consiste in un piano (la fotografia) che può essere di forma quadrata o rettangolare, ma anche trapezoidale nel gioco che si sta per intraprendere in questo scritto.
A differenza del gioco del biliardo, la palla spinta dalla stecca del giocatore è solo immaginaria e si considera solo la sua traiettoria che si evolve in linea retta. Di qui, al posto del tavolo suddetto si immagina, per capirci meglio, che sia ‒ mettiamo ‒ un cristallo simile a un prisma ottico entro cui interagisce la geometria della traiettoria suddetta sotto forma di un raggio luminoso, e perciò sono le leggi dell’ottica a dettare legge. La sua velocità non interessa e si considera istantaneo il tragitto dell’immaginario raggio di luce che può giungere ad uno dei quattro bordi(le sponde) o agli angoli (le buche). Quando l’ipotetico raggio di luce colpisce il bordo simile ad uno specchio, vi si riflette e due sono i casi, cioè il modo frontale (ad angolo retto col bordo), oppure inclinato. (illustr. 1) In tutti e due i casi, l’angolo formato dalla traiettoria con il bordo (che va da 90° a 0° sessagesimali), detto di incidenza, è sempre uguale all’angolo opposto, detto di riflessione.

Salvo che la traiettoria del raggio di luce sia quella diretta in uno degli angoli, cioè le buche, tutte le altre proseguono il loro tragitto riflettendosi sulle altre sponde con la regola appena detta e proseguono il loro tragitto istantaneo. (illustr.ni 1, 2, 3 e 4) A questo punto possono verificarsi due casi per il genere di geometria descritta dalla traiettoria del raggio di luce: nel primo caso la traiettoria si conclude dopo una o più riflessioni in due angoli dell’immaginario cristallo (le buche); nel secondo caso, il traiettoria continua ritornando al punto di partenza ripercorrendo continuamente questo itinerario e perciò non andrà mai nelle due buche .
Questi due casi danno luogo a sequenze di percorsi che, tecnicamente, vengono definite orbite. La distinzione delle orbite vede, nel secondo caso una periodicità pari a 2 quando la traiettoria è frontale, cioè ad angolo retto con due sponde opposte; e pari a 4 e maggiori per traiettorie differenti. In ogni caso non sono possibili periodicità dispari.
Resta di capire come iniziare il gioco del biliardo matematico con le fotografie, cioè dove intravedere la palla da colpire con la stecca e che direzione scegliere per farla andare in buca. Il quadro offerto dalla fotografia lascerà intravedere una certa traccia da seguire che ci parrà interessante, quasi a intravedervi il lato misterioso da svelare, il presagio. A volte sono due punti strategici che più di altri si fanno notare e sarà la linea che li congiunge a costituire la traiettoria da seguire. È’ come scegliere una carta per il gioco “pari o dispari” cosa corrisponde ad andare in “buca” o no e farla girare indefinitivamente sulle sponde del biliardo simulato.
La fotografia come espressione della scienza gnomonica
La scienza, cosiddetta gnomonica, si occupa del comportamento dell’ombra dei raggi del sole nell’arco del giorno. Nel passato erano diffuse, nelle diverse località della terra, le note meridiane che, tramite l’ombra solare di uno stilo posto su una parete o anche su un piedistallo munito di piccolo piano, indicava l’ora del giorno in un punto ben preciso di una particolare curva.
In pratica, con la fig. 5 è mostrato un esempio, senza ricorrere ai complessi concetti geometrici per ricavare le suddette meridiane, ma semplicemente come si comporta la luce solare, in Piazza S. Pietro a Roma: un caso molto semplice da capire.

Al centro di questa Piazza è posto un obelisco e per terra sono posti dei dischi marmorei che rappresentano i segni dello zodiaco.
A mezzodì di ogni giorno il sole entra in un segno zodiacale e l’ombra prodotta dall’obelisco, che è analogo allo stilo della suddette meridiane che, nel nostro caso è definito gnomone, termina in un determinato disco zodiacale ed è il segno che vi corrisponde a segnalarlo.
Un misterioso caso di presagio nell’arte

Questo caso è stato tratto interamente da un mio articolo pubblicato dal sito Artonweb.it il 5 gen 2020, dal titolo Ode alla vita in “A’ mon seul désir della Dama e l’Unicorno di Cluny”.
L’ideazione di questo celebre arazzo, sopra mostrato con l’illustr. 6 viene attribuito a Jean Perréal (detto anche Jehan de Paris o anche Johannes Parisienu), la cui realizzazione è incerta, come il suo committente. Forse Giovanni IV, capofamiglia alla morte del padre nel 1457 e a sua volta deceduto nel 1500, forse suo cugino e successore Antonio II. In questo caso l’arazzo, esposto insieme ad altri sei nel Museo di Cluny a Parigi, potrebbe essere stato tessuto dopo il 1500 magari per festeggiare il fidanzamento con Jacqueline Raguier. Questa ipotesi spiegherebbe la presenza delle lettere A e I, iniziali dei nomi dei due fidanzati, all’inizio e alla fine dell’iscrizione “mon seul desir”.
Jean Perréal era un ritrattista di successo nonché architetto, scultore , alchimista (autore del componimento La complainte de nature à l’alchimiste errant). Carlo di Borbone, Carlo VIII, Luigi XII e Francesco I, si avvalsero – stimandolo molto – dei suoi servigi. Genio poliedrico, Perréal ha progettato medaglie, monumenti funebri e fu anche sceneggiatore di teatro nonché di particolari cerimonie come il matrimonio del re Luigi XII e Maria Tudor.
Perréal elaborò i bozzetti per la tomba di Francesco II, duca di Bretagna, che fu poi realizzata dallo scultore francese Michel Colombe nella cattedrale di Nantes, tomba resa celebre in tutto il mondo dall’Adepto Fulcanelli.
L’immagine della fig. 6, è detta “A mon seul désir”, la misteriosa frase posta sulla tenda, che a tutt’oggi non è stata svelata, mostra la bella Signora è Mary Tudor regina di Francia, diventata vedova per la morte del re consorte Luigi XII il 1° Gennaio 1515. Da quel momento Mary Tudor, secondo il rituale previsto in caso di morte di un re, restò chiusa 40 giorni all’Hotel de Cluny, l’attuale Museo dove è esposta la Dama e l’Unicorno nelle sei versioni di arazzi. Ed è da qui che il mistero prende il via per legare occultamente questo luogo con il suddetto arazzo percorrendo certi binari e veicolare delle forze che si servono di una geometria detta gnomonica. Grazie a questo mio scritto, si viene a scoprire, in conseguenza, che l’arazzo, concepito dall’autore Jean Perrel, contiene in codice cifrato esattamente le coordinate geografiche del luogo in cui in seguito l’arazzo, insieme agli altri sei, veniva esposto al Museo di Cluny a Parigi.
Lo sviluppo di una geometria che si indirizza all’analisi gnomonica
In “A mon seul dèsir” la Dama si profila dalla tenda, e in modo traslato, è come se varcasse la soglia della reggia di Francia, deponendo i gioielli, che fanno da emblema al suo potere regale giunto al termine, nel cofanetto retto dall’ancella.
Eppure l’immagine in questione riserba una sorpresa assolutamente imprevedibile, perché in essa è contenuta la risposta che nessuno poteva mai immaginare, e nemmeno l’artista nel dipingere il cartone, servito successivamente ai tappezzieri belgi per tessere l’arazzo. Questo poiché gli arazzi erano destinati in un luogo lontano da Parigi, probabilmente la residenza del committente Jean Le Viste, nel suo castello nell’Alta Loira vicino a Lione.
Il caso, beffandosi della logica umana per l’interpretazione di questa opera d’arte, si è servito della scienza matematica, in particolare la geometria gnomonica del tutto estranea a questa degli arazzi, per tradurre con segni grafici la risposta tramite coordinate geografiche del luogo esatto del Museo dell’Hotel Cluny di Parigi dove è esposta nelle diverse versioni la Dama, per essere visitata da ammiratori di tutto il mondo.
É questo il presagio celato nella frase “A mon seul désir”, ma chi poteva mai immaginare che fosse il misterioso desiderio della Dama di Cluny? Cioè un desiderio, ma è proprio questo desiderio che l’artista di questo arazzo, ha pensato? Poichè lo scopo dell’opera d’arte si riferiva, come già detto, a festeggiamento di un matrimonio lontano da Parigi. Questa ipotesi spiegherebbe la presenza delle lettere A e I, iniziali dei nomi dei due fidanzati, all’inizio e alla fine dell’iscrizione “mon seul desir”. Ma come poteva immaginarlo? Ecco un mistero dentro il mistero. Come a concepire l’idea di una lezione del mistero per l’uomo della ragione indisposto a valicarla per farne nascere in lui una nuova capace di coniugarvisi. Come a supporre di trovarci in un epoca in cui, forse si debba prospettare la possibilità di un’era nuova per un nuovo Rinascimento culturale.
Ma stiamo a vedere come si sviluppa la geometria gnomonica che rivelerà il luogo esatto del Museo dell’Hotel Cluny di Parigi dove è esposta nelle diverse versioni, la Dama per essere visitata da ammiratori di tutto il mondo.
Tutto ha inizio con la predisposizione dell’arazzo “A’ mon seul désir” con la precisa collocazione geometrica dell’Unicorno e del Leone in base alla nuova fig. 2 di seguito mostrata.
La procedura grafica da me seguita è la seguente segnando con precisione sull’immagine della fig. 7 le coordinate grafiche, rispettivamente:
1. Del punto A in sede all’estremità del corno dell’Unicorno.
2. Del punto M in sede dell’estremità della mano della Dama nell’atto di disporre i gioielli nel cofanetto.
3. E del punto B in sede dell’estremità inferiore della picca in mano al Leone.
4. Infine si tracciano le ordinate xx, x’x’, x’’x’’ e ascisse y’y’, yy, y’’y’’ passanti per i suddetti punti B, M ed A.

A questo punto entra in gioco la geometria gnomonica che è stata spiegata in precedenza. Come vedremo, è l’artefice della conoscenza del segreto riposto nella frase “A’ mon seul désir” dell’arazzo della Dama e l’Unicorno in studio

In particolare, in questi precisi tempi astronomici, la declinazione del sole, al 21 marzo e al 23 settembre, è zero che aggiunta o sottratta al valore che otterremo con i grafici ancora da fare sull’illustr. 7, lascia questo valore inalterato. Non si conosce ancora il valore di questa inclinazione del sole, perché sarà la grafica che andremo a fare sull’immagine dell’illustr. 7 prima esaminata, ora è l’illustr. 8, a segnalarla. Per conseguenza, da questa, si potrà riuscire a risalire alla conoscenza della latitudine e longitudine di un certo luogo della terra… poi spiegherò lo scopo di questa procedura.
1. Si è proceduto a tracciare la linea SB passante per i punti A e B e si è riscontrato che passa anche per M, l’estremità della mano della Dama nell’atto di porre i suoi gioielli nel cofanetto.
2. Successivamente si è tracciata la linea BC a ricalco dell’asse della picca tenuta fra le zampe del Leone. Nel contempo si è tracciata l’ascissa y’’’y’’’ che inizia dal punto C.
3. È stato stabilito che il segmento AF verticale, rappresenta lo gnomone che determina l’ombra BF in sede dell’ordinata x’’x’’, e consente al raggio solare di assumere un certa inclinazione che risulta essere con buona precisione 48°51’03’’. Questo valore corrisponderebbe alla ricercata latitudine ma non sappiamo se Nord o Sud.
4. La linea BC a ricalco della picca in mano al Leone ha un’inclinazione rispetto l’ascissa y’’y’’ che risulta essere con buona precisione 2°20’38’’. In relazione alla suddetta latitudine, questo valore corrisponderebbe alla corrispondente ricercata longitudine, ma non sappiamo se Est od Ovest. 5. Ora ci si appresta a fare una ricerca della latitudine e longitudine dei due casi suddetti e per essi le soluzioni sono 4 con gli orientamenti indicati nelle seguenti figure:

Non c’è dubbio, l’illustr. 9 segnala la giusta soluzione indicando il Museo Cluny di Parigi dove sono esposti i sei arazzi della Dama e l’Unicorno.
Non resta, a questo punto, che prendere atto di questa rivelazione che porta ad una svolta decisiva la spiegazione del segreto riposto nella frase “A mon seul désir” ottenuto dall’erezione dell’Unicorno della immagine della Dama sulla soglia della sua tenda dell’illustr. 8.
Significativa “erezione” che vale come uno straordinario gnomone che, con la sua ombra, limitata dalla picca in mano al Leone a lui prospicente, indica il punto esatto in cui il Sole equinoziale brilla per dar vita in seno alla Signora del meraviglioso quadro, il più bello dei sei arazzi di Cluny, ad un germoglio. Ed è nel suo seno, segnato dalla mano sinistra di lei, che avviene il miracolo della vita generata simbolicamente dal Sole nel Leone e dalla Luna nell’Unicorno.
Più da vicino alla procreazione della vita sulla Terra, in diretta relazione al sole planetario che proietta il suo raggio equinoziale sull’isola cosparsa di fiori d’ogni tipo, i gioielli che si riversano nel cofanetto alludono in modo traslato al miracolo della Vita, al concepimento della persona umana, la bellezza di un progetto.
Ho segnato a bella posta sull’illustr. 8 l’ordinata x’’’x’’’ che lega la bocca del Leone col cofanetto della vita, con l’estremità della barbetta dell’Unicorno, e ai due lati opposti, per porre in risalto il Leone che urla a gran voce e che sembra dire: “sono io in questo raggio di sole per ridar vita al mondo dei deboli segnati, ai due lati estremi, dal coniglio e dalla pecora”.
È un giorno di festa e la sua bandiera sventola, agitata da un vento gioioso.
La bella Dama, al secolo Mary Tudor, non è più appesantita dal gravame dei gioielli che ha appena posto nel cofanetto retto dalla sua ancella.
S’ode soffuso nell’aria il cantar della natura d’intorno, alberi e rigogliosa vegetazione in amore con animali domestici.
Mentre la tenda blu cielo è come se fosse “irrorata” da una “rugiada celeste” a mo’ di miriade di fiamme dorate degli angeli Serafini come in festa a benedire ogni cosa.
È una festa anche per l’Arte che si è servita di un suo fedele artista, Jean Perréal, capace di tradurre le sua personale idea da tradurre poi in un arazzo. Ma il ricorso ad una geometria incredibilmente aderente ad un criterio difficile da attribuire alla sua reale volontà, con la gnomonica, non dovette essere sua. É stata allora una casualità al punto di disporre ogni cosa dell’arazzo in esame” in modo matematicamente esatto? E persino il desiderio espresso con il titolo stampato sulla tenda, “A’ mon seul désir”, che l’artista doveva avere in mente perché si realizzasse, ma doveva essere diverso. Egli non poteva immaginare il luogo del Museo dove sarebbe stata esposta nel futuro, gli era estraneo. Dunque fu opera del Mistero che l’Arte seppe così bene mediare per istruire le mani dell’artista, quasi un misterioso documento notarile da dover rispettare.

ardesia col suo autore, Renato Ausenda di Bajardo (IM).
Nondimeno alcune note di rilievo su Renato Ausenda di Bajardo, espresse nello stesso articolo suddetto in anteprima, valgono in genere per capire l’opera di questo scultore eclettico e nel contempo la sua personalità.
< “Una fusione di filosofia, religione e psicologia – racconta Renato Ausenda, Renè per gli amici – oltre a ben 15 anni di studi junghiani (circa 12 mila pagine) e un tormentato percorso personale. Attraverso diverse simbologie, è un auto analisi alla scoperta dell’uomo, delle sue contraddizioni, del valore della conoscenza”.
“Il mio sogno? – conclude Ausenda che da sempre scolpisce pietra e meridiane in ardesia – Continuare a costruire meridiane aprendo un laboratorio per insegnare questa passione. E poi rendere Bajardo possibile riferimento culturale con l’organizzazione di periodiche iniziative anche internazionali che rilancino questo paese magicamente energetico grazie, forse, anche ai molti insediamenti di uranio della vicina Alta Val Roja, i più grandi del mondo”.
Felicemente sposato con Laura e padre del 20enne Emanuele, ha vicino buoni amici come Paolo Fazio che, partecipando in parte alla cesellatura della Meridiana, si è scoperto buona giovane leva e Bruno Bellone, Enzo Cassini ed Ettore Pistone sempre presenti per gli aiuti pratici.
Ecco è tutto ciò che mi è stato possibile sapere sulla Meridiana Grande, forse ancora nel magazzino della Civica Amministrazione di Genova, ma a che serve saperne di più, immaginando che, si trovi ora Bajardo, nella bottega laboratorio del suo autore, lo scultore Renato Ausenda, forse persino smontata blocco per blocco…
Ed è veramente una triste immagine mentale che ora mi pervade nello spirito, perché la Meridiana Grande di Renato Ausenda è invece degna di costituire come un certo segno dei tempi per l’uomo rivolto all’arte, tanto da aver modo di risorgere dall’ombra e silenzio in cui essa giace, forse frammentata.
Un funambolico scultore e giocatore di biliardo
Premetto di avere molta dimestichezza con le opere d’arte potendo far conto sulla mia predilezione per il disegno, soprattutto per quello geometrico. In particolare, è come se il piano della visione, qui quella della Meridiana di Ausenda, offerto all’occhio, si svincolasse dall’esterno della “cornice” in cui è collocato per diventare un’area a sé, il solo tema da esaminare senza gli intralci esteriori.
< Dice Antonio Somaini, docente di teoria del cinema, dei media e della cultura visuale all’Université Sorbonne Nouvelle, in un Seminario di filosofia dell’immagine ‒ La cornice adempie al compito fondamentale di garantire l’isolamento dell’opera d’arte rispetto a tutto ciò che le è estraneo: difende l’immagine dalle ingerenze esterne ‒ la separa ‒ e al contempo concentra e riunifica gli elementi interni – la connette nel suo intimo. Grazie a questa rigorosa separatezza e insieme capacità sintetica, l’immagine incorniciata può rinchiudersi nel suo esser-per-sé: ma è proprio, paradossalmente, in virtù di questo suo rigoroso esser-per-sé che l’arte può propriamente diventare un esser-per-noi, penetrando tanto più profondamente nella nostra vita.
Ma vedremo fra poco la cornice di cui ho appena argomentato, un ambito che non appartiene più al nostro mondo ordinario ma ad un altro ‒ mettiamo ‒ quello oggetto di riflessione dei mandala Jungiani delle esperienze interiori di Renato Ausenda.
Nel primo impatto con la foto dell’illustr 11, nel giro di pochi minuti, osservandola intensamente, come peraltro ho già fatto capire, mi sorse la convinzione che essa celava qualcosa di arcano, di grande rilevanza esoterica. Avevo in mente la natura intima che l’autore della Meridiana Grande intendeva racchiudere in essa con l’ispirazione Junghiana dei suoi mandala. Ecco perché.
Dico così, perché mi ritengo un disegnatore “virtuoso”, nel senso di possedere una “vista penetrante” per le cose geometriche, e infatti così è stato con la foto della meridiana di questo singolare scultore.
In un baleno mi son dato da fare a tracciare sulla copia della foto suddetta, un sintetico grafico col quale la meridiana è vista come un biliardo su cui si sta giocando una partita. Poi, dopo averla scansionata, l’ho trasferita sul computer tracciando a ricalco le linee fatte a matita, con i colori.
Risulta così che lo scultore, visibile al centro della foto in questione, fa la parte di un fenomenale giocatore di biliardo e la sua enorme squadra di lavoro, diventa la stecca per giocare. E qui succede, come dire, il finimondo, nell’osservare due magici percorsi determinati dalla punta della stecca manovrata dallo scultore-giocatore, segnati con i colori rosso e blu. Insomma si ha modo di ammirare estasiati, in due fasi indipendenti fra loro, un funambolico gioco di sponda nel doppio quadrato della meridiana, fra la parte interna e quella esterna relativa alla cornice.

llustrazione 12: La Meridiana Grande appare come un biliardo e lo scultore Renato Ausenda si dimostra un mirabile giocatore con la sua squadra di lavoro a mo’ di stecca.
Con la traccia rossa si vede rimbalzare sulle sponde più esterne della meridiana-biliardo, un immaginario “pallino” per ben sette volte per poi ritornare al punto di partenza.
Con la traccia blu, un altro immaginario “pallino”, partendo dallo stesso punto di prima, ma di lato, si vede rimbalzare sulle sponde interne della cornice della meridiana-biliardo, anche questa per ben sette volte, per poi indirizzarsi allo spigolo del quadrato di destra.
Non è meraviglioso tutto questo?
A questo punto non si può affermare che la foto sia truccata, tanto più che nessuno se n’è mai accorto fin’ora sul web sin dal 2006, quando è stata pubblicata, ed io sono il primo ad aver visto il potenziale intimo segreto racchiuso nella foto.
Insomma, riflettendo bene è proprio la sincronicità della foto della Meridiana Grande, di Ausenda dell’illustr. 12, che viene scattata nel preciso istante in cui si verifica l’evento prodigioso dell’immaginaria partita di biliardo del mirabile giocatore occulto, con la sua squadra di lavoro a mo’ di stecca come si vede con l’illustr. 12. Ma non è solo qui la coincidenza significativa junghiana a far mostra di sé, perché lo scultore Ausenda è un profondo cultore dei mandala studiati da Jung ed è appunto la scultura della Meridiana Grande ad essere concepita a questa insegna. Di qui la seconda conseguente coincidenza significativa junghiana a indicare, forse, l’autore occulto proveniente da chissà quale universo parallelo per porre il suo sigillo sull’opera di Ausenda.
La conoscenza della forza verde
Jung in particolare definisce la sincronicità in questo modo:
«Gli eventi sincronici si basano sulla simultaneità di due diversi stati mentali.»
«Ecco quindi il concetto generale di sincronicità nel senso speciale di coincidenza temporale di due o più eventi senza nesso di causalità tra di loro e con lo stesso o simile significato. Il termine si oppone al ‘sincronismo’, che denota la semplice simultaneità di due eventi. La sincronicità significa quindi anzitutto la simultaneità di un certo stato psichico con uno o più eventi collaterali significanti in relazione allo stato personale del momento, ed – eventualmente – viceversa.»
«Voglio dire per sincronicità le coincidenze, che non sono infrequenti, di stati soggettivi e fatti oggettivi che non si possono spiegare causalmente, almeno con le nostre risorse attuali.»
La parola “coincidenze” deriva dalle radici greche syn (“con”, che segna l’idea di riunione) e khronos (“ora”): riunione nel tempo, simultaneità.

Il futuro di molti personaggi celebri della scienza, grazie ad una misteriosa forza ‘verde’, è prevedibile per gli effetti che le loro scoperte lasciano, permettendo alla scienza di progredire, ma per Adolfo Rol (Torino, 20 giugno 1903 – Torino, 22 settembre 1994) non è la stessa cosa. Tuttavia la sua traccia indelebile, la sua fama di sensitivo, deve aver potuto fare l’analoga cosa, attraverso il suo spirito che gli ha permesso tanti prodigi. Quello spirito che gli fece dire:
« Ho scoperto una tremenda legge che lega il colore verde, la quinta musicale ed il calore. Ho perduto la gioia di vivere. La potenza mi fa paura. Non scriverò più nulla! ».
Ma ho voluto evidenziare i personaggi celebri della scienza e poi Adolfo Rol celebre per le sue concezioni sensisitive, per far capire che la misteriosa “forza verde”, ben descritta peraltro da Adolfo Rol, è la fonte dei presagi scaturiti nei due casi dall’arazzo “A’ mon seul désir della Dama e l’Unicorno di Cluny” e dalla “Meridiana di Renato Ausenda”.
Gaetano Barbella
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