Riscaldamento Globale Cause Effetti Soluzioni
Prendetevi tutto il tempo che serve, per questa bellissima sintesi esposta in forma molto originale, dal Prof. Beniamino Bortelli, relativa al congresso svolto a Trento, con Tema, Il Riscaldamento Globale.
Attraverso un confronto diretto, avrete modo conoscere i diversi modi con cui studiosi di estrazione professionale e culturale diversa, pongono la questione su un argomento, che coinvolge direttamente tutti i paesi del mondo.
Toba60
LEI PRENDA GLI EFFETTI DI UN IMPATTO METEORICO E LI APPLICHI IN UNA SCALA TEMPORALE RALLENTATA, COGLIERÀ COSÌ CIÒ CHE STA VERAMENTE ACCADENDO CON IL RISCALDAMENTO GLOBALE.
ANTEFATTI
La locandina era elegante per via di quella sua cornicetta azzurrina, ed in alto, una grossa scritta reclamava l’attenzione dei passanti: CONGRESSO SUL TEMA DEL RISCALDAMENTO GLOBALE. All’interno, il nutrito elenco dei relatori, dai nomi in grassetto, che, sembravano uscire dal foglio, tanto erano visibili: Lord Joseph Math, climatologo inglese; Josef Fill, filosofo tedesco; Joseph Soch, economista statunitense; Yuēsèfū Jao, antropologo cinese; padre José Rigo, missionario comboniano in Angola
A Beppe Lomat di climatologia e meteorologia non gliene importava niente, eppure se ne stava là a fissare quella locandina, davanti al blasonato Palazzo dei Vescovi nel cuore della città. Ma solo un dettaglio lo attirava: tutti i relatori avevano lo stesso nome, si chiamavano Giuseppe, come lui del resto, e ciò costituiva un evento unico, come se il destino stesse bussando alla sua porta. A una tale coincidenza di nomi il calcolo delle probabilità dava una possibilità su chissà quanti milioni, o, forse, miliardi, eppure era là, dentro la locandina, la cornicetta azzurrina e compagnia bella. Com’era possibile? Ecco cosa si chiedeva il nostro Beppe. E ne era attratto come da un magnete. Beppe è di Belluno ed è un tipo concreto, lui crede solo a quello che vede, fa la sua vita, che lo porta a percorrere in lungo e in largo il territorio ed è diffidente su tutto. Ma qualcosa gli diceva che doveva andarci per forza a quel Congresso. In basso, in fondo al foglio, c’era la data e la località dell’incontro: Trento, domenica ventotto ottobre ore dieci.
Ed infatti domenica ventotto ottobre, di buon mattino, il nostro Beppe lasciava Belluno in direzione di Feltre, da dove contava di prendere la Valsugana e puntare dritto su Trento. Dopo un viaggio tranquillo, il tragitto lo conosceva a memoria, giungeva a destinazione e, a parcheggio avvenuto, si dirigeva verso la sede dell’Università, Dipartimento di Economia e Management, via Inama 5. Lì lo aspettava la Sala Conferenze, ma prima c’era da fare la fila, perché di gente ce n’era eccome.
Figure benvestite, che entravano con lui ciarlando fra loro e poi, fuori fila, giornalisti e fotografi a iosa. Stranamente riuscì a ritagliarsi un posto nella Sala Principale. A lui interessava sopra ogni cosa vedere in faccia i relatori, perciò gli sarebbe seccato doversi recare nella Sala Rossa o in quella Blu, comode, ma per lui inutili. La Sala Conferenze era una bella sala, con le sedie che sembravano poltrone, poste davanti al palco in file ordinate ed il palco un po’ sollevato, così che i relatori erano visibili senza bisogno di storcere il collo.
Non passò molto tempo che i relatori cominciarono a entrare. Ma il primo in assoluto fu il delegato dell’Università, un certo prof. G. Fabris, giovane dall’aspetto curato, in giacca e cravatta, che si agitava a destra e a manca, qui provando i microfoni, là stringendo le mani dei tizi che gli ronzavano intorno. Lo seguì presto un tipo lungo ed ossuto, con una barba curata e la giacca aperta davanti. Dopo molti salamelecchi ed ossequi, si sistemò su una delle sedie poste sul lato destro del palco, davanti al cartello con su scritto: prof. Josef Fill. Lì fu raggiunto da un omone forte e vitale, con un largo maglione sopra al quale pendeva una croce. La sua mano si chiuse per un lungo istante su quella di Fill, come una tenaglia sulla noce. Così appariva padre José Rigo, straripante e diretto.
Solo dopo di essi, ma ancora abbondantemente in anticipo, fecero il loro ingresso altri due relatori. Il primo, anziano e autorevole, dai capelli di un bianco brillante, l’incedere calmo ed austero, la borsa alla mano sinistra, puntò diritto verso il centro del palco e lì si sistemò, proprio al centro, dove il cartello indicava: Lord Joseph Math. Il secondo, invece, dai caratteri orientali, basso di statura, in un susseguirsi di inchini, prese posto a sinistra. Non si poteva sbagliare: prof. Yuēsèfū Jao. Frattanto il tempo passava e mancava ancora l’ultimo invitato. Dal delegato partì una sequenza di telefonate, il nervosismo appena celato, con picchiettate sul microfono e oscuri cenni a collaboratori fuori campo. Infine un uomo, faccia rotonda e cappelli rossicci, ben vestito, ma trafelato, con giacca svolazzante e cappello in mano, fece la sua comparsa in fondo alla Sala e quasi fu trascinato da un inserviente verso il posto che gli spettava, quello di Joseph Soch. La faccia del delegato si rasserenava di colpo, con le strette di mano finali e il Congresso, tra i flash dei fotografi, poteva avere inizio.
Beppe Lomat aprì il proprio blocco e cominciò a trascrivere. Era un compito facile per lui, si può dire che fosse parte del suo mestiere.
L’EFFETTO SERRA NON È IL PROBLEMA, MA UN SINTOMO DEL PROBLEMA
Delegato – Buon giorno a tutti. Benvenuti a questo Congresso che la nostra Università ha organizzato sul tema del riscaldamento globale. Dichiaro aperta la prima sessione del Congresso. Vi chiedo cortesemente di mettere a fuoco il problema.
Lord Math – La scienza si occupa di effetto serra da più di un secolo, ha svolto e continua a svolgere una intensa attività di ricerca sul campo in tutto il mondo, ha raccolto una mole di dati straordinariamente grande, i quali sembrano provare, con esigua incertezza, che un riscaldamento climatico appare in atto. A scanso di equivoci cito testualmente alcune indicazioni del quinto rapporto dell’IPCC del 2013:
Il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile e, a partire dagli anni ’50, molti dei cambiamenti osservati sono senza precedenti su scale temporali che variano da decenni a millenni. L’atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, le quantità di neve e ghiaccio si sono ridotte, il livello del mare si è alzato, e le concentrazioni di gas serra sono aumentate.
La temperatura atmosferica superficiale mostra che ciascuno degli ultimi tre decenni sulla superficie della Terra è stato in sequenza più caldo di qualsiasi decennio precedente dal 1850. Nell’emisfero settentrionale, il periodo 1983-2012 è stato probabilmente il trentennio più caldo degli ultimi 1400 anni.
Il riscaldamento degli oceani domina l’aumento di energia immagazzinata nel sistema climatico, ed è responsabile di più del 90% dell’energia accumulata tra il 1971 e il 2010 (confidenza alta). È virtualmente certo che l’oceano superficiale (0-700 m) si sia riscaldato tra il 1971 e il 2010 ed è probabile che si sia riscaldato tra il 1870 e il 1971.
Nel corso degli ultimi vent’anni, le calotte glaciali di Groenlandia e Antartide hanno perso la loro massa, i ghiacciai hanno continuato a ritirarsi in quasi tutto il pianeta, mentre l’estensione del ghiaccio marino artico e la copertura nevosa primaverile nell’emisfero nord hanno continuato a diminuire in estensione (confidenza alta).
Il tasso di innalzamento del livello del mare dalla metà del XIX secolo è stato più grande del tasso medio dei 2000 anni precedenti (confidenza alta). Nel periodo 1901-2010, il livello globale medio del mare è cresciuto di 0,19m.
Le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica, metano, e protossido di azoto sono aumentate a livelli senza precedenti almeno rispetto agli ultimi 800.000 anni. La concentrazione di anidride carbonica è aumenta del 40% dall’età preindustriale, in primo luogo per le emissioni legate all’uso dei combustibili fossili, e in seconda istanza per le emissioni nette legate al cambio di uso del suolo. L’oceano ha assorbito circa il 30% dell’anidride carbonica di origine antropogenica emessa, causando l’acidificazione degli oceani.
Il riscaldamento globale si può stimare, con ridotti margini di errore, in un grado centigrado dall’era preindustriale. La temperatura media terrestre, attualmente di circa 15°C, è stata alquanto stabile negli ultimi 10 mila anni, con piccole oscillazioni di pochi decimi di grado, dovute alle variabilità naturali, piccole variazioni nella quantità di energia emessa dal sole, eruzioni vulcaniche, o altro, che hanno comportato alternanza di alcuni periodi caldi e freddi, come dimostra questo grafico, riferito all’ultimo migliaio di anni, dove la temperatura è in rosso ed in blu è riportata la concentrazione di CO2.
Come il grafico evidenzia, le due grandezze appaiono correlate ed entrambe sembrano impennarsi negli ultimi cento anni.
Nei tempi geologici la temperatura ha avuto variazioni più marcate, come si riscontra da un grafico che si estende su di un arco temporale maggiore.
Il grafico evidenzia, tuttavia, come attualmente la terra si trovi in un periodo interglaciale, con temperatura molto vicina alla temperatura massima descritta nel ciclo.
Il riscaldamento ha influenze sulla situazione meteorologica mondiale, perché determina una maggiore quantità di energia in atmosfera e nei mari, all’origine di fenomeni estremi importanti: si intensificheranno i periodi siccitosi e le ondate di calore, alternati a precipitazioni molto intense, quelle che volgarmente vengono denominate bombe d’acqua, ed aumenterà il numero delle tempeste tropicali di grande violenza. Sempre collegabile all’aumento della temperatura c’è il progressivo scioglimento dei ghiacciai, già abbondantemente documentato, che potrebbe portare ad un incremento del livello dei mari ed alla variazione della loro acidità, mettendo in pericolo tutte le città costiere più importanti e popolose, come New York e Shangai, e minacciando le forme di vita marine, in primo luogo le barriere cristalline. Infine un ulteriore pericolo sarebbe la possibilità dello scioglimento del permafrost nei territori prospicenti l’Artico e, se tale fenomeno dovesse procedere come sembra stia avvenendo, verrebbe liberato ulteriore gas serra, anidride carbonica e gas metano, in una quantità tale da essere equivalente a quella di origine antropica. Ciò significherebbe che il meccanismo del rilascio diventerebbe indipendente dall’azione umana e determinerebbe una fase di riscaldamento incontrollata.
Yuēsèfū Jao – Aggiungo a quanto detto dal collega un ulteriore possibile effetto del riscaldamento e cioè la migrazione delle specie animali e vegetali, terrestri ed acquatiche, dall’equatore verso i poli. Vi sono prove documentate che testimonierebbero come tale migrazione sia già in atto e tenda ad accelerare nel tempo. Il problema, secondo alcuni, potrebbe acuire la crisi in atto in numerosi habitat terrestri e portare all’estinzione numerose specie animali e vegetali. Taluni paventano la possibilità di una estinzione di massa. Si osserva, inoltre, una analoga migrazione di parte della popolazione mondiale, dalle regioni equatoriali e tropicali più povere, verso le regioni temperate più ricche, che il riscaldamento globale sembra contribuire, assieme a numerosi altri fattori, ad accentuare.
Lord Math – Vorrei precisare, a scanso di equivoci, che, forse, siamo di fronte non ad una situazione emergenziale, ma ad una potenziale catastrofe globale.
E vorrei chiarire questo aspetto, se mi è consentito, altrimenti, temo, sarà tutto inutile.
Noi sappiamo bene cosa sia una catastrofe, ma cadiamo nell’errore di pensare che essa corrisponda ad un qualche evento improvviso, che si verifica in un lasso di tempo relativamente breve, come avviene, ad esempio, in un urto, od in una esplosione.
Invece la dimensione temporale è alquanto relativa e ci sono eventi catastrofici che avvengono in tempi più lunghi, risultando, perciò, più insidiosi. Ciò che distingue la catastrofe, infatti, non è la durata del tempo in cui si verifica, ma i danni che provoca.
Yuēsèfū Jao – Concordo con lei, e, dovendo stabilire quanto sia da ritenersi pericolosa, aggiungerei che, su una scala da uno a dieci, la porrei senz’altro al decimo posto.
Joseph Soch – Suvvia, al decimo posto! La cosa non è credibile. Ci sono ben altre catastrofi che meritano questa posizione.
Quanto a gravità, ad esempio, non mi appare certo paragonabile alla gravità dei danni provocati da una, eventuale, guerra nucleare su larga scala. Questa sì che sarebbe una effettiva catastrofe globale, meritevole della posizione dieci e l’umanità l’ha sfiorata più volte.
Yuēsèfū Jao – Certo, lei ha citato un drammatico esempio di catastrofe da esplosione, la cui dinamica ed i cui effetti ci sono ben chiari.
La terra sarebbe invivibile solo per la quantità di radiazioni emesse dalle esplosioni. E sappiamo anche che il calore liberato provocherebbe un aumento di temperatura su scala globale, a cui seguirebbe l’incendio di tutte le foreste. Tutta la terra verrebbe avvolta da una cappa di polvere che oscurerebbe il sole per anni, provocando un inverno nucleare.
Ed io, ora, le citerò una situazione catastrofica su scala globale altrettanto pericolosa, quella che sarebbe provocata dall’impatto di un meteorite sulla terra.
Il pericolo è sempre lì in agguato e quando arriverà, se il meteorite sarà abbastanza grosso, potremmo avere effetti simili, calore, temperatura, foreste che bruciano, polveri in atmosfera ed era glaciale.
Joseph Soch – Non ritenete che ci sia una palese differenza nell’intensità dei danni provocati rispetto all’effetto serra? In questo secondo caso, infatti, l’aumento di temperatura non mi sembra tale da bruciare le foreste e provocare distruzioni su larga scala come l’impatto meteorico.
Lord Math – Al contrario, a causa dell’effetto serra, distruzioni diffuse su larga scala, probabilmente paragonabili a quelle da impatto, sono già in atto, solo che avvengono in tempi un po’ più lunghi e noi non ce ne accorgiamo.
I tempi sono più lunghi della vita media di un essere umano, ma la distruzione, ribadisco, è già in atto.
Essendo i tempi più lunghi, l’accumulo di polveri in atmosfera non ci sarà, e quindi non ci sarà un’era glaciale, ma, probabilmente, ci saranno gli incendi, ci saranno le devastazioni degli habitat e ci saranno le estinzioni di massa.
Lei prenda gli effetti di un impatto meteorico e li applichi in una scala temporale rallentata, coglierà così quello che sta veramente accadendo con il riscaldamento globale.
Tutte e tre le catastrofi, credo, sono potenzialmente letali in modi simili, anche se in tempi diversi.
Yuēsèfū Jao – Nondimeno devo osservare che l’umanità sembra non essere preparata ad affrontare le catastrofi globali.
Dovrebbe pianificare
l’eliminazione delle armi nucleari, ma non lo fa.
Dovrebbe poi, approntare un piano di difesa dai meteoriti, ma non lo fa, o, almeno, non nel modo che si richiederebbe.
E dovrebbe approntare un piano globale convincente per fronteggiare l’effetto serra, ma non ci riesce.
Sembra che l’umanità viva nell’illusione che tutto debba procedere al solito modo. Destina le sue risorse ad altre cose, ha altre priorità.
Forse occorrerebbe un precedente che servisse di lezione, una memoria storica dell’evento catastrofico, senza la quale l’umanità si fa cogliere di sorpresa.
Riguardo alla catastrofe nucleare devo dire che il precedente c’è stato, con le due bombe su Hiroshima e Nagasaki. Infatti il ricordo della distruzione di queste due città è ancora vivo e ci dà un metro di paragone per valutare la pericolosità della guerra nucleare.
Riguardo al possibile impatto meteorico, non abbiamo un metro di paragone così vicino, ma la caduta di un meteorite c’è stata più volte e tutti noi sappiamo come un meteorite abbia causato l’estinzione dei dinosauri. Riusciamo a farci un’idea di cosa ci potrebbe aspettare, ma ci culliamo nell’illusione fatalistica che sia inevitabile, perciò non ci attiviamo.
Riguardo all’effetto serra, poi, non vi è alcun metro di paragone e ciò, forse, rischia di rendere il fenomeno ancor più pericoloso. Anche per questo, ritengo, vada collocato al decimo posto in una scala di pericolosità.
Lord Math – Aggiungerò, se mi è permesso, un’ultima cosa. La catastrofe nucleare è sì possibile, ma non certa. Potrebbe anche non verificarsi mai ed il fatto che si verifichi o meno dipende dalle azioni dell’uomo. D’altro canto l’impatto meteorico è un evento certo, ma collocato nel futuro e, forse, per esso c’è ancora tempo per approntare delle solide contromisure, ammesso che l’umanità si scrolli dal suo irresponsabile letargo.
Invece, l’effetto serra è un evento certo, che si sta già verificando e l’uomo può solo rallentarne la dinamica. Ma sembra non sia preparato per rispondere ad esso. Infatti ci siamo fatti cogliere di sorpresa, non abbiamo un metro di paragone, né una memoria storica. Credo che la sua collocazione al decimo posto nella scala di pericolosità sia più che giustificata.
Josef Fill – Appare, potrebbe, … forse, … ma forse ci sbagliamo, … incertezza! Eh, certo voi scienziati avete fatto un grande lavoro, ma con un serio difetto. Le carte che avete in mano sono formidabili, ma le calate sul tavolo con mano esitante. Ecco, se c’è una parola che riassume il vostro operato, tale parola è: incertezza. Abbiamo un problema? Sembra di sì, le nostre ricerche mostrano che potrebbe … Voi vi esprimete in termini incerti e la vostra incertezza induce sconcerto, aumenta il disorientamento, che già è elevato di suo, incentiva l’apatia e l’indifferenza. Ciò che vi è mancato e che vi manca, dico addirittura per costituzione, è la compattezza, è l’energia nella comunicazione, il gesto deciso e risoluto, con il quale calare nel piatto le carte.
Le dovreste far pesare queste carte e far percepire forte e chiaro il loro peso, perché quando ci vuole ci vuole. Tra di voi sarete giunti ad una convinzione, per la miseria, ed allora sia questa convinzione per una volta a parlare. Abbiamo un problema? Sì! Quanto grave? Gravissimo! Ne siete certi? Certissimi! Non è che vi sbagliate? No! Ci dobbiamo preoccupare? Sì, moltissimo! Qual è la posta in gioco? Il futuro della nostra specie. Addirittura? Assolutamente. Si può risolvere? Si deve. Quanto tempo abbiamo? Dobbiamo intervenire subito. Altrimenti là fuori non venite capiti, e, a questo punto, non essere capiti, o, peggio ancora, essere fraintesi, è molto grave.
Lord Math – L’incertezza non è una caratteristica specifica del nostro modo di operare, ma di tutti. Infatti tutti possono fare affermazioni, tutti e ribadisco, proprio tutti, possono dire la loro su ogni cosa, ma c’è un problema: le affermazioni possono non essere vere. E quando non si sa se sono vere, vuol dire che sono incerte. L’incertezza nasce da questa possibilità, mai totalmente eliminabile. Noi abbiamo imparato a gestirla, ma sappiamo che le nostre conclusioni hanno un margine di errore. È il prezzo che paghiamo per poter dire in modo convincente come stanno le cose. E lo stiamo dicendo. Dovremmo essere più decisi e compatti? Non sono forse decisi e compatti i rapporti che vengono stilati annualmente dalle organizzazioni mondiali? Non abbiamo forse fatto una campagna di divulgazione senza precedenti nella storia? Forse che chi vuole intendere non ha materiale sufficiente per intendere?
Padre José – In realtà c’è anche un altro problema ed è che le affermazioni possono non essere credute, anche quando sono vere. Gli uomini hanno imparato ad essere diffidenti, a volte solo per puro opportunismo. Un atteggiamento di distacco, sano, o patologico? Paura di essere presi per il naso? Sentite questa. L’altro giorno, mentre stavo aspettando i bagagli, sono entrato nel bar della stazione del treno. Lì c’era una coppia di anziani, lui, molto premuroso verso di lei, le sistemava la sedia, le ordinava la consumazione, insomma, faceva quelle cose che un gentiluomo fa in questi casi. Fra noi ci fu anche uno scambio di battute, se non che, a un certo punto, parlando del tempo e di questi fenomeni estremi, – ah, – dice – non è vero che il clima sta cambiando, si sa che la temperatura ora sale e poi scende, il tempo è così, e certi fenomeni ogni tanto ritornano. – Confondeva clima e meteorologia, ma, quando ho cercato di dirgli che il riscaldamento esiste davvero, che lì dove io opero, i suoi effetti si fanno sentire eccome, ma ne parleremo nel seguito spero, si è subito chiuso a riccio e il dialogo è cessato. Un esempio magistrale di scetticismo da ignoranza, associato ad un atteggiamento di rifiuto del dialogo. C’è un diffuso timore di venire contaminati dalle idee dei nostri interlocutori.
Josef Fill – C’è di più. C’è una massiccia campagna di disinformazione orchestrata ad arte per nascondere la verità, per interessi di parte. Chi ha questi interessi corrompe con il proprio denaro i gangli sociali preminenti, dell’informazione certo, ma anche della politica. E svolge un intenso lavoro di ricatto, che non trascura le carriere di molti uomini influenti, carriere politiche, carriere economiche, perfino carriere scientifiche. Si sa per certo che questo è avvenuto.
Occorre allora smascherare questi interessi. Anche per questo dico che la scienza deve smettere di argomentare per concentrarsi sui risultati. Non è più un problema di scienza, ma di società. Occorre capire perché la dovuta reazione non c’è. Al giorno d’oggi è giunto il momento di dire con forza che l’effetto serra è un problema gigantesco, che a sua volta è il sintomo del male che lo ha provocato. E dobbiamo capire quale sia questo male.
Joseph Soch – Devo dissentire parzialmente dal collega che mi ha preceduto. Non è vero che la reazione non c’è stata. Anzi, è dalla fine degli anni ottanta che si parla diffusamente del problema, come si parlò dell’altro problema allora rilevante, quello del buco dell’ozono. Se quest’ultimo problema si rivelò di più facile soluzione fu dovuto al fatto che coinvolgeva un settore produttivo limitato, che poteva essere aggiustato piuttosto agevolmente e la soluzione infatti si trovò. L’effetto serra è un problema molto più complesso da risolvere, perché coinvolge bisogni primari diffusi, difficili da organizzare diversamente. Tuttavia, a partire dagli anni novanta ci sono state numerose Conferenze Mondiali, con risoluzioni impegnative per quasi tutti i Paesi del mondo. Insomma, ci sono stati dei passi in avanti importanti verso la riduzione del fenomeno, anche se questi passi non si sono rivelati risolutivi. Dobbiamo anche considerare che c’è una forma di inerzia, connaturata con ogni sistema, che richiede tempi propri per organizzare una risposta adattativa agli stimoli esterni.
Ed il nostro è un grande sistema di tipo fisico, ma anche economico e sociale ed i suoi tempi di reazione non sono ancora ben compresi, ma di certo sono elevati.
Josef Fill – Dobbiamo, però, evitare che questi tempi siano talmente lunghi da impedire di giungere a governare il fenomeno in tempo. E per farlo dobbiamo farci alcune domande. Intanto ci siamo chiesti da cosa è causato l’effetto serra?
Lord Math – La scienza ha già individuato la causa primaria del riscaldamento globale, imputabile all’incremento della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera terrestre, in particolare dell’anidride carbonica. Tutto ciò è noto in modo inoppugnabile e con grande dovizia di particolari, grazie alla ricerca scientifica. Sappiamo infatti che c’è una correlazione precisa, incontestabile tra la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera e la temperatura media della terra. Attraverso i carotaggi effettuati soprattutto in Antartide, i loro livelli sono stati accuratamente monitorati per alcune centinaia di migliaia di anni ed essi si rispecchiano sempre.
Josef Fill – E ci siam chiesti, allora, per quale motivo la concentrazione dei gas serra in atmosfera sia aumentata e continui ad aumentare senza sosta?
Lord Math – Sappiamo per certo che l’aumento della concentrazione dei gas serra è provocato principalmente dall’uso dei combustibili fossili, il carbone, il petrolio e il gas naturale. Si tratta di attività umane che interferiscono con i cicli naturali dei gas serra, alterandoli, con il risultato di un loro accumulo in atmosfera. Approfitto dell’occasione per ricordare a tutti che, mentre stiamo parlando, la concentrazione di anidride carbonica ha superato di slancio le 410 parti per milione, rispetto alle 270 che aveva in età preindustriale, e sta crescendo con il ritmo vertiginoso di 10 punti ogni 4 anni. Ricordo anche che la Terra ha vissuto una situazione simile circa 3-5 milioni di anni fa, le temperature erano di 2-3 gradi maggiori e il livello del mare era di 10-20 metri più alto. Senza un rapido taglio delle emissioni di CO2 e degli altri gas serra sarà inevitabile andare verso pericolosi incrementi delle temperature entro la fine di questo secolo, ben sopra i limiti dell’Accordo di Parigi sul clima. Le generazioni future erediteranno un pianeta decisamente inospitale. Ma ciò è stato detto e ridetto e riportato in tutti i giornali, purtroppo inutilmente. Sembra scorrere sopra la gente come l’acqua piovana. La gente, governanti compresi, chiude le orecchie e apre l’ombrello. Proprio qui sta il nocciolo del problema.
Josef Fill – Ed allora dobbiamo chiederci perché ciò sia un problema! Mi sembra conseguente.
Joseph Soch – Scusate, ma posso provare a rispondere io a questa domanda, visto che coinvolge le attività economiche umane. I combustibili fossili sono massicciamente utilizzati perché costituiscono la fonte di energia più economica ed abbondante che abbiamo a disposizione, una fonte di fatto difficilmente sostituibile. È utilizzata infatti per molte cose, ma soprattutto per la produzione dell’energia elettrica, che, oltre a far funzionare le industrie, illumina le città e le nostre abitazioni. Ma è anche usata per i trasporti stradali, aerei e marittimi, e per il riscaldamento degli edifici pubblici e privati.
La sua sostituzione comporta da un lato costi più elevati dell’energia, e dall’altro l’individuazione di altre fonti altrettanto abbondanti e a basso costo. Tenete presenti le dimensioni del sistema economico e della popolazione mondiale Non so se mi sono spiegato.
Josef Fill – Scusate se insisto, ma, secondo il mio punto di vista, occorre assolutamente essere critici e continuare a porre domande, anche le più banali e, quindi, chiedo come mai l’umanità si sia ridotta ad avere un così grande bisogno di energia da non essere in grado di farne a meno, anzi da non riuscire nemmeno a evitare di incrementarne la quantità!
Joseph Soch – Capisco la domanda e in parte mi sembrava di avere già risposto, ma ora sarò più diretto e dirò che il fabbisogno di energia è il motore di sviluppo di tutte lo società umane. Era così quando non c’erano le macchine e tutto era basato sul lavoro umano e rimane così anche oggi, dove tutto è basato sul lavoro delle macchine. Il tipo di società e la sua organizzazione possono cambiare e ciò è certamente avvenuto nel tempo, ma il motore rimane il fabbisogno energetico.
Josef Fill – O qualcosa mi sfugge, oppure la mia istanza non è stata del tutto compresa. Capisco che alla base delle attività umane c’è il fabbisogno energetico, ma evidentemente si tratta di un fabbisogno che aumenta nel tempo, e quindi ne deduco che esso aumenta perché aumentano le attività umane. E quindi il problema mi sembra debba spostarsi, dal fabbisogno energetico alle attività umane. Dovremo dire allora che questo enorme immenso problema che abbiamo, è dovuto alla banale circostanza che le attività umane aumentano di intensità? Ma è proprio vero che c’è questo aumento? Voglio dire, è possibile che nel futuro possa non essere così? E perché le attività umane aumentano di intensità? Ed è possibile spezzare il legame tra l’incremento delle attività umane e l’aumento del fabbisogno energetico, o dei gas serra?
Padre José – Perché le attività umane crescono di intensità? Santo cielo! Le attività umane crescono perché la società è florida, è vitale e progredisce. È una società che vuole migliorare le proprie condizioni di vita.
Josef Fill – Quindi alla base della crescita ci sarebbero le istanze del progresso. E i fattori di queste istanze sarebbero il progresso scientifico e quello tecnologico. Oppure il loro saldarsi nello sviluppo industriale ed economico, fino a diventare movimento di pensiero e forma politica. Ideologia politica più esattamente. Siamo forse vittime di una ideologia?
Joseph Soch – Suvvia, vogliamo credere veramente che il mondo possa essere guidato da una mera ideologia? Le cose economiche sono molto più pragmatiche. Vede, quando le cose funzionano bene l’economia si espande, con ritmi a volte rapidi, più di sovente alquanto lenti, ma significativi. Tutti vogliamo restare in questa condizione. Perciò gli individui e gli Stati investono per la loro crescita, e il denaro, il più delle volte, viene preso a prestito. Sulla fiducia beninteso.
Il sistema funziona finché c’è fiducia, cioè finché si crede che funzioni e che cresca e che crescendo ci faccia crescere e guadagnare. Alla fine tutti, persone e Stati hanno, chi più e chi meno, dei debiti, ma fin che il sistema corre, la cosa non spaventa per nulla. I debiti si pagano con le attività intraprese e, se necessario, con altri debiti ed il denaro produce altro denaro. Punto.
Padre José – Quanto da lei detto è spaventoso e mi fa pensare alla catena di Sant’Antonio. Lo dico io che sono prete, perché solo Dio sa quanto è spaventosa una catena e quanto è difficile spezzarla. Io, poi, so quanti messaggi ho dovuto bruciare di persona, di povera gente, ma che dico, povere vittime!, che me li hanno portati, essi stessi incapaci di farlo per la paura, solo per la paura della iattura riportata nel messaggio! Non vorrei che il mondo sia divenuto schiavo di una immensa catena come questa.
Joseph Soch – Le cose sono un po’ più complesse Padre. Io personalmente faccio ricorso ad un modello diverso. Le nostre società non sono ferme, ma in movimento, immaginiamocele come un gigantesco aeromobile che sta volando nei cieli. Ora, per volare ha bisogno dei motori, perfettamente efficienti e funzionanti. Ecco, questi motori rappresentano bene il complesso delle attività economiche. Voglio dire: le attività economiche forniscono alle società la loro spinta propulsiva, quella che le fa, tra virgolette, volare. Ma perché il motore funzioni serve il combustibile ed ecco, appunto, la necessità delle risorse energetiche. Anche se io osservo che il motore economico delle società richiede anche un altro tipo di carburante, e cioè il denaro. La cosa a questo livello non è così importante. Poi questi sono sempre i limiti di un modello, che per definizione è incompleto. Ma come è possibile questo miracolo di un aeromobile che vola? Certo vien da pensare subito ai motori e l’abbiam fatto, ma in realtà a monte c’è una compagnia che ha in gestione l’aereo, un equipaggio formato da piloti e hostess, e poi ci devono essere anche i passeggeri.
Questi ultimi sono molto importanti perché forniscono alla compagnia le risorse per poter mantenere efficiente l’aero. Noi tutti siamo ad un tempo passeggeri e compagnia, e l’equipaggio rappresenta bene quell’apparato che nei fatti dirige le nostre società. Ora la cosa importante è che tutto funzioni, altrimenti l’aereo non riesce a volare. Cosa succederebbe, ad esempio, se il carburante finisse? L’aereo non è fermo a terra, ma in volo e quindi cadrebbe. Occorre quindi che vi sia un rifornimento continuo di carburante. Ma il volo non è necessariamente tranquillo, l’aereo può entrare in una zona di burrasca e in ogni caso deve continuare a volare. Il carburante è la prima cosa, ma non è l’unica. Tutti i sistemi devono essere efficienti, comprese le ali e la fusoliera e quando si balla i passeggeri devono restare, non dico tranquilli, ma almeno controllati.
Yuēsèfū Jao – Il suo modello è interessante, ma così come è stato formulato è incompleto e può applicarsi solo a intervalli temporali ristretti. Al più fornisce una discreta istantanea delle società umane, ma, in realtà, non tiene conto di un aspetto fondamentale di quest’ultime. Per evidenziarlo lei immagini che, mentre sta volando, il suo aeromobile le muti letteralmente davanti agli occhi. Che si modifichi la forma delle ali e della fusoliera, che cambino i materiali, i sistemi interni, i piloti e i passeggeri e che tutto diventi più grande. Immagini, inoltre, che la velocità dell’aereo cresca nel tempo, seppur lentamente, e che questa condizione sia indispensabile per la sua stabilità. Soltanto a queste condizioni lei avrà una immagine un po’ più realistica delle società umane, che per loro natura sono mutevoli e crescono. È importante dire che crescono e ciò non può essere trascurato.
Perciò io preferisco un altro modello e paragono le società umane ad un immenso organismo che cresce e si sviluppa. E dirò che questo super organismo è soggetto alle leggi naturali e in particolare alle forze evolutive, come qualunque altro organismo. Sono i meccanismi evolutivi che lo plasmano. Lei deve tener presenti, allo stesso tempo, due punti di osservazione: quello globale, che esamina l’organismo nel suo insieme, e quello locale, che, come avendo a disposizione un potentissimo microscopio, si focalizza sui comportamenti individuali degli esseri umani che compongono l’organismo. Potrà notare due cose. Intanto vedrà che i comportamenti individuali cambiano nel tempo, perché gli esseri umani sono intelligenti, creativi, e grazie al loro ingegno inventano nuovi marchingegni, nuove metodiche, nuovi usi e costumi. Noi chiamiamo questa cosa innovazione e sappiamo che essa è alla base di ciò che denominiamo progresso. Ma dal punto di visto globale noi osserviamo che il nostro organismo ogni tanto cambia aspetto e imputiamo ciò al verificarsi di singole mutazioni. Voglio essere molto diretto. Ciò che per noi esseri umani è innovazione, in realtà per l’organismo nella sua globalità è, più esattamente, una mutazione. La creatività umana, quindi, agisce come un potente mezzo che crea mutazioni. Saranno le leggi della selezione naturale a dire, non quali sono le mutazioni migliori, ma più banalmente, quelle che rendono l’organismo più adatto alla vita. Questo potente setaccio fa crescere questo super organismo fino a quando non si creeranno altre forze che si opporranno a questa sua crescita.
Josef Fill – Interessante, pur tuttavia lei non ha potuto rispondere a questa domanda: perché questo super organismo cresce? Dopo tutto gli organismi viventi dai quali lei ha preso spunto per il suo modello, crescono sì, ma raggiunta una certa dimensione si stabilizzano.
Yuēsèfū Jao – Ci terrei quantomeno a farle notare che lei non ha mai detto che gli organismi viventi decrescono, ma solo che crescono, o che si stabilizzano. Tuttavia non voglio evitare la questione, ma prima di entrare nel merito, mi consenta di osservare che il controllo sulla crescita, o sul comportamento complessivo dell’organismo tende a sfuggire al singolo individuo che lo compone. Un passeggero d’aereo è molto preso da ciò che lo riguarda direttamente, esibisce il biglietto, controlla se la sua cintura funziona bene, chiede del pasto, ma, quando l’aereo balla, sa che non può fare gran che, quindi si affida al pilota. La maggior parte dei passeggeri se ne disinteressa totalmente, salvo quando le cose diventano serie. Allora subentra la paura, ma il senso di impotenza rimane e con esso, può scatenarsi il panico. Qui la comunicazione è fondamentale, ed è per necessità una comunicazione rassicurante. “Restate calmi e allacciate le cinture”, dice il comandante. La funzione della comunicazione è principalmente quella di tenere salda la fiducia nei piloti. Ogni individuo è perfettamente attrezzato per reagire velocemente a problemi locali, di piccolo cabotaggio, che lo coinvolgono direttamente, mentre si trova disarmato di fronte ai problemi globali, di grande portata, che coinvolgono la società nel suo complesso.
Josef Fill – Mi perdoni se la interrompo in questa sua disquisizione, ma mi sembra che anche il suo modello presenti una falla. Lei immagini per un momento che questo gigantesco aeromobile non abbia una sola postazione di pilotaggio, ma innumerevoli, con tanto di motori e carburanti, e con alcune postazioni un po’ più grandi di altre, tanto da dare una spinta maggiore. Immagini anche che, per effetto delle spinte contrastanti impresse dalle varie postazioni, l’aereo imbocchi una traiettoria che lo porti diritto verso una burrasca. Che direbbe, ora, se l’equipaggio di una postazione, ad esempio di quella più grossa, andasse dicendo ai passeggeri che, no, non c’è alcuna burrasca, che tale burrasca è un’invenzione di una postazione vicina, creata apposta, allo scopo di cambiare la rotta e che non bisogna farlo? E non si limitasse solo a dirlo, ma dalla sua postazione, si opponesse con tutte le leve che può toccare con le sue mani, a ogni cambiamento di rotta? Ora è vero che i passeggeri si interessano prevalentemente dei problemi locali, ma è vero anche che davanti a problemi globali di questa natura, essi vengono disorientati con informazioni false. Le dirò di più, molte volte la manipolazione delle persone su problemi globali, non ben comprensibili nelle loro dinamiche, risulta fondamentale per indirizzare il loro orientamento da una parte politica.
Joseph Soch – Lei non ha detto perché il comandante di questa postazione dovrebbe fare una cosa così sciocca.
Josef Fill – Anche lei cade nell’inganno di suggerire che le persone che dirigono un aereo, una azienda, o un paese, non siano propense a fare azioni, non sciocche come dice lei, ma sciagurate. Lo fanno per i motivi più banali: interessi di parte, ricatti, opportunismo, ignoranza accompagnata dalla solita dose di presunzione, delirio. Solo che le conseguenze ricadranno su tutti. Trovo anzi quantomeno singolare che proprio lei abbia fatto questa obiezione, lei che è economista e che, quindi, conosce bene il vecchio detto: gli affari sono affari, oppure anche quest’altro: il denaro non ha odore. Dobbiamo comprendere la reale complessità del sistema che si è formato con la globalizzazione, che, non solo si trasforma intanto che vola e cresce, ma ha anche una pluralità di facce.
Yuēsèfū Jao – Allora ritengo sia giunto il momento di rispondere alla domanda iniziale. Perché le attività umane crescono? Perché gli organismi viventi sono programmati per crescere! Eccone la ragione profonda. Dopotutto noi umani siamo organismi viventi, e quindi siamo programmati per crescere. Andare contro questa spinta evolutiva è un po’ come nuotare contro corrente. È molto impegnativo e bisogna essere veramente esperti ed allenati.
Faccio un altro esempio per chiarire questo importante aspetto. Prendiamo un individuo che si sta nutrendo eccessivamente, al di la del suo bisogno. Dopo un po’ di tempo sarà diventato un po’ più pesante, avrà la faccia ed altre parti del corpo rotondeggianti ed egli se ne accorgerà. Se ne accorge perché ha un “io”. Ma dove risiede questo “io”? Non certo in una singola cellula che lo compone. Potremmo dire che si tratti di una funzione esercitata collettivamente da una parte dell’organismo, che noi chiamiamo cervello.
Comunque sia a questo punto per l’organismo ci sono due possibili strade. Ignorare i segnali e fatalmente continuare ad aumentare fino a diventare obeso ed a mettere in pericolo la sua stessa vita. Oppure prendere dei provvedimenti. Egli, ovvero la parte di lui dove risiede questo misterioso “io”, deciderà di mettersi a dieta, ma sappiamo tutti che non è una cosa così semplice. Le singole cellule che lo compongono, infatti, si erano abituate al ricco regime ed ora lanciano segnali allarmati e tutti questi segnali convergono in un unico contenuto simbolico: mangia! Cresci! La pressione di questi segnali sull’ ”io” potrebbe essere così forte da incrinare la sua determinazione nel condurre la dieta, ma potrebbe anche portare alla sostituzione dell’ “io” con un “io” di riserva, magari un po’ più malleabile e ciò può sempre accadere.
Padre José – Crescete e moltiplicatevi! Lei ha esposto con dei ragionamenti astrusi, che io non comprendo pienamente, ma rispetto, ciò che la nostra fede ci dice da millenni. Il suo sapere conferisce nuovo lustro a questo iniziale imperativo! Ma vi proietta anche una luce sinistra! L’imperativo crescete e moltiplicatevi forse non è solo un invito, ma oggi suona quasi come una condanna, visto che il fiume tracciato da Dio si rivela un letto dal quale lei ha detto che è difficile uscire, ma io aggiungo che, forse, è addirittura impossibile. Benediciamo il Signore che ha guidato i nostri passi fino a qui. A noi ora comprendere ed agire.
Delegato – Scusate l’intromissione, ma è mio compito segnalare che il tempo a disposizione è finito. Sospendo quindi questa prima seduta e vi do appuntamento alla prossima, che inizierà dopo il buffet, oggi alle quattordici.
FATTI TRA LA PRIMA E LA SECONDA SESSIONE
Tra un vocio ed un chiacchiericcio sommesso la folla sfollò, ed anche i relatori, assieme ai fotografi ed ai giornalisti. Questi impegnati nelle ultime inquadrature del mattino, quelli ad offrire interviste, a cui i relatori si prestavano con dovizia. Ci tenevano a precisare le loro posizioni ed assaporare il magico momento di celebrità. Così il capannello si perse nei corridoi del Dipartimento di Economia e Management, verso una sala riservata e misteriosa. Nulla si sa di quanto avvenne là dentro, ma si presume che il Buffet fosse ricco.
Anche Beppe Lomat sfollò. Aveva registrato con cura gli interventi, ma non aveva trascurato di osservare le espressioni facciali dei relatori. Perché lo avesse fatto non gli era ben chiaro, ma scacciò con un po’ di fastidio l’impulso di tornarsene subito a casa e si diresse verso la vicina Osteria Galasso, dove si ordinò uno di quei tipici taglieri trentini e del buon vino Lagrein. Lì era a suo agio, perciò chiacchierò lungamente con esercenti ed avventori, raccontò dell’incontro e voleva i pareri di ognuno. Per lo più osservò che tutti tendevano a schermirsi dietro a un: ma .., sarà .., speriamo che facciano bene .., intanto abbiamo altro a cui pensare. Si rese conto che anche lui era così. Ma c’era il mistero dei nomi e questo mistero lo teneva lì. Terminato il pasto ritornò rapidamente al Dipartimento e si rimise a sedere. Rimirò ancora i relatori e si accorse che il loro chiacchiericcio appariva dissimile da quello dell’Osteria Galasso. Loro non si schermivano affatto, ma ci davano dentro. Anche lui del resto, se si trattava di vini, sapeva darci dentro.
SECONDA SESSIONE DEL CONGRESSO
L’UOMO NON È IN EQUILIBRIO CON L’AMBIENTE
Delegato – Buongiorno a tutti e ben ritornati. Dichiaro aperta la seconda sessione del Congresso. Vi chiedo cortesemente di riprendere i temi della sessione precedente e di continuare da essi.
Josef Fill – Vorrei iniziare io se non vi dispiace. La mia è una riflessione che parte da una cosa che mi è rimasta in testa. È stato detto che l’effetto serra altro non è che un sintomo di un problema più profondo, e cioè che tutti noi, come esseri viventi saremmo addirittura programmati per crescere. Ma, se le cose stessero veramente così, allora si porrebbe un problema ulteriore. A mio avviso questa cosa implicherebbe necessariamente che noi non saremmo mai in equilibrio! E quindi, non essendo in equilibrio, saremmo per forza sbilanciati, come fossimo perennemente sul punto di cadere. Da qui la nostra corsa, per inseguire questo bisogno di ripristinare l’equilibrio, spostando il punto di appoggio un po’ più in là, e poi ancora più in là, sempre alla ricerca di quel bilanciamento, che inesorabile sfugge, fin dove? Dobbiamo chiederci se questo meccanismo stia veramente agendo e se sì, se non ci stia portando verso un precipizio.
Yuēsèfū Jao – C’è del vero in quello che lei dice. Le dirò, la specie umana non è mai stata veramente in equilibrio con il proprio ambiente. Vede, tendenzialmente tutte le specie tendono a crescere, non solo l’uomo e, se lo potessero, si espanderebbero ben al di fuori del loro habitat. Se non lo fanno è solo perché le condizioni di vita al di fuori di esso sono sfavorevoli. L’habitat costituisce un contenitore dai confini non facilmente superabili per una qualsiasi specie. E, se per qualunque motivo una specie ci dovesse riuscire, allora vorrebbe dire che là fuori c’era un nuovo habitat favorevole al suo insediamento e che, in qualche modo, era riuscita a colmare la distanza che separava i due luoghi. E ciò succede più di quanto si pensi. Le specie ci provano in continuazione con modalità le più impensabili, compresa quella di viaggiare nei bagagli di qualche essere umano e ogni tanto ci riescono. Anche all’interno del proprio habitat tendono per natura ad espandersi. Se non ci riescono è solo in virtù di due cose: il limite imposto dalle risorse disponibili per la loro alimentazione e la presenza dei nemici naturali. La grande variabilità di specie all’interno di una nicchia ecologica, fa sì che le spinte alla crescita di una specie siano compensate dalle altre specie. Ma l’equilibrio non è mai garantito nel tempo, ma sempre precario, sempre e soltanto momentaneo, anche se questo momento può durare millenni.
Lord Math – Concordo con quanto esposto dal collega e ne approfitto per puntualizzare che praticamente ogni sistema è perennemente in un equilibrio precario. La terra stessa, dopo che abbiamo imparato a conoscerla, ci ha svelato i segreti della sua tettonica in continuo divenire. E riguardo alla sua atmosfera, basta considerare il mutare incessante del tempo o anche solo osservare che le nubi nel cielo mutano di aspetto rapidamente ed in modo ampiamente imprevedibile. Se poi si considerano tempi più lunghi, ciò che scorgiamo è che anche il nostro clima muta nel corso dei millenni, come testimoniano l’alternarsi incessante di periodi glaciali e interglaciali, periodi freddi e periodi caldi. Ma ora siamo di fronte a cambiamenti indotti da comportamenti umani. E si tratta di cambiamenti che avvengono in tempi relativamente rapidi rispetto ai tempi geologici.
Yuēsèfū Jao – I comportamenti umani … Indubbiamente la nostra specie ha una marcia in più: la sua inventiva. L’uomo è mobile, è in grado di raggiungere e adattarsi a tutti gli habitat presenti sulla terra. All’interno di ciascuno di essi, poi, si adatta rapidamente a molteplici risorse alimentari, mentre costruisce armi e combatte i potenziali concorrenti. Tutto ciò, beninteso, avviene progressivamente nel tempo. Qual è il risultato? L’uomo è in grado di spostare i paletti sempre più in là, di scardinare i vincoli che la natura pone e che determinano le condizioni per il mantenimento dell’equilibrio. In poco più di un secolo l’uomo ha incrementato esponenzialmente la popolazione mondiale, portandola da un miliardo a 7 miliardi e la marcia non accenna ad arrestarsi. Come mai questo? Perché il progresso scientifico e tecnico sposta sempre più in là i paletti della resa per ettaro dei cereali. Ci sono più esseri umani, ma c’è anche più cibo. Ma che dico, il cibo lo si cerca in ogni luogo, abbattendo le foreste e saccheggiando i mari. Ma non c’è solo questo.
La popolazione aumenta anche perché il progresso scientifico e tecnico sposta sempre più in là i paletti della vita media. Le epidemie sono sempre più rare e circoscritte e si vive più a lungo. Un bambino che nasce oggi ha più possibilità di vita di un bambino che nasceva un tempo. Il risultato è che la pressione a cambiamenti indotti da comportamenti umani. E si tratta di cambiamenti che avvengono in tempi relativamente rapidi rispetto ai tempi geologici.
Yuēsèfū Jao – I comportamenti umani … Indubbiamente la nostra specie ha una marcia in più: la sua inventiva. L’uomo è mobile, è in grado di raggiungere e adattarsi a tutti gli habitat presenti sulla terra. All’interno di ciascuno di essi, poi, si adatta rapidamente a molteplici risorse alimentari, mentre costruisce armi e combatte i potenziali concorrenti. Tutto ciò, beninteso, avviene progressivamente nel tempo. Qual è il risultato? L’uomo è in grado di spostare i paletti sempre più in là, di scardinare i vincoli che la natura pone e che determinano le condizioni per il mantenimento dell’equilibrio. In poco più di un secolo l’uomo ha incrementato esponenzialmente la popolazione mondiale, portandola da un miliardo a 7 miliardi e la marcia non accenna ad arrestarsi. Come mai questo? Perché il progresso scientifico e tecnico sposta sempre più in là i paletti della resa per ettaro dei cereali.
Ci sono più esseri umani, ma c’è anche più cibo. Ma che dico, il cibo lo si cerca in ogni luogo, abbattendo le foreste e saccheggiando i mari. Ma non c’è solo questo. La popolazione aumenta anche perché il progresso scientifico e tecnico sposta sempre più in là i paletti della vita media. Le epidemie sono sempre più rare e circoscritte e si vive più a lungo. Un bambino che nasce oggi ha più possibilità di vita di un bambino che nasceva un tempo. Il risultato è che la pressione se si vogliono evitare delusioni profonde occorre comprenderle bene e capire come queste regole governino tutti i flussi economici e quindi anche le nostre vite.
Josef Fill – Giusto, parliamone. Cominciando dalla prima regola, da quella legge che pone il profitto al primo posto e che determina le conseguenze che il Padre ha denunciato.
Joseph Soch – Lei dice che la legge pone il profitto al primo posto, mentre noi, invece, diciamo che essa legittima le persone a perseguire un profitto. Non dice che il profitto è al primo posto, ma che è legittimo.
Josef Fill – Mi perdoni, ma la sua sottigliezza terminologica non modifica affatto i termini della questione. Che cos’è, infatti, questa legittimazione, se non il lasciapassare che consente alle persone di liberarsi da altri fattori e concentrarsi su questo, sul profitto? Non crede che chi sarà in grado di concentrarsi solo su di esso e sarà capace di percorrere fino in fondo lo spazio di libertà così aperto, alla fine vincerà? Ora questo percorrere una via di libertà, passando per il grande setaccio della selezione naturale, che sempre agisce, gradatamente si è trasformato, diventando il mercato delle libertà che corre per crescere di più, sempre di più, verso il gigantismo. In esso, fare profitto, acquisire, fondersi, dominare, è diventato il presupposto necessario per la navigazione. Vedo in questa corsa tutti i caratteri distintivi di un disequilibrio profondo, strutturale.
Joseph Soch – Bene, finalmente ha potuto puntare il suo indice contro il mercato. Ma le cose non stanno così come lei dice. Il mercato, perché è di questo che si sta ora parlando, è uno spazio di libertà per le imprese, capace di autoregolarsi. Come avviene in natura, dove la presenza di molte specie diverse garantisce l’equilibrio complessivo di un dato habitat, così anche il mercato si regola attraverso le spinte contrastanti dei singoli soggetti che ne fanno parte, spinte che, lo ammetto, possono essere egoistiche. Inoltre vi sono vincoli generali definiti da norme di comportamento soggette a organismi di controllo e vigilanza. E la prima norma vieta assolutamente l’instaurarsi di quei monopoli che lei tanto teme.
Josef Fill – Non è mia intenzione entrare in polemiche sterili, ma solo il desiderio di contribuire costruttivamente al dibattito esplorando tutte le strade possibili. Lei dice che il mercato è in grado di autoregolarsi, ma sottovaluta, a mio avviso, le doti di inventiva degli esseri umani e la loro capacità di sradicare i paletti, come è stato già sottolineato mi pare. Mi risulta infatti che molti di questi paletti siano stati divelti e che il mercato abbia imboccato la via di una inarrestabile liberalizzazione.
Joseph Soch – La strada della liberalizzazione ha la funzione di consentire al mercato di essere sufficientemente ampio da rendere efficace il meccanismo della concorrenza a cui ho accennato in precedenza.
Josef Fill – Sia pure come dice, tuttavia non può negarne né l’espansione progressiva, né l’aumento continuo di velocità. Le voglio portare un esempio. Lei non può non sapere che in molti settori, oramai, le decisioni sono affidate non alle volontà dei soggetti, bensì alle scelte effettuate in tempi rapidissimi da algoritmi altamente sofisticati. Ora questi algoritmi ai quali ormai siamo affidati, non sono forse ottimizzati per il massimo profitto? Essi non fanno certo beneficenza! A mio avviso è il trionfo del comportamento egoistico. E sa qual è il risultato? Che l’uomo è pronto a sacrificare il proprio futuro per il presente.
Yuēsèfū Jao – Non vedo contraddizione in tutto questo. Vedete, l’uomo ha costruito il suo sistema economico riproducendo ed assecondando i meccanismi naturali. Pertanto tale sistema ha gli stessi pregi e gli stessi difetti dei sistemi naturali, compreso quello di essere in un equilibrio precario e soggetto alle regole della selezione naturale. Purtroppo la velocità dei processi di cambiamento è diversa, perché le innovazioni introdotte dall’inventiva umana si susseguono molto più frequentemente delle variazioni genetiche. I meccanismi sono gli stessi, ma le velocità diverse. Ne risulta che la deriva dei sistemi economici è molto più accentuata di quella degli ambienti naturali.
Josef Fill – Lei parla di deriva ed io parlo di disequilibrio. Il sistema economico è sbilanciato, sta in piedi solo se si espande, richiede una espansione illimitata, ma le risorse del pianeta sono finite. Tutto qui. E non è una questione solo di sistema economico, né una questione recente.
Lord Math – Finalmente sembra si arrivi al nocciolo della questione. Lo riassumo così: l’uomo non è in equilibrio con l’ambiente in cui vive. L’effetto serra ne è il risultato.
Josef Fill – Comprendo la sua impazienza che si ritorni a parlare di riscaldamento globale, ma vorrei anche osservare che l’effetto serra, per quanto gravissimo, è solo uno degli effetti collaterali negativi del disequilibrio con l’ambiente. Effetti del disequilibrio sono anche l’incremento demografico e la migrazione.
Padre José – Scusate se mi inserisco in questo acceso dibattito, ma lei ha toccato un tasto rispetto al quale mi sento profondamente coinvolto. Potrei parlare per ore dei problemi dei migranti, di questi poveri disgraziati che, dopo essere stati spogliati di tutto, vengono guardati con ostilità, sfrattati dal Paese da cui partono e sfruttati dalla Nazione in cui migrano. Ma c’è una cosa, che in questo quadro desolato, emerge come la punta di un ferro rovente. Vedete, ero giunto qui dove mi aspettavano dei miei collaboratori ed essi mi hanno accompagnato lungo le vie di questo amato Paese, quando una persona addita ad un nero innanzi a noi, che ci precede di alcuni metri e dice: – Cosa ci fa quello qui! Perché non se ne torna a casa sua! – Perché dico questo. Perché l’origine di quella ostilità stava nella sua incomprensione non solo del diverso, ma anche e soprattutto del fenomeno! È questo il ferro rovente, l’incomprensione dei fenomeni epocali che ci coinvolgono e che ci impedisce di modificare, non solo i comportamenti, ma gli stessi atteggiamenti che stanno a monte di essi.
Yuēsèfū Jao – A noi purtroppo tocca il compito ingrato di catalogare e far rientrare anche questi episodi spiacevoli in una cornice di senso. Ho già detto che gli uomini, come ogni altra specie, migrano, cercando di raggiungere altri territori. Questa cosa ha a che fare con la cosiddetta territorialità. Ogni gruppo si ritaglia un territorio e dice che è suo, lo marca con metodi fantasiosi e lo difende. Ma questo non gli impedisce di tentare di superare le barriere poste dai gruppi vicini ed espandersi non solo sul suo territorio, ma anche su quelli vicini, perché, lo abbiamo detto più volte, l’uomo abbatte gli steccati attraverso la sua inventiva. L’uomo, lo dobbiamo ammettere, ha una natura aggressiva dalla quale riceve la spinta che lo porta all’azione, ma anche alla reazione. Sono queste due spinte contrastanti che definiscono il momentaneo punto di equilibrio, che però scivola inesorabilmente nel tempo.
Lord Math – Quanto da lei detto è scientificamente studiato in relazione ai sistemi fisici e si chiama processo di diffusione. Di questi processi possiamo dire di sapere quali sono le regole che li governano, ma le dinamiche reali dipendono molto dalle condizioni iniziali. Faccio un esempio, supponiamo che un gas si trovi inizialmente chiuso all’interno di un contenitore sigillato, ma che a un dato momento la manopola che chiude l’ugello della bombola venga aperta. Quale sarà il risultato? Lo sappiamo tutti che parte del gas si diffonderà dalla bombola all’ambiente circostante fino a saturarlo, o, fino a quando la pressione nei due ambienti sarà la stessa. Ma anche questo sarà solo un equilibrio dinamico, nel senso che ora ci sarà un medesimo flusso di gas dalla bombola all’ambiente e viceversa. Rispetto a questi flussi non ha alcun senso prendersela con una particella di gas e dire ad essa che cosa ci fa nell’ambiente! Una di queste particelle doveva giungere proprio lì per fare in modo che si ripristinasse l’equilibrio tra bombola ed ambiente ed è toccato a quella. Analogamente ritengo che quella persona di colore si trovasse qui a Trento proprio affinché si ripristinasse l’equilibrio tra lo Stato da cui proveniva ed il nostro Paese.
Josef Fill – Quindi in ultima analisi il motivo per cui esso si trovava lì è l’esistenza di un disequilibrio tra i due Paesi.
Lord Math – Oppure al fatto che questo equilibrio è dinamico e quindi comprende due flussi residui di persone nelle due direzioni opposte, ma propendo maggiormente per il primo motivo, il disequilibrio.
Joseph Soch – Credo che si tratti, in ultima analisi, degli stessi meccanismi che regolano anche gli scambi economici.
Yuēsèfū Jao – E così ritorniamo al punto iniziale. Come in parte già detto, quando l’uomo migra ed entra in un nuovo territorio, che supponiamo vergine, ma, se fosse già abitato, le cose non cambierebbero nella sostanza, si espande in esso, e lo piega alle proprie necessità. A priva vista ci sembrano tutti comportamenti legittimi, ma dobbiamo considerare in questi comportamenti effetti distruttivi colossali sul territorio e sul suo habitat. L’uomo non è così civile come sembra, abbatte boschi e foreste e porta numerose specie all’estinzione. A volte l’uomo procede senza tregua, fino a spillare la più piccola linfa residua, finché il territorio diventa inaridito, o desertificato. Ecco il problema, il disequilibrio segue una china pericolosa che porta il sistema uomo ambiente verso il punto di non ritorno. E i paletti che la natura mette in questa china per rallentarne la discesa, vengono via via divelti. Essi, infatti, sono vissuti come problemi da affrontare e risolvere, ma Il risultato è altro squilibrio.
Joseph Soch – Ora, però, non dobbiamo drammatizzare questi effetti. Ammetto che l’uomo ha sacrificato molto, ma lo ha fatto per il suo progresso ed ora ha imparato a limitare la propria azione e a preservare gli habitat naturali esistenti, che sono ancora molto vasti.
Josef Fill – Mi consenta, però, di criticare il suo concetto di progresso. Credo proprio che vi sia un fraintendimento in merito a questo concetto, secondo molti dovuto al particolare punto di osservazione che viene assunto. È vero che l’uomo ha migliorato la propria condizione e che il suo tenore di vita si è elevato, ma possiamo dire che questo è progresso? Certamente sì, se si considerano solo le condizioni di vita degli esseri umani, ma lo è ancora se si considerano anche le condizioni di vita dell’ambiente nel suo complesso? Vede, se noi chiediamo a un occidentale se la sua condizione è progredita egli risponderà di sì, ma risponderebbe di sì anche ogni altra forma di vita? Proviamo a fare un esperimento mentale ed a chiedere ad alcune forme di vita che cosa ne pensano al riguardo e rispondiamo onestamente, assumendo il loro punto di vista.
Qual è l’animale che, per antonomasia, è nemico dell’uomo? La serpe? Ebbene, se chiede alla serpe il suo parere, sa cosa le risponderebbe? Le direbbe che l’uomo ha diviso le specie animali in due categorie, quelle utili e quelle dannose. Direbbe che lei rientra, purtroppo, in questa seconda categoria, oggetto di una caccia spietata, sempre con il fiato dell’uomo sul collo e con il patema di non trovare più da un giorno all’altro né le sue prede, né la sua tana. La sua vita non è affatto migliorata, direbbe. Solo gli animali di piccolo taglio, gli insetti ed i microbi potrebbero sperare di sfuggire alla caccia dell’uomo, sfruttando la possibilità di non essere visti, il loro grande numero e cercando di parassitare l’uomo stesso ed il suo ambiente.
Yuēsèfū Jao – Se è per questo anche le specie utili avrebbero di che lamentarsi. La loro non è una vita libera, la gran parte sono allevati per il solo scopo di essere poi macellati, gli altri sono usati, è vero, come animali da compagnia, ma non sono liberi. Molti di essi si lamenterebbero di certo per una vita non degna di essere vissuta.
Padre José – Tutto questo perché l’uomo concepisce la vita degli animali solo in funzione di se stesso e delle sue esigenze. Dovrebbe essere il custode del creato, ma non è ancora all’altezza per questo alto compito.
Josef Fill – Aggiungo, se mi è consentito, che l’uomo concepisce la vita stessa asimmetricamente, dando priorità sempre ai propri diritti ed ai propri bisogni e sacrificando ad essi i diritti ed i bisogni degli altri e dell’ambiente che gli consente la vita. Ecco perché affermo che il progresso dell’uomo è illusorio, perché a tale progresso corrisponde un regresso nelle condizioni dell’ambiente.
Joseph Soch – Questa conclusione mi sembra esagerata. Quello che si può dire a buon diritto è che l’uomo sta ancora imparando a tenere in debita considerazione le istanze ambientali e che è in grado di farlo. Bisogna essere ottimisti al riguardo e tener conto dei progressi scientifici e tecnologici, che ci consentono di rettificare la nostra visione e rimediare ai guasti prodotti.
Josef Fill – Bene, sono pronto a discutere di rimedi.
Delegato – Scusate se mi intrometto per la seconda volta, ma il tempo a disposizione è nuovamente finito. Sospendo quindi questa seconda seduta, per una breve pausa, e vi do appuntamento alla prossima e conclusiva sessione, che inizierà tra circa mezz’ora.
FATTI TRA LA SECONDA E LA TERZA SESSIONE
I microfoni vennero spenti, la gente si alzò, ma non sciamò, restò invece lì in zona, chiacchierando animatamente e ogni tanto spostandosi verso i bagni e il lungo corridoio in cui c’erano alcune macchinette del caffè. Il caffè fu il protagonista anche nei pressi del palco, servito caldo e portato dai camerieri addetti al servizio. Protagonista con il caffè anche l’acqua minerale, che da queste parti non mancava di certo ed un piatto di paste, formaggi ed affettati. Le guance e le orecchie del prof. Soch erano più accese del solito, quasi quanto i capelli, mentre Lord Math era impassibile, in aristocratico distacco. Il prof. Jao interloquiva con padre José, entrambi gesticolando con le braccia ed il capo. Il prof. Fill si lisciava la barba con la mano destra ed aveva un atteggiamento pensoso, un po’ trasognato. Ma tutto questo non sfuggiva ai giornalisti ed ai fotografi, che subito si incuneavano nei punti scoperti dei relatori, pronti a strappare un pezzetto di loro. E non sfuggiva nemmeno a Beppe Lomat, che di caratteri ne aveva conosciuti a iosa nei suoi giri tortuosi. Ogni tanto un’occhiata all’orologio a suggellare l’attesa. In testa il solito mistero irrisolto, che lo teneva lì, inchiodato alla poltrona. Un po’ per volta le tazzine ed i bicchieri si svuotarono e con discrezione lasciarono la scena, i relatori tornarono ai loro scanni ed il pubblico si riadagiò mollemente sulle poltrone. Pian piano anche il brusio si attenuò ed il silenzio avvolse ogni cosa.
TERZA SESSIONE DEL CONGRESSO
L’UOMO SACRIFICA IL FUTURO PER IL PRESENTE
Delegato – Buongiorno a tutti e ben ritornati. Dichiaro aperta la terza sessione del Congresso. Vi chiedo cortesemente di riprendere i temi delle sessioni precedenti e di portarli a conclusione.
Lord Math – Personalmente ritengo che le cause siano state ampiamente vagliate e che sia giunto il momento di entrare nel merito degli interventi necessari. Non vorrei che ci allontanassimo troppo dal problema principale, vale a dire l’aumento della temperatura globale, vorrei poi che cominciassimo ad avanzare proposte concrete e si discutesse sugli effetti della applicazione di ciascuna di esse. Nostro fondamentale obiettivo dovrà essere quello di evitare in tutti i modi che la concentrazione di CO2 continui ad aumentare. Sarà quindi necessario eliminare fin da subito, o quantomeno ridurre drasticamente, il ricorso ai combustibili fossili in tutto il mondo, sia per usi industriali, che per usi civili, che per il trasporto. Ciò può essere fatto disincentivando il consumo dei combustibili fossili, fin quasi a inibirlo totalmente, ed incentivando, invece, il ricorso ad altre energie.
Yuēsèfū Jao – Aggiungo che nostro obiettivo dovrebbe essere anche quello di porre fine allo sfruttamento delle risorse del pianeta. Andrebbe incentivato, quindi, il recupero delle materie prime attraverso il riciclaggio, cercando di creare una economia circolare. Si dovrebbe, poi, allentare la presa sul territorio, puntando invece alla conservazione e all’incremento delle zone verdi del pianeta, a cominciare dalle foreste, e ponendo un limite più stringente alla pesca in qualunque tipo di acqua, quindi anche nelle acque internazionali. Ma tutto sarebbe inutile se, a monte, non si ponesse in atto una efficace politica di contenimento della popolazione mondiale, in assenza della quale la pressione demografica renderebbe ogni altra misura inefficace.
Padre José – Mi scuserete certamente se, da profano, oso intromettermi nelle vostre disquisizioni, ma c’è una cosa che, proprio non digerisco, e non dovrebbe essere digerita da nessuno sulla terra. Io vengo da un luogo dove ogni giorno, cominciando dal sorgere del sole e fino al tramonto, schiere di poveri disgraziati si dannano, su e giù, lungo immense discariche a cielo aperto, cercando di racimolare un pezzetto di questo, o di quello, povere cose, ma per loro preziose come l’oro. E poi, ritornando in questa parte di mondo, opulento, devo assistere, nella vergogna, allo spreco, inusitato, che qui viene fatto di tutto.
A cominciare dal cibo, con cui si riempiono i frigoriferi, e che poi si butta. Come per una smania di avere di tutto e di più, si compra ben più del necessario e si butta, ed ecco che una montagna di cibo!, finisce nella spazzatura.
Tuttavia lo spreco non si ferma certo al cibo, ma, come un cancro velenoso estende i suoi tentacoli su ogni bene. I nostri armadi sono strapieni, le nostre case sono strapiene! Come se fossimo tutti pervasi da una frenesia dell’acquisto, ma la gran parte dei nostri beni viene, dopo poco, gettata. Anzi, dirò di più, i beni stessi sono fatti in modo da durare poco, così da essere gettati in gran fretta.
Ma lo spreco non si ferma qui, usiamo i beni primari senza ritegno, la luce e l’acqua per esempio.
Questo spreco, scriteriato ed ottuso, grida vendetta, ma questa parte di mondo sembra incapace di farne a meno, anzi, sembra che lo incentivi. Lo chiama consumo, ma è spreco!
E c’è un’altra cosa che devo dire e riguarda il modo con cui in questa parte di mondo si ostenta la propria ricchezza, in modo che, oltre a sprecare, si festeggia, e festeggiando, ci si fa un vanto di questo spreco! La domenica, che dovrebbe essere dedicata a Dio, le feste dei santi, il Natale e la Pasqua, e ogni anniversario e Dio solo sa quanti ce ne sono, quasi un giorno dopo l’altro, sono tutte occasioni di gozzoviglie, di sfoggio di abiti e di regali. Tutto ciò si traduce in questo consumismo sprecone, consumato tra le risate della gente di qui!
Ed il rovescio della medaglia è che la gente di qui sta perdendo la spiritualità, e con la spiritualità il senso stesso della propria vita.
Pertanto auspicherei che venissero prese subito delle misure per combattere questo spreco vergognoso ed incentivare, invece, la sobrietà. Dobbiamo tutti prendere coscienza della necessità di praticare la sobrietà ed allora dobbiamo predicarlo! Dobbiamo parlare con il cuore al popolo, ed agire veloci, in modo che la pratica della sobrietà torni ad essere un valore per tutti. E dobbiamo porre un argine alla ostentazione della ricchezza, che è la madre dello spreco.
Josef Fill – Credo che lei Padre abbia centrato un punto importante. E dirò che, per me, la madre di tutti gli sprechi è lo spreco dell’energia. Non mi sto riferendo solo allo spreco che ciascuno di noi fa nella propria vita, magari non spegnendo la luce, od accendendo il condizionatore quando non serve, ma anche allo spreco che se ne fa a monte, nei luoghi stessi in cui essa è prodotta bruciando i combustibili fossili e producendo la C02. Mi è stato detto, infatti, che queste grandi centrali hanno un rendimento, ahimè, molto basso! Le dirò che, a mio avviso, la causa prima dello spreco di questa fondamentale risorsa è dovuto proprio al suo essere troppo a buon mercato. Succede sempre così: se una cosa è abbondante e costa poco, allora tendiamo a sprecarla. Quindi, per ridurre lo spreco dell’energia ed incentivare il risparmio delle fonti non rinnovabili è necessario tassare l’energia prodotta con queste fonti, in modo che il suo costo aumenti.
Joseph Soch – Vincoli, balzelli, tasse! Ma le ricette da cavallo che proponete, qualora venissero adottate, non potrebbero non avere evidenti effetti depressivi sul sistema economico! Apprezzo la vostra franchezza e sarò franco anch’io. Non è infatti né pensabile, né auspicabile che il tentativo di porre rimedio al problema del riscaldamento porti ad una crisi economica recessiva, di grandi proporzioni, dalla quale avremmo conseguenze che potrebbero essere anche peggiori del male che stiamo cercando di curare. La soluzione deve per forza fare i conti con le regole dell’economia di mercato, che ha bisogno di crescita, quindi ritengo, realisticamente, che non sia possibile uscire dall’idea di sviluppo. Penso allora, che l’unica opzione da mettere in campo con buone possibilità di riuscita, sia quella di uno sviluppo sostenibile con l’ambiente. Tutto il resto è solo una pia illusione.
Josef Fill – Lei ci pone di fronte a due alternative, che, se non sbaglio, mi paiono entrambe rischiose.
La prima alternativa, da lei definita illusoria, è quella di tentare di arginare l’aumento dei gas serra, attraverso una serie di misure drastiche, che potrebbero, però, non essere economicamente vantaggiose e, in ultima analisi, portare il mondo ad una recessione pericolosa. È, se non ricordo male, la ricetta che impone la dieta. Certamente spetta alla scienza illuminarci sul tipo di dieta da farsi, ed essa lo ha fatto, mentre spetta ai governi di metterla in atto e, lei dice, non lo faranno, perché, se lo facessero, lei dice, dovrebbero fare i conti con le regole dell’economia di mercato!
In alternativa lei propone un regime non rigido, che si concili con uno sviluppo moderato. Ma così facendo lei si pone già in un’ottica di accettazione del riscaldamento e di adattamento ad esso! Trovo molto pericoloso che gli ambienti economici pensino seriamente di convivere con il riscaldamento. Essi sarebbero così attaccati ai loro interessi da essere sordi alle campane che stanno dando l’allarme? Se così sarà, e immagino che lo sarà per la forza di questo realismo economico, anche noi, come una famosa rana, saremo cotti a fuoco lento, e tranquillamente, potremo far finta di non accorgercene. Ma alla fine la natura ci presenterà il conto, oh non a noi, ad una generazione futura. Lo presenterà ai nostri figli e saranno loro a bruciarsi, tutti loro, compresi i figli dei grandi magnati. Non pensino, infatti, di esserne immuni per censo.
Joseph Soch – Apprezzo la sua logica e non voglio negare la complessità del problema. La corrente di pensiero che rappresento ritiene che la via dello sviluppo sia percorribile, proprio in virtù della capacità dell’uomo di mettere in campo nuove conoscenze e nuove tecnologie ed inventarsi strategie. Lo sviluppo sostenibile non è affatto in contrasto con le ricette proposte in questa sede, anzi, tali ricette ne costituiscono proprio il fondamento, solo che dovranno essere adottate con misura.
Josef Fill – Capisco. Lei, o meglio, l’ambiente economico che ispira la sua strategia, ritiene di poter salvare capra e cavoli. Vede in quale punto nasce la resistenza? Ed il tempo lungo di reazione? Nasce qui, nei centri del potere politico ed economico. Forse che dove più si ha, di più si teme di perdere? È paradossale che proprio coloro che sono deputati a prendere le decisioni ed a metterle in atto, siano i primi a non essere desiderosi di impegnarsi in ricette troppo impegnative. Come ho già detto essi preferiranno piuttosto sacrificare il futuro per lo status quo presente.
Padre José – Chiedo perdono, ma il suo discorso mi ha fatto rivivere il preludio della fine storica dell’antico regno di Giuda. Questa fine era stata predetta al re dal profeta Isaia, non nel suo tempo, ma in un tempo futuro, mediante una deportazione tragica, a Babilonia. E la cosa che mi impressiona ogni volta in quella narrazione è che si narri, come se niente fosse, che il re ne gioì! E si dice che ne gioisse perché, almeno durante il suo regno, ci sarebbe stata la pace! E con la pace, immagino, delle condizioni di vita sopportabili. Ecco allora che, se al presente riusciamo ad avere delle condizioni di vita sopportabili, la distruzione futura diventa un male minore! E si può gioire! Sono passati due millenni e mezzo, ma le reazioni degli uomini non sono cambiate e la forza di questa narrazione mi appare immutata! In quel gioire tragico, essa esprime alla massima potenza la forza della nostra capacità di adattamento a tutto! E la nostra tragedia.
Josef Fill – Allora, almeno, c’era un re e quindi il profeta aveva un riferimento certo al quale rivolgersi. Oggi dobbiamo constatare che un tale re non esiste. Il potere è piuttosto disarticolato e distribuito nel mondo. Ora le decisioni si prendono attraverso Accordi Internazionali, frutto di mediazioni estenuanti.
Ma dobbiamo convenire che non è facile ripartire oneri di questa portata, mettendo d’accorso Paesi grossi e piccoli, che in ogni momento sono pronti a sfilarsi. E poiché prevedo che la situazione diverrà sempre più stringente, la possibilità di un buon accordo diventa più tenue e con meno possibilità di successo. Ma, in assenza di una guida sicura, con l’esplodere dei problemi, con il diffondersi della paura e del panico, gli uni accuseranno gli altri in un crescendo di odio. Temo che uno solo sarà il destino inevitabile: la guerra! E con essa la catastrofe. Abbiamo l’esempio dell’isola di Pasqua, che ci dovrebbe insegnare qualcosa.
Lord Math – Se è per questo, non ci sono più nemmeno i profeti. Noi, infatti, parliamo in nome della scienza e la nostra voce non ha quel carattere di verità assoluta che i nostri interlocutori vorrebbero. Non possiamo nemmeno fare miracoli per farci amare dai popoli. Nondimeno le nostre previsioni sono il risultato di lunghi studi e non dovrebbero essere prese sottogamba.
Josef Fill – Da parte mia, mi reputo più una Cassandra, e non posso esimermi dal mettere in guardia i miei concittadini del pericolo imminente.
Padre José – Oh, non crediate che i profeti siano stati accolti e la loro parola seguita. Sono stati, invece, perseguitati ed uccisi. Ma essi hanno parlato ed anche voi, anche se non siete profeti, avete il dovere di parlare. Poi, se sarete ascoltati o meno, è un’altra cosa. E dico con forza, che non dobbiamo prevedere la guerra, ma creare le condizioni per la pace.
Josef Fill – Bene, se proprio dobbiamo parlare, allora parliamo del nostro futuro. Certo noi non siamo profeti e non possiamo prevedere il futuro, non di meno potremmo, anzi dovremmo tracciare gli scenari possibili.
Lord Math – Mi sembra che questi scenari siano perfettamente noti, ed in questa sede, siano stati ampiamente tracciati.
Josef Fill – Però, mettere il mondo di fronte alle alternative possibili, non basta più. E siccome non tutti gli scenari hanno le stesse possibilità di realizzarsi, è necessario indicare quale di essi ha le maggiori chances.
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Lord Math – Il realizzarsi o meno di ciascuno scenario dipende dalle scelte politiche che verranno prese.
Josef Fill – D’accordo, ma ciò non significa che non si possano analizzare tutti i diversi casi. Vediamo, quale potrebbe essere il primo scenario?
Lord Math – Il primo scenario, di solito, ipotizza che, entro in 2100, il temuto aumento di temperatura, o non si verifichi, oppure resti comunque al di sotto di 1 grado centigrado e mezzo rispetto al periodo preindustriale. Non si prevedono in questo caso, con una affidabilità molto elevata, effetti sconvolgenti sul clima a livello globale, mentre ci sarebbero effetti locali. Inutile dire che è lo scenario fortemente raccomandato dalla scienza. Il suo realizzarsi, però, richiede che, entro il 2100, le emissioni di anidride carbonica restino abbondantemente sotto la quota delle cinquecento parti per milione. Devono quindi assolutamente essere assunti e messi in atto nei tempi richiesti quegli impegni che ho poc’anzi invocato.
Josef Fill – Lei ha parlato di affidabilità della scienza. Potrebbe gentilmente quantificare questa affidabilità?
Lord Math – Noi siamo assolutamente sicuri dei risultati delle nostre ricerche, con una affidabilità che non esito dire essere almeno del 95% se non di più.
Josef Fill – Allora non resta che chiederci quanto è probabile che tali impegni vengano assunti e messi in atto nei tempi richiesti.
Joseph Soch – Mi spiace interrompere il vostro duetto, ma devo riportarvi sulla terra. La possibilità che impegni di tale portata vengano assunti in tempi brevi è, per me, molto vicina a zero. Il mondo economico non può tollerare la portata di simili decisioni, che, se venissero prese, darebbero inizio ad una condizione di crisi economica mondiale dalle imprevedibili conseguenze.
Josef Fill – Avrei bisogno che lei quantificasse il suo quasi zero ed anche le sue imprevedibili conseguenze.
Joseph Soch – Quasi zero per me significa minore del 5% e quanto alle imprevedibili conseguenze, le paragonerei a quelle della grande depressione, solo con una scala maggiore.
Josef Fill – Bene, allora il primo scenario, prevede effetti minimi sul clima, ma effetti devastanti sull’economia mondiale, ed ha una probabilità di realizzarsi minore del 4,75%. Vorrei che passassimo al secondo scenario.
Lord Math – Il secondo scenario ipotizza un aumento della temperatura tra due e tre gradi centigradi. Le conseguenze, purtroppo, si farebbero sentire su scala globale e riguarderebbero sia lo scioglimento dei ghiacciai, che l’innalzamento dei mari. Purtroppo si realizzerà anche il temuto scioglimento del permafrost,
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che immetterà in atmosfera nuovi gas serra. La loro concentrazione schizzerà verso l’alto ed in particolare la CO2 salirà ben oltre quota 500.
Josef Fill – Bene, evidentemente il livello politico non sarà stato in grado di mettere in atto gli opportuni interventi nei tempi richiesti, ma si sarà fatto frenare da, diciamo, esigenze di realpolitik. Gli effetti saranno devastanti sul clima e, di conseguenza, saranno devastanti anche a livello economico! Non posso infatti immaginare che gli effetti climatici su estesi territori non comportino squilibri nel sistema economico. Se non quelli paventati dal collega in precedenza, saranno certo altri, dovuti, magari, all’inaridimento di estese regioni, alle migrazioni dei popoli, e chissà a quant’altro!
Questa cosa che, comunque si faccia, finisce male, mi ricorda il caso di una mia amica.
Essa era stata indotta, erroneamente, ad assumere uno psicofarmaco, da cui, purtroppo, era diventata dipendente. Solo che questo farmaco le provocava anche effetti fisici devastanti. Dopo qualche tempo dovette recarsi all’ospedale, proprio qui a Trento, dove le diagnosticarono, udite, un solo mese di vita! Se non sospende il farmaco – le dissero – morirà di certo entro un mese, ma, se lo sospenderà, essendone dipendente, avrà delle conseguenze inimmaginabili e potrebbe egualmente non farcela. Due alternative entrambe terribili! Questa mia amica, comunque, fu capace di prendere per sé la decisione giusta. Ragionò così: qual è la causa di tutto questo? È questo farmaco! Bene, allora, eliminiamo questo farmaco! Decise, allora, di sospendere il farmaco e, dopo patimenti inimmaginabili, riuscì a disintossicarsi ed a farcela.
Credo che questo caso debba servirci di lezione. Anche il mondo mi appare, infatti, come se fosse intossicato e con un tempo di vita, che, se non è proprio di un mese, è di qualche generazione di anni. E, per disintossicarsi dovrebbe sospendere quel farmaco di cui è diventato dipendente, e cioè il ricorso ai combustibili fossili. Ora se non lo sospenderà, la sua dipendenza lo porterà a morte certa, ma, anche se decidesse di sospenderlo, dovrà comunque patire sconvolgimenti inenarrabili. Mah, anche il mondo dovrebbe prendere per sé la decisione giusta, tuttavia non sembra esserci, in esso, un soggetto con la medesima tempra della mia amica in grado di prenderla!
Joseph Soch – Permettetemi di dissentire dall’idea che il collega suggerisce e cioè che, se non si faranno certe cose, allora tutto andrà male. Io credo piuttosto nella possibilità di uno scenario intermedio tra tutto bene e tutto male.
Josef Fill – La sua crescita felice immagino.
Joseph Soch – Non le consento di fare dell’umorismo da quattro soldi su un tema così scottante. Quella che lei chiama crescita felice, ha un nome di cui sono fiero, ed infatti si chiama sviluppo sostenibile. Le misure invocate si assumeranno, ma si attueranno gradualmente, dando modo all’economia di non entrare in una fase recessiva pericolosa. L’aumento termico, il prezzo da pagare, potrebbe essere intorno a 302 gradi centigradi. Nel frattempo l’umanità dovrà abituarsi al cambiamento climatico, anzi, ne potrà cogliere le opportunità.
Josef Fill – E sia, ammettiamo pure uno scenario virtuoso, che preveda un aumento della temperatura di soli 2 gradi entro il 2100, accompagnato da una serie di decisioni, le va bene il termine responsabili?
Joseph Soch – Mi va benissimo, purché scevro da quella punta di sarcasmo che avverto nella sua inflessione.
Lord Math – Se ho ben capito lei propone uno scenario caratterizzato da un aumento moderato della temperatura, al di là, seppur di poco, del limite di sicurezza stabilito dalla scienza. Ma quello che per lei sembra poco, per la natura è già troppo e le possibilità che gli effetti sul clima siano moderati, perché è questo che si richiede, immagino, non saranno del 95%, ma scenderanno drasticamente, secondo me al di sotto del 50%. Ma non nascondo che la cosa richiederà ulteriori studi.
Josef Fill – Assumiamo la sua valutazione prudenziale, qual è invece la probabilità che l’economia imbocchi davvero il circolo virtuoso richiesto?
Joseph Soch – A mio avviso ci sono tutte le condizioni affinché ciò si verifichi.
Yuēsèfū Jao – Un momento prego, davvero pensate che un simile circolo virtuoso si possa instaurare facilmente? Abbiamo già detto quanto sia difficile tenere un paziente a dieta. Anzi, già è difficile ottenere che un paziente sovrappeso prenda coscienza della sua reale situazione e che decida di affidarsi ad un dietologo esperto. Ma quale sarebbe il dietologo poi? Sarebbe lei? E ammesso di sì, il paziente si affiderà davvero a lei? E lei cosa propone? La sua non è precisamente una dieta dimagrante, quanto una dieta, mi consenta, diversamente ingrassante. Un tentativo di modificare in modo soft abitudini alimentari consolidate. E questa dieta dovrebbe avere successo? Saremmo davanti ad un paziente riottoso che non si sottopone volentieri alle prescrizioni del dietologo, e il dietologo pretende di avere successo? Tutti questi passaggi mi sembrano assai poco probabili. Ecco cosa succederà. È probabile che passi del tempo, prima che il pazienta colga davvero i problemi che il suo sovrappeso comporta e ne abbia piena coscienza. E passerà altro tempo prima che si guardi intorno cercandosi un dietologo esperto. Invece dovrebbe farlo subito. Ma quanto è la probabilità che ciò avvenga? Glielo dico io: meno del 50%. Lei, poi, vorrebbe essere il dietologo prescelto. Ma lei lo sa quanti sono i gufi pronti a cogliere l’occasione del momento? Le dirò, lei dovrà strillare parecchio per farsi ascoltare. E ciò si dovrebbe avverare? Ma con quale probabilità? Glielo dico io nuovamente: meno del 50%. E poi il paziente dovrà seguire la sua dieta. Ancora una volta: meno del 50%. E ammesso che la segua, la dieta dovrebbe avere successo! Ed il collega ha detto: meno del 50%.
Josef Fill – Se le cose stessero come lei dice, quindi, la probabilità di questo scenario sarebbe minore del 6,25%? Ma, allora, le probabilità degli scenari più pessimistici sono intorno al 90%. Provo a riassumere. La nostra dipendenza dalle fonti non rinnovabili ci sta portando al disastro. Dovremmo prendere delle misure drastiche, ma la probabilità che le si prenda è inferiore al 5% e ciò perché, si dice, queste misure porterebbero a squilibri economici gravi. Cosa faremo invece? Si cercherà di imboccare un percorso virtuoso, di crescita sostenibile, ma con grandi difficoltà e con probabilità di realizzarsi di poco più del 5%! E questo per la difficoltà di convincere la macchina ad obbedire ai comandi. Ammesso che qualcuno sia in grado di dare questi comandi! Ciò che ha molte più possibilità di realizzarsi è che il percorso virtuoso venga, spesso e volentieri, derogato, a volte qui ed a volte la. Abbiamo quindi un 90% di possibilità di fallire, o poco meno. Ecco le possibilità dell’uomo di camminare sull’orlo del burrone senza cadervi dentro. Non lo vedo molto bene.
Joseph Soch – Tendenzialmente non sono mai incline ad avvalorare e propagandare valutazioni non rigorose, tali da creare allarmismi ingiustificati tra la popolazione.
Lord Math – Concordo sul fatto che queste valutazioni non sono scientificamente accurate, non di meno esse danno una prima misura del rischio che stiamo correndo e ritengo anche che tutti le debbano conoscere.
Josef Fill – Sono dell’opinione che non si debba mai nascondere la verità, men che meno con la scusa di non creare il panico.
Joseph Soch – Nascondere la verità dice? Qui non si tratta di nascondere la verità, ma di evitare di trasmettere informazioni non fondate. In ogni caso, comunque, gli effetti sull’opinione pubblica saranno minimi. Abbiamo già visto più volte che la trasmissione di questo tipo di informazioni non è in grado di influenzare i comportamenti delle persone.
Josef Fill – Per una volta devo concordare con lei e lo faccio con disappunto.
Padre José – 6,25% avete detto? Le possibilità dell’uomo di farcela sono queste?
Josef Fill – O del 10%, o poco più, se si considerano i primi due scenari.
Padre José – Poche, molto poche, ma fino a quando vi fosse anche solo una unica possibilità, noi abbiamo il dovere di tentare. Dobbiamo dire che ci dobbiamo provare, anzi dico di più: dobbiamo annunciare al mondo che ci possiamo riuscire.
Perché non proporre la costituzione immediata di un Congresso che abbia una maggiore forza del nostro? Penso ad un Congresso ben più vasto, composto da soggetti come voi, di indiscusso valore, ma di tutti i Paesi del mondo, esperti riconosciuti, chi degli aspetti scientifici, chi di quelli economici, chi di quelli ambientali, e anche di altri settori, in modo che le proposte provengano da una platea ampia, composita, con persone preparate e disposte a collaborare tra loro. Serve, infatti, sfoderare e tenere vivo lo spirito collaborativo. Serve un Congresso che sia in grado di dare autorevoli direttive a tutti i Paesi del mondo, e che dovrebbero essere vincolanti per gli Stati.
Lord Math – Ci sono già molte Agenzie Internazionali nate con questo proposito e che parlano con una voce istituzionale, forte e chiara, che dovrebbe essere incisiva ed efficace. Ma accade che la loro voce non venga ascoltata dagli Stati, anche quando si presenta, sulla carta, vincolante. Il problema di fondo è convincere i governi degli Stati a prendere le decisioni nel merito ed a metterle in pratica. Probabilmente, deputata a questo compito dovrebbe essere l’Organizzazione delle Nazioni Unite, ma vi è un problema. In quel luogo vi sono degli Stati che sono detentori del diritto di veto. Diventa allora difficile mettere d’accordo questi Stati in quella Sede. Finora, infatti, gli Stati hanno preferito discutere direttamente delle questioni climatiche nelle loro Conferenze Interazionali, ma le loro decisioni, sono sempre state soggette alle ratifiche dei rispettivi Parlamenti. Auspico che, solo per la questione del riscaldamento globale, vi sia una deroga alla regola del diritto di veto, in modo che il processo decisionale ritorni all’ONU e diventi più rapido ed incisivo. In questo caso il Congresso da lei proposto potrebbe avere senso e, una volta istituito, potrebbe presentare i propri documenti, con speranza di successo, direttamente all’Assemblea per la loro approvazione definitiva e vincolante per tutti, senza possibilità di veto. Il Congresso dovrebbe, inoltre, verificare in continuazione i risultati delle azioni intraprese, al fine di correggere il tiro, se necessario, in tempo reale. Insomma deve essere messa in campo una task force mondiale veramente agguerrita.
Josef Fill – La proposta mi sembra buona, anche se, temo, di difficile realizzazione.
Padre José – Difficile dice, ma non impossibile, ed io dico che abbiamo il dovere di provarci, di provare a fare tutto, ma proprio tutto, ciò che, riteniamo, dovrebbe essere fatto.
E direi che dobbiamo agire anche sul fronte della formazione delle coscienze. Un’opera fondamentale che deve assolutamente essere svolta. A questo riguardo credo fermamente che la base sulla quale poggiare questa formazione debba essere un comandamento rinnovato che suoni in questo modo: ama la natura e tratta l’ambiente come tratteresti te stesso.
Delegato – Mi pare che una gran mole di temi sia stata messa a fuoco e che le conclusioni del Congresso siano molto chiare. Chiedo al Congresso di comporre gentilmente un documento conclusivo che riassuma schematicamente i problemi e le indicazioni emerse nel dibattito. Fatto ciò dichiarerò concluso lo stesso.
POSTFATTO
La gente applaudì a lungo e poi sciamò lentamente, lungo il corridoio che porta al di fuori del Dipartimento. I relatori, invece, erano ancora lì a fissare i paletti del loro documento finale, con giornalisti e fotografi.
E con Beppe Lomat, che non lasciava il suo posto.
Infine si decise, e risoluto si diresse verso il palco, guardò i relatori e disse d’impulso, con la sua voce squillante – Scusate, avete notato che tutti portate lo stesso nome? Che, come me, vi chiamate Giuseppe? Qualcuno di voi mi sa spiegare perché?
I relatori alzarono il volto guardandosi e, sì, erano proprio sorpresi. Qualche cenno tra loro giusto per focalizzare la cosa ed infine una risata sguaiata.
– Forse ho io la risposta alla tua domanda, – disse padre José – finora abbiamo agito ognuno per conto proprio, disuniti, ma il fatto che abbiamo lo stesso nome significa che d’ora in poi dovremo agire uniti, come una cosa sola, e tenendoci in contatto tra noi.
Gli altri delegati annuirono e subito fu chiamato un fotografo. Decisero infatti di farsi una foto di gruppo, anche con Beppe, e con il loro documento davanti, come fosse il loro manifesto.
Anche i giornalisti decisero di lanciarsi sul fatto. Vollero sapere chi era Beppe e lo intervistarono. L’indomani il servizio avrebbe avuto un titolo a sorpresa.
Beniamino Bortelli