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La Disobbedienza Civile non è il Problema. Il Problema è l’Obbedienza Civile!

Affrontare un tema come quello della disobbedienza civile è a tutti gli effetti la parte più scomoda da affrontare da parte di tutti i social dipendenti che in questo momento si stanno improvvisando alla stregua del Mahatma Gandhi i quali hanno l’opportunità quotidiana attraverso la rete di passare per mitici eroi, è la classica linea di demarcazione che separa tra il dire ed il fare.

Mahatma Gandhi

Tutti hanno un idea di cosa è giusto o sbagliato, ma pochi hanno il coraggio di mettersi in gioco per portare a termine degli obbiettivi che implicano inevitabilmente un costo a cui pochi sanno rinunciare.

La realtà è che di fatto, ognuno che agisce retto da saldi principi etici e morali non teme di dover pagare a caro prezzo questa sua visione del mondo che solo se condivisa avrà un esito positivo.

Noi che in prima linea da anni viviamo alla giornata, conosciamo molto bene il significato di quello che stiamo per dire e abbiamo voluto porre alla vostra attenzione tutte le variabili annesse e connesse su di un tema che tutti fingono di non vedere, ma che di fatto, si o si prima o poi dovranno affrontare in prima persona guardandosi davanti allo specchio e facendo le loro considerazioni del caso

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Ripensare l’obbedienza civile: Svelare le sfide della conformità globale!

“La disobbedienza civile non è il nostro problema. Il nostro problema è l’obbedienza civile. Il nostro problema è che le persone in tutto il mondo hanno obbedito ai dettami dei leader… e milioni di persone sono state uccise a causa di questa obbedienza… Il nostro problema è che le persone sono obbedienti in tutto il mondo di fronte alla povertà e alla fame e alla stupidità, alla guerra e alla crudeltà. Il nostro problema è che la gente è obbediente mentre le carceri sono piene di piccoli ladri… (e) i grandi ladri guidano il Paese. Questo è il nostro problema”.

Howard Zinn

In un recente articolo intitolato “La disobbedienza civile non è un nostro problema”, l’autore esplora l’idea che la nostra principale preoccupazione non sia rappresentata dagli atti di dissenso, ma piuttosto da un mondo afflitto da un’obbedienza incrollabile. Sebbene la prosa catturi abilmente le frustrazioni alla base dell’obbedienza globale, non riesce a fornire una comprensione sfumata delle complessità insite nell’obbedienza civile. Questo articolo si propone di esaminare le complessità di questo problema, analizzando il suo impatto sui settori sociale, economico e politico e approfondendo le potenziali soluzioni.

Riconoscendo le valide preoccupazioni relative alle conseguenze del rispetto delle regole, è essenziale affrontare questo argomento da una prospettiva equilibrata. L’obbedienza civile è un aspetto fondamentale della società e della governance, che favorisce la stabilità, l’ordine e lo stato di diritto. Obbedendo alle direttive dei leader, le società possono evitare l’anarchia e garantire il buon funzionamento delle istituzioni. Tuttavia, è fondamentale riconoscere i rischi intrinseci quando l’obbedienza è mal indirizzata, abusata o applicata in modo sproporzionato.

L’autore sottolinea giustamente i casi storici in cui l’obbedienza ha portato a risultati catastrofici, come milioni di morti a causa di una leadership sbagliata. Tuttavia, è essenziale esaminare i fattori più ampi che contribuiscono a tali tragedie. Piuttosto che dare la colpa solo all’obbedienza, dobbiamo esaminare i catalizzatori sottostanti, tra cui la corruzione, le ideologie sbagliate e gli squilibri di potere.

Un aspetto che l’autore sottolinea correttamente è che l’obbedienza spesso persiste anche di fronte alla povertà, alla fame e all’oppressione. Tuttavia, è fondamentale considerare i fattori sistemici che perpetuano questa obbedienza, come la mancanza di istruzione, l’accesso alle informazioni e le alternative limitate. Affrontando queste cause profonde, possiamo fare passi da gigante nel mettere gli individui in condizione di sfidare i sistemi oppressivi.

Invece di liquidare l’obbedienza come il problema, un approccio più costruttivo potrebbe integrare il concetto di disobbedienza responsabile. Incoraggiando gli individui a mettere in discussione l’autorità, a impegnarsi in un pensiero critico e a esercitare la propria capacità di azione, si possono sfidare efficacemente gli abusi di potere. Inoltre, la promozione di un ambiente che valorizzi l’autonomia individuale, pur riconoscendo la necessità di coesione sociale, è fondamentale per affrontare il problema in questione.

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Sebbene la premessa iniziale presentata nell’articolo in esame sollevi importanti interrogativi sull’obbedienza cieca, non riesce a fornire una comprensione completa del problema. Approfondendo le complessità dell’obbedienza civile, riconoscendone sia i meriti che le insidie, possiamo promuovere una discussione più sfumata. Cercando un equilibrio tra obbedienza e dissenso responsabile, la società può lottare per il progresso, la giustizia e una ridefinizione del rapporto tra cittadini e governi.

Howard Zinn Novembre 1970, John Hopkins University, Baltimora, USA

Parto dal presupposto che il mondo è sottosopra, che le cose sono tutte sbagliate, che le persone sbagliate sono in prigione e le persone sbagliate sono fuori di prigione, che le persone sbagliate sono al potere e le persone sbagliate sono fuori di potere, che la ricchezza è distribuita in questo Paese e nel mondo in modo tale da non richiedere semplicemente una piccola riforma, ma una drastica riallocazione della ricchezza. Parto dal presupposto che non c’è bisogno di dire molto su questo, perché basta pensare allo stato del mondo di oggi per rendersi conto che le cose sono tutte sottosopra. Daniel Berrigan è in carcere – un prete cattolico, un poeta che si oppone alla guerra – e J. Edgar Hoover è libero. David Dellinger, che si è opposto alla guerra fin da quando era alto e che ha usato tutta la sua energia e la sua passione contro di essa, rischia di finire in prigione. Gli uomini responsabili del massacro di My Lai non sono sotto processo; sono a Washington a svolgere varie funzioni, primarie e subordinate, che hanno a che fare con lo scatenamento dei massacri, che li sorprendono quando avvengono. Alla Kent State University quattro studenti sono stati uccisi dalla Guardia Nazionale e gli studenti sono stati incriminati. In ogni città di questo Paese, quando si svolgono manifestazioni, i manifestanti, che abbiano o meno manifestato, qualunque cosa abbiano fatto, vengono aggrediti e bastonati dalla polizia, e poi arrestati per aver aggredito un agente di polizia.

Ora, ho studiato molto da vicino ciò che accade ogni giorno nei tribunali di Boston, nel Massachusetts. Sareste sbalorditi – forse non lo sareste, forse siete stati in giro, forse avete vissuto, forse avete pensato, forse siete stati colpiti – di come i giri quotidiani di ingiustizia si facciano strada attraverso questa cosa meravigliosa che chiamiamo giusto processo. Questa è la mia premessa.

Basta leggere le lettere di Soledad di George Jackson, condannato a un anno all’ergastolo, di cui ha scontato dieci anni, per una rapina di settanta dollari a una stazione di servizio. E poi c’è il senatore degli Stati Uniti che avrebbe trattenuto 185.000 dollari all’anno, o qualcosa del genere, per l’indennità di esaurimento del petrolio. C’è qualcosa di sbagliato, qualcosa di terribilmente sbagliato quando spediamo 10.000 bombe piene di gas nervino attraverso il Paese e le gettiamo nella piscina di qualcun altro per non disturbare i nostri. Dopo un po’ si perde la prospettiva. Se non si pensa, se si ascolta solo la TV e si leggono cose dotte, si comincia a pensare che le cose non sono poi così male, o che solo piccole cose sono sbagliate. Ma bisogna distaccarsi un po’ e poi tornare a guardare il mondo e rimanere inorriditi. Dobbiamo quindi partire da questo presupposto: che le cose sono davvero sottosopra.
E il nostro tema è proprio quello del rovesciamento: la disobbedienza civile.

Quando si dice che il tema è la disobbedienza civile, si dice che il nostro problema è la disobbedienza civile. Non è questo il nostro problema…. Il nostro problema è l’obbedienza civile. Il nostro problema è il numero di persone in tutto il mondo che hanno obbedito ai dettami dei leader dei loro governi e sono andati in guerra, e milioni di persone sono state uccise a causa di questa obbedienza. Il nostro problema è quella scena di “Tutto tranquillo sul fronte occidentale” in cui gli scolari marciano doverosamente in fila verso la guerra. Il nostro problema è che la gente obbedisce in tutto il mondo, di fronte alla povertà, alla fame, alla stupidità, alla guerra e alla crudeltà. Il nostro problema è che le persone sono obbedienti mentre le carceri sono piene di piccoli ladri e mentre i grandi ladri gestiscono il Paese. Questo è il nostro problema. Lo riconosciamo dalla Germania nazista. Sappiamo che il problema era l’obbedienza, che il popolo obbediva a Hitler. La gente obbediva; era sbagliato. Avrebbero dovuto sfidare e resistere; e se solo fossimo stati presenti, glielo avremmo dimostrato. Anche nella Russia di Stalin possiamo capirlo: le persone sono obbedienti, tutte queste persone simili a branchi.

Ma l’America è diversa. È su questo che siamo stati tutti educati. Fin da quando siamo alti, e lo sento ancora risuonare nella dichiarazione del signor Frankel, si elencano una, due, tre, quattro, cinque cose belle dell’America che non vogliamo vengano disturbate. Ma se abbiamo imparato qualcosa negli ultimi dieci anni, è che queste cose belle dell’America non sono mai state belle. Siamo stati espansionisti, aggressivi e cattivi con gli altri popoli fin dall’inizio. Siamo stati aggressivi e cattivi con le persone in questo Paese, e abbiamo distribuito la ricchezza di questo Paese in modo molto ingiusto. Non abbiamo mai avuto giustizia nei tribunali per i poveri, per i neri, per i radicali. Come possiamo vantarci che l’America sia un posto speciale? Non è così speciale. Non lo è affatto.

Ecco, questo è il nostro tema, questo è il nostro problema: l’obbedienza civile. La legge è molto importante. Stiamo parlando dell’obbedienza alla legge, questa meravigliosa invenzione dei tempi moderni, che attribuiamo alla civiltà occidentale e di cui parliamo con orgoglio. Lo stato di diritto, oh, che meraviglia, tutti questi corsi della civiltà occidentale in tutta la terra. Ricordate quei brutti tempi in cui la gente veniva sfruttata dal feudalesimo? Tutto era terribile nel Medioevo, ma ora abbiamo la civiltà occidentale, lo stato di diritto. Lo Stato di diritto ha regolarizzato e massimizzato l’ingiustizia che esisteva prima dello Stato di diritto, ecco cosa ha fatto lo Stato di diritto. Cominciamo a guardare allo Stato di diritto in modo realistico, non con quel compiacimento metafisico con cui lo abbiamo sempre esaminato in precedenza.

Quando in tutte le nazioni del mondo lo Stato di diritto è il beniamino dei leader e la piaga del popolo, dovremmo iniziare a riconoscerlo. Dobbiamo superare questi confini nazionali nel nostro pensiero. Nixon e Breznev hanno molte più cose in comune tra loro di quante ne abbiamo noi con Nixon. J. Edgar Hoover ha molto più in comune con il capo della polizia segreta sovietica di quanto non abbia con noi. È la dedizione internazionale alla legge e all’ordine che lega i leader di tutti i Paesi in un vincolo cameratesco. Ecco perché siamo sempre sorpresi quando si riuniscono: sorridono, si stringono la mano, fumano il sigaro, si piacciono davvero, a prescindere da quello che dicono. È come per i partiti repubblicano e democratico, che sostengono che se vince l’uno o l’altro farà una grande differenza, eppure sono tutti uguali. In pratica, siamo noi contro loro.

Yossarian aveva ragione, ricordate, nel Comma 22? Era stato accusato di dare aiuto e conforto al nemico, cosa di cui nessuno dovrebbe mai essere accusato, e Yossarian disse al suo amico Clevinger: “Il nemico è chiunque ti farà ammazzare, da qualunque parte stia”. Ma la cosa non era stata capita, così disse a Clevinger: “Ricordatelo, o uno di questi giorni sarai morto”. E si ricorda? Clevinger, dopo un po’, era morto. E dobbiamo ricordare che i nostri nemici non sono divisi per linee nazionali, che i nemici non sono solo persone che parlano lingue diverse e occupano territori diversi. I nemici sono persone che vogliono farci uccidere.

Ci viene chiesto: “E se tutti disobbedissero alla legge?”. Ma la domanda migliore è: “Cosa succederebbe se tutti obbedissero alla legge?“. E la risposta a questa domanda è molto più facile da ottenere, perché abbiamo molte prove empiriche su ciò che accade se tutti obbediscono alla legge, o anche se la maggior parte delle persone obbedisce alla legge. Quello che succede è quello che è successo, quello che sta succedendo. Perché le persone rispettano la legge? Tutti noi la veneriamo; persino io devo combatterla, perché mi è stata inculcata nelle ossa in tenera età, quando ero scout. Uno dei motivi per cui veneriamo la legge è la sua ambivalenza. Nel mondo moderno abbiamo a che fare con frasi e parole che hanno molteplici significati, come “sicurezza nazionale”. Oh, sì, dobbiamo farlo per la sicurezza nazionale! Ma cosa significa? La sicurezza nazionale di chi? Dove? Quando? Perché? Non ci preoccupiamo di rispondere a queste domande, e nemmeno di porle.

La legge nasconde molte cose. La legge è la Carta dei diritti; infatti, è a questo che pensiamo quando sviluppiamo la nostra venerazione per la legge. La legge è qualcosa che ci protegge; la legge è un nostro diritto, la legge è la Costituzione. Il Bill of Rights Day, i concorsi di saggistica sponsorizzati dalla Legione Americana sulla nostra Carta dei Diritti, questa è la legge. E questo è un bene.

Ma c’è un’altra parte della legge che non viene pubblicizzata: la legislazione che è passata mese dopo mese, anno dopo anno, dall’inizio della Repubblica, che assegna le risorse del Paese in modo tale da lasciare alcune persone molto ricche e altre molto povere, e altre ancora che si arrabattano come pazze per quel poco che resta. Questa è la legge. Se andate a scuola di legge ve ne accorgerete. Potete quantificarlo contando i grossi e pesanti libri di legge che la gente si porta dietro e vedere quanti libri di legge ci sono con la scritta “Diritti costituzionali” e quanti con la scritta “Proprietà”, “Contratti”, “Atti illeciti”, “Diritto societario”. Ecco di cosa si occupa principalmente la legge. La legge è l’indennità per l’esaurimento del petrolio – anche se non c’è la giornata dell’indennità per l’esaurimento del petrolio, non ci sono saggi scritti a favore dell’indennità per l’esaurimento del petrolio. Quindi, ci sono parti della legge che vengono pubblicizzate e presentate come se fossero la legge, la Carta dei Diritti. E ci sono altre parti della legge che fanno il loro lavoro in silenzio e nessuno ne parla.

È iniziato tutto molto tempo fa. Quando fu approvata la Carta dei Diritti, ricordate, nella prima amministrazione di Washington? Una cosa fantastica. La Carta dei Diritti è stata approvata! Grande clamore. Nello stesso periodo fu approvato il programma economico di Hamilton. Bello, tranquillo, soldi ai ricchi – sto semplificando un po’, ma non troppo. Il programma economico di Hamilton ha dato il via a tutto questo. Si può tracciare una linea retta dal programma economico di Hamilton alla detrazione per l’esaurimento del petrolio e agli sgravi fiscali per le società. Tutta la storia è questa. La Carta dei diritti è stata resa pubblica; la legislazione economica non è stata resa pubblica.

L’applicazione delle diverse parti della legge è importante quanto la pubblicità che viene data alle diverse parti della legge. La Carta dei diritti è applicata? Non molto bene. Scoprirete che la libertà di parola nel diritto costituzionale è un concetto molto difficile, ambiguo e travagliato. Nessuno sa veramente quando ci si può alzare e parlare e quando no. Basta controllare tutte le decisioni della Corte Suprema. A proposito di prevedibilità in un sistema, non potete prevedere cosa vi accadrà quando vi alzerete all’angolo della strada e parlerete. Cercate di capire la differenza tra il caso Terminiello e il caso Feiner, e vedete se riuscite a capire cosa succederà. A proposito, c’è una parte della legge che non è molto vaga, e riguarda il diritto di distribuire volantini per strada.

La Corte Suprema è stata molto chiara al riguardo. In una decisione dopo l’altra viene affermato il diritto assoluto di distribuire volantini per strada. Provate. Uscite per strada e iniziate a distribuire volantini. Un poliziotto si avvicina e vi dice: “Andatevene da qui”. E voi dite: “Aha! Conosci Marsh contro Alabama, 1946?”. Questa è la realtà del Bill of Rights. Questa è la realtà della Costituzione, quella parte della legge che ci viene presentata come una cosa bella e meravigliosa. E sette anni dopo l’approvazione della Carta dei diritti, che diceva che “il Congresso non farà alcuna legge che impedisca la libertà di parola”, il Congresso ha fatto una legge che ha impedito la libertà di parola. Ricordate? La legge sulla sedizione del 1798.

Quindi la Carta dei Diritti non fu applicata. Il programma di Hamilton fu applicato, perché quando i coltivatori di whisky si ribellarono, ricordate, nel 1794 in Pennsylvania, Hamilton stesso salì a cavallo e andò a reprimere la ribellione per assicurarsi che l’imposta sul reddito fosse applicata. E si può ripercorrere la storia fino ai giorni nostri, quali leggi vengono applicate e quali no. Quindi bisogna fare attenzione quando si dice: “Io sono per la legge, io rispetto la legge”. Di quale parte della legge sta parlando? Non sono contro tutte le leggi. Ma credo che dovremmo iniziare a fare delle distinzioni molto importanti su quali leggi fanno quali cose a quali persone.

E ci sono altri problemi con la legge. È strano, pensiamo che la legge porti ordine. La legge non lo fa. Come facciamo a sapere che la legge non porta ordine? Guardiamoci intorno. Viviamo sotto le regole della legge. Notate quanto ordine c’è? Si dice che dobbiamo preoccuparci della disobbedienza civile perché porterà all’anarchia. Guardate il mondo attuale in cui vige lo stato di diritto. Questo è quanto di più vicino a ciò che viene chiamato anarchia nella mente popolare: confusione, caos, banditismo internazionale. L’unico ordine che vale davvero qualcosa non si ottiene attraverso l’applicazione… della legge, ma attraverso l’instaurazione di una società giusta, in cui si stabiliscono relazioni armoniose e in cui è necessario un minimo di regolamentazione per creare un insieme decente di accordi tra le persone. Ma l’ordine basato sulla legge e sulla forza della legge è l’ordine dello Stato totalitario, e porta inevitabilmente o all’ingiustizia totale o al leone ribelle – in altre parole, alla fine, a un grande disordine.

Tutti noi cresciamo con l’idea che la legge sia sacra. Hanno chiesto alla madre di Daniel Berrigan cosa pensasse della violazione della legge da parte del figlio. Per protestare contro la guerra ha bruciato i registri di leva – uno degli atti più violenti di questo secolo – e per questo è stato condannato alla prigione, come dovrebbero fare i criminali. Hanno chiesto a sua madre, che ha ottant’anni, cosa pensasse del fatto che suo figlio avesse infranto la legge. Lei ha guardato dritto in faccia l’intervistatore e ha detto: “Non è la legge di Dio”. Ora lo dimentichiamo. Non c’è nulla di sacro nella legge. Pensate a chi fa le leggi. La legge non è fatta da Dio, ma da Strom Thurmond. Se avete un’idea della santità, della bellezza e della riverenza della legge, guardate i legislatori del Paese che fanno le leggi. Assistete alle sedute delle legislature statali. Assistete alle sedute del Congresso, perché sono queste le persone che fanno le leggi che poi dovremmo venerare.

Tutto questo viene fatto con una tale correttezza da ingannarci. Questo è il problema. Un tempo le cose erano confuse, non si sapeva. Ora si sa. È tutto scritto nei libri. Ora si segue un giusto processo. Ora succedono le stesse cose che succedevano prima, solo che abbiamo seguito le giuste procedure. A Boston un poliziotto è entrato in un reparto ospedaliero e ha sparato cinque volte contro un uomo di colore che gli aveva tirato un asciugamano al braccio, uccidendolo. Si è tenuta un’udienza. Il giudice decise che il poliziotto era giustificato perché se non l’avesse fatto avrebbe perso il rispetto dei suoi colleghi. Ebbene, questo è il cosiddetto “giusto processo”, cioè il ragazzo non l’ha fatta franca. Abbiamo seguito le procedure corrette e tutto era pronto. Il decoro, la correttezza della legge ci inganna.

La nazione, allora, era fondata sulla mancanza di rispetto per la legge, poi è arrivata la Costituzione e la nozione di stabilità che piaceva a Madison e Hamilton. Ma poi, in alcuni momenti cruciali della nostra storia, abbiamo scoperto che il quadro giuridico non era sufficiente e per porre fine alla schiavitù abbiamo dovuto uscire dal quadro giuridico, come abbiamo dovuto fare ai tempi della Rivoluzione americana o della Guerra civile. Il sindacato ha dovuto uscire dal quadro giuridico per stabilire alcuni diritti negli anni Trenta. E in questo periodo, che potrebbe essere più critico di quello della Rivoluzione o della Guerra Civile, i problemi sono così orrendi da richiederci di uscire dal quadro giuridico per affermare, resistere, iniziare a stabilire il tipo di istituzioni e relazioni che una società decente dovrebbe avere. No, non solo demolire, ma anche costruire. Ma anche se si costruiscono cose che non si dovrebbero costruire – si cerca di costruire un parco popolare, questo non è abbattere un sistema; si sta costruendo qualcosa, ma lo si fa illegalmente – la milizia arriva e ti caccia via. Questa è la forma che la disobbedienza civile assumerà sempre di più: persone che cercano di costruire una nuova società in mezzo alla vecchia.

Ma che dire del voto e delle elezioni? La disobbedienza civile – non ne abbiamo bisogno, ci dicono, perché possiamo passare attraverso il sistema elettorale. Ormai dovremmo aver imparato, ma forse non è così, perché siamo cresciuti con l’idea che la cabina elettorale sia un luogo sacro, quasi un confessionale. Entri nella cabina elettorale, ne esci, ti scattano una foto e poi la mettono sui giornali con un sorriso beatifico sul viso. Hai appena votato; questa è la democrazia. Ma se si legge anche solo quello che dicono gli scienziati politici – ma chi può farlo? – sul processo di voto, si scopre che il processo di voto è una farsa. Gli Stati totalitari amano il voto. Portate la gente alle urne e loro registrano la loro approvazione. So che c’è una differenza: loro hanno un partito e noi ne abbiamo due. Noi abbiamo un partito in più rispetto a loro, vedete.

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Quello che stiamo cercando di fare, suppongo, è tornare ai principi, agli obiettivi e allo spirito della Dichiarazione di Indipendenza. Questo spirito è la resistenza all’autorità illegittima e alle forze che privano le persone della loro vita, della libertà e del diritto di perseguire la felicità, e quindi, in queste condizioni, esorta il diritto di alterare o abolire l’attuale forma di governo – e l’accento è stato posto sull’abolizione. Ma per stabilire i principi della Dichiarazione d’Indipendenza, dovremo andare al di fuori della legge, smettere di obbedire alle leggi che impongono di uccidere o che assegnano la ricchezza nel modo in cui è stato fatto, o che mettono le persone in prigione per piccoli reati tecnici e tengono altre persone fuori di prigione per crimini enormi. La mia speranza è che questo tipo di spirito si diffonda non solo in questo Paese, ma anche in altri Paesi, perché tutti ne hanno bisogno. La gente in tutti i Paesi ha bisogno dello spirito di disobbedienza allo Stato, che non è una cosa metafisica ma una cosa di forza e di ricchezza. E abbiamo bisogno di una sorta di dichiarazione di interdipendenza tra le persone di tutti i Paesi del mondo che lottano per la stessa cosa.

L’obbligo morale della disobbedienza civile

Ho frequentato la St. Agnes School nel quartiere Oakland della città di Pittsburgh. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, ero uno dei pochi studenti cattolici iscritti alla scuola; lo studente tipico della St. Agnes School era nero e non cattolico, con i genitori che cercavano un luogo di rifugio dalle scuole pubbliche di Pittsburgh.

Per questo motivo, la battaglia contro la schiavitù e la segregazione razziale in questo Paese occupava una parte significativa del nostro tempo di insegnamento. Abbiamo conosciuto gli eroi del Movimento per i diritti civili, da Rosa Parks a Martin Luther King, Jr. Abbiamo imparato che i progressi sono stati compiuti proprio da coloro che si sono rifiutati di obbedire a leggi ingiuste.

Nella mia mente giovane e innocente, mi è rimasto un semplice pensiero che ho conservato fino a oggi: la schiavitù e la segregazione sono state permesse solo perché le persone presumibilmente “buone” hanno peccato di indifferenza, e hanno avuto fine solo quando è sorto un numero sufficiente di persone che si sono rifiutate di conformarsi all’ingiustizia dello status quo.

Le mie riflessioni in tal senso si sono ulteriormente concretizzate quando, al secondo anno di liceo, ci è stato assegnato “Sul dovere della disobbedienza civile” di Henry David Thoreau. L’obbligo morale di disobbedire alle leggi ingiuste in modo non violento e poi di accettare le punizioni nella speranza di forzare il cambiamento è stato uno dei principali insegnamenti che ho tratto dalla mia educazione cattolica. La disponibilità ad accettare le conseguenze di tale azione diretta non violenta era una delle cose che ammiravo della sinistra politica, anche se non mi consideravo uno dei suoi membri.

Ora, più di vent’anni dopo, sono costretto a chiedermi: che fine ha fatto la sinistra politica? I teppisti immorali di Antifa e di altri gruppi commettono violenza in nome dell'”azione diretta”. Quando la polizia interviene, resistono o fuggono invece di sottomettersi pacificamente all’arresto. Infine, cosa più dannosa, la sinistra nega il diritto di coscienza o di protesta ai propri nemici, abbandonandosi alla logica del totalitarismo.

A livello accademico, è apparso un bizzarro articolo su Criminal Law and Philosophy che sostiene di affrontare il tema “Civil Disobedience in Times of Pandemic: Chiarire diritti e doveri”. Il documento esamina due scenari di disobbedienza civile: “(1) operatori sanitari che si rifiutano di recarsi al lavoro per protestare contro condizioni di lavoro non sicure, e (2) cittadini che usano la manifestazione pubblica e ignorano deliberatamente le misure di allontanamento sociale per protestare contro l’isolamento”.

Invece di dare l’ovvia risposta che l’obbligo di curare i pazienti anche in presenza di pericolo è una legge giusta (e rifiutarsi di farlo non è disobbedienza civile) e che protestare contro il confinamento in casa non restando a casa è un classico caso di disobbedienza civile, gli autori spendono molti paragrafi per arrivare alla risposta esattamente sbagliata: “solo il caso degli operatori sanitari si qualifica come disobbedienza civile moralmente giustificata”.

Con l’avvicinarsi della festa di Martin Luther King, Jr. vorrei suggerire a tutti di dedicare un po’ di tempo alla lettura della sua difesa della disobbedienza civile nella “Lettera dal carcere di Birmingham”, scritta in risposta a otto leader religiosi che avevano espresso cautela e preoccupazione contro i suoi atti di disobbedienza civile. Vale la pena di leggerla tutta, ma in particolare vorrei attirare l’attenzione sulle seguenti quattro idee:

King spiega come dovrebbe essere l’azione nonviolenta legittima. Si noti in particolare il terzo passo dell’autopurificazione, che implica la determinazione ad accettare la violenza contro se stessi senza ritorsioni e a sopportare volentieri la punizione penale, se necessario.

In ogni campagna nonviolenta ci sono quattro fasi fondamentali: la raccolta dei fatti per determinare se esistono ingiustizie; la negoziazione; l’autopurificazione; l’azione diretta. A Birmingham abbiamo affrontato tutte queste fasi. Non si può negare il fatto che l’ingiustizia razziale affligge questa comunità. Birmingham è probabilmente la città più segregata degli Stati Uniti. I suoi brutti precedenti di brutalità sono ampiamente noti.

I negri hanno subito un trattamento gravemente ingiusto nei tribunali. A Birmingham ci sono stati più attentati irrisolti contro case e chiese di negri che in qualsiasi altra città della nazione. Questi sono i fatti duri e brutali del caso. Sulla base di queste condizioni, i leader negri hanno cercato di negoziare con i padri della città. Ma questi ultimi si sono sempre rifiutati di impegnarsi in una trattativa in buona fede…

Consapevoli delle difficoltà, abbiamo deciso di intraprendere un processo di autopurificazione. Abbiamo iniziato una serie di seminari sulla nonviolenza e ci siamo ripetutamente chiesti: “Siete in grado di accettare i colpi senza reagire?”. “Siete in grado di sopportare la prova del carcere?”.

La disobbedienza civile è necessaria proprio quando la società come gruppo deve essere convinta ad agire moralmente:

Amici miei, devo dirvi che non abbiamo ottenuto una sola conquista dei diritti civili senza una decisa pressione legale e nonviolenta. Purtroppo, è un fatto storico che i gruppi privilegiati raramente rinunciano volontariamente ai loro privilegi. Gli individui possono vedere la luce morale e rinunciare volontariamente alla loro posizione ingiusta; ma, come ci ha ricordato Reinhold Niebuhr, i gruppi tendono a essere più immorali degli individui.

Sappiamo per dolorosa esperienza che la libertà non è mai data volontariamente dall’oppressore; deve essere richiesta dall’oppresso.

King affronta la distinzione tra leggi giuste e ingiuste. Le prime devono essere rispettate. Le seconde vanno infrante, ma in modo amorevole:

Lei esprime molta preoccupazione per la nostra volontà di infrangere le leggi. Questa è certamente una preoccupazione legittima. Dal momento che esortiamo così diligentemente le persone a rispettare la decisione della Corte Suprema del 1954 che vieta la segregazione nelle scuole pubbliche, a prima vista può sembrare piuttosto paradossale che noi infrangiamo consapevolmente le leggi. Ci si può chiedere: “Come si può sostenere di infrangere alcune leggi e di rispettarne altre?”.

La risposta sta nel fatto che esistono due tipi di leggi: giuste e ingiuste. Io sarei il primo a sostenere il rispetto delle leggi giuste. L’obbedienza alle leggi giuste non è solo una responsabilità legale, ma anche morale. Al contrario, si ha la responsabilità morale di disobbedire alle leggi ingiuste. Concordo con Sant’Agostino che “una legge ingiusta non è affatto una legge”.

Qual è la differenza tra le due? Come si fa a stabilire se una legge è giusta o ingiusta? Una legge giusta è un codice creato dall’uomo che corrisponde alla legge morale o alla legge di Dio. Una legge ingiusta è un codice che non è in armonia con la legge morale. Per dirla con San Tommaso d’Aquino: Una legge ingiusta è una legge umana che non è radicata nella legge eterna e nella legge naturale…

Spero che riusciate a capire la distinzione che sto cercando di sottolineare. Non sostengo in alcun modo la necessità di eludere o sfidare la legge, come farebbe un rabbioso segregazionista. Questo porterebbe all’anarchia. Chi infrange una legge ingiusta deve farlo apertamente, con amore e con la volontà di accettare la pena. Io sostengo che un individuo che infrange una legge che la coscienza gli dice essere ingiusta, e che accetta di buon grado la pena del carcere per risvegliare la coscienza della comunità sulla sua ingiustizia, in realtà sta esprimendo il massimo rispetto per la legge.

Naturalmente, non c’è nulla di nuovo in questo tipo di disobbedienza civile. Si è manifestata in modo sublime nel rifiuto di Shadrach, Meshach e Abednego di obbedire alle leggi di Nabucodonosor, in quanto era in gioco una legge morale superiore. È stata praticata in modo eccellente dai primi cristiani, che erano disposti ad affrontare leoni affamati e il dolore atroce di blocchi tagliati piuttosto che sottomettersi a certe leggi ingiuste dell’Impero romano. In un certo senso, la libertà accademica è oggi una realtà perché Socrate praticò la disobbedienza civile. Nella nostra nazione, il Boston Tea Party rappresentò un enorme atto di disobbedienza civile.

Non dobbiamo mai dimenticare che tutto ciò che Adolf Hitler faceva in Germania era “legale” e tutto ciò che i combattenti per la libertà ungheresi facevano in Ungheria era “illegale”. Era “illegale” aiutare e confortare un ebreo nella Germania di Hitler. Tuttavia, sono sicuro che, se avessi vissuto in Germania a quel tempo, avrei aiutato e confortato i miei fratelli ebrei. Se oggi vivessi in un Paese comunista in cui alcuni principi cari alla fede cristiana sono soppressi, mi impegnerei apertamente a disobbedire alle leggi antireligiose di quel Paese.

In tempi di ingiustizia, il moderato che lancia l’accusa di estremismo è l’ostacolo più grande:

Devo fare due oneste confessioni a voi, miei fratelli cristiani ed ebrei. In primo luogo, devo confessare che negli ultimi anni sono stato gravemente deluso dal moderato bianco. Sono quasi giunto alla deplorevole conclusione che il grande ostacolo del negro nel suo cammino verso la libertà non è il consigliere dei cittadini bianchi o il Ku Klux Klanner, ma il moderato bianco, che è più dedito all'”ordine” che alla giustizia; che preferisce una pace negativa, che è l’assenza di tensione, a una pace positiva, che è la presenza della giustizia; che dice costantemente: “Sono d’accordo con voi nell’obiettivo che cercate, ma non posso essere d’accordo con i vostri metodi di azione diretta”; che crede paternalisticamente di poter fissare il calendario per la libertà di un altro uomo; che vive secondo un concetto mitico di tempo e che consiglia costantemente al negro di aspettare una “stagione più conveniente”.”

La comprensione superficiale da parte di persone di buona volontà è più frustrante dell’incomprensione assoluta da parte di persone di cattiva volontà. Un’accettazione tiepida è molto più sconcertante di un vero e proprio rifiuto.

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Speravo che il moderato bianco capisse che la legge e l’ordine esistono allo scopo di stabilire la giustizia e che quando falliscono in questo scopo diventano le dighe pericolosamente strutturate che bloccano il flusso del progresso sociale. Speravo che il moderato bianco capisse che l’attuale tensione nel Sud è una fase necessaria della transizione da un’odiosa pace negativa, in cui il negro accettava passivamente la sua ingiusta condizione, a una pace sostanziale e positiva, in cui tutti gli uomini rispetteranno la dignità e il valore della personalità umana.

In realtà, noi che ci impegniamo nell’azione diretta nonviolenta non siamo i creatori della tensione. Ci limitiamo a portare in superficie la tensione nascosta che è già viva. La portiamo allo scoperto, dove può essere vista e affrontata. Come un foruncolo che non può essere curato finché rimane coperto, ma deve essere aperto con tutta la sua bruttezza alle medicine naturali dell’aria e della luce, l’ingiustizia deve essere esposta, con tutta la tensione che crea, alla luce della coscienza umana e all’aria dell’opinione nazionale prima di poter essere curata.

Viviamo in tempi turbolenti e il potere della disobbedienza civile è già stato dimostrato dai camionisti in Canada e dagli agricoltori in Germania. La storia è piena di esempi di minoranze determinate che hanno spezzato il potere delle élite, ignorando l’obiezione dei moderati che amano l’ordine piuttosto che la giustizia.

Forse dovremmo tutti tornare a leggere Agostino, Aquino, Thoreau e King. Siamo tutti chiamati all’eroismo di scegliere sempre di agire con giustizia, anche di fronte a una grande opposizione.

15 casi di disobbedienza civile (che hanno fatto la differenza)

Edward Snowden

La situazione sembra disperata, e ogni speranza sembra essere scomparsa.

La nostra generazione non è certo la prima a confrontarsi con questo dilemma. La storia può indicarci altri individui afflitti dallo stesso problema. Persone comuni che di fronte ad ingiustizie di ogni genere hanno osato agire, sfidando l’autorità.

Abbiamo il diritto e l’ obbligo morale di protestare di fronte a casi di ingiustizia politica, economica o sociale. Molti diritti che oggi diamo per scontati – come i diritti umani, i diritti delle donne, i diritti dei lavoratori – sono stati ottenuti in seguito ad attività di protesta.

Implementare cambiamenti è sempre stato difficile, ma dobbiamo ricordare che è possibile.

Il termine disobbedienza civile identifica il rifiuto attivo e non violento di certe disposizioni governative: un modo per segnalare che i cittadini sono disposti ad infrangere la legge per opporsi a misure percepite come ingiuste.

L’obiettivo di un’azione di disobbedienza civile è quello di interrompere la quotidianità ed attirare l’attenzione generale, scatenando dibattiti sulla necessità di cambiare in modo radicale e progressivo alcuni elementi della nostra società e del mondo in cui viviamo.

Un’azione di disobbedienza civile non deve necessariamente essere estrema. Abbiamo tutti il potenziale per essere degli attivisti. Progetti semplici sono spesso alla base di azioni più grandi, e possono essere un’ispirazione per chi non sa bene dove convogliare le proprie preoccupazioni, così da dargli la possibilità di ampliare le proprie conoscenze ed essere parte attiva del cambiamento a livello globale.

A seguire, vi presentiamo 15 esempi di disobbedienza civile verificatisi nell’arco del secolo scorso. Dall’azione solitaria di una giovane donna a Montgomery alle proteste di massa in Scozia e Sudan, tutti questi manifestanti sono rimasti uniti nella loro richiesta di giustizia e nella lotta per un mondo migliore.


Considerate il sesso inferiore, le donne non hanno diritto di voto e non possono partecipare in nessun modo alla vita politica. Ma le donne decidono di opporsi attivamente a quest’ingiustizia.

Atti non Parole.

La battaglia per il suffragio femminile (il diritto delle donne al voto) nel Regno Unito coinvolse gruppi del movimento operaio femminile e l’Unione Nazionale delle Società per il Suffragio Femminile (NUWSS), un’organizzazione più moderata. Credendo nel potere della disobbedienza civile, membri della NUWSS ostacolarono riunioni del Parlamento, si incatenarono in luoghi pubblici, distribuirono manifesti ed organizzarono incontri informativi e seminari.

L’organizzazione militante Unione Femminile Politica e Sociale (WSPU) era invece pronta ad usare qualsiasi mezzo necessario, incluse azioni dirette e spesso violente.

Molte Suffragette continuarono la loro azione di protesta anche dopo essere state arrestate attraverso scioperi della fame.

Le Suffragette sono spesso ritratte come donne benestanti: eppure, migliaia di coraggiose donne membre della classe operaia fecero enormi sacrifici per il movimento, dovendo spesso affrontare punizioni più severe rispetto alle loro controparti con uno status sociale più elevato.

Non tutte potevano permettersi questi sacrifici. Molte donne avevano una famiglia da mantenere, dovendo spesso affrontare turni di lavoro massacranti in fabbrica o come domestiche oltre alla cura dei figli e della casa.

La Legge sulla Rappresentanza del Popolo del 1918 garantì il diritto di voto alle donne inglesi sopra ai 30 anni. Il suffragio universale, ossia il diritto di voto alle donne sopra i 21 anni, come nel caso degli uomini, venne approvato nel 1928.

La vittoria delle Suffragette in Inghilterra fu resa possibile da anni di proteste, lotte ed enormi difficoltà. Ogni donna scelse il proprio ruolo, ed ogni ruolo ebbe la propria importanza.

Le prime donne ad ottenere il diritto di voto furono le Neozelandesi nel 1893. L’Arabia Saudita ha approvato il suffragio femminile nel 2015. Ogni rivoluzione richiede del tempo, ma ogni cambiamento può avere un impatto duraturo sul corso della storia umana.

Leggi per le donne – scritte e approvate da uomini. Dominio Pubblico.

Costretti a pagare prezzi esorbitanti per un bene di prima necessità come il sale, migliaia di indiani marciano verso la vittoria e l’indipendenza.

Il diritto di opporsi al potere

La Tassa sul Sale del 1882 proibiva ai cittadini indiani soggetti alla dominazione coloniale britannica di estrarre, produrre o vendere sale, un minerale essenziale per il metabolismo umano in un paese dal clima caldo e umido come l’India. La legge colpiva soprattutto la popolazione più povera, che non poteva permettersi di comprare il sale venduto dagli inglesi, soggetto a forti tassazioni. I trasgressori venivano arrestati.

Il Mahatma Gandhi lasciò il suo ashram a Sabarmati il 12 Marzo 1930 con 78 persone al seguito, che ben presto divennero decine di migliaia, per intraprendere una marcia di 240 miglia verso il Mare Arabico.

Il gesto simbolico di raccogliere un pugno di sale dal terreno compiuto dal Gandhi il 6 aprile nella città costiera di Dandi rappresentava un’aperta violazione della legge britannica. Gandhi aveva mobilitato il satyagrahi, una filosofia di ostruzionismo non violento.

Migliaia di indiani seguirono l’esempio di Gandhi all’interno del Movimento di Disobbedienza Civile attraverso la raccolta e la compravendita “illegale” di sale in tutto il paese. 60,000 manifestanti vennero arrestati, compreso lo stesso Gandhi, contribuendo ad informare l’opinione pubblica internazionale sulla situazione in India.

La Marcia del Sale (e il successivo Movimento di Disobbedienza Civile) colpì l’Impero Britannico alle fondamenta e rappresentò un momento di svolta nel percorso verso l’indipendenza, raggiunta nel 1947. Fu un semplice atto di disobbedienza civile di grande portata e risonanza, sostenuto da individui con il coraggio e la convinzione di opporsi ad una potenza mondiale.

Quando una ragazza afroamericana viene costretta a cedere il proprio posto ad una donna bianca, gli abolizionisti le danno la forza di non muoversi.

La storia mi tenne incollata al mio posto

All’età di 15 anni, la studentessa Claudette Colvin fu la prima donna afroamericana a rifiutarsi di cedere il proprio posto ad una donna bianca su un autobus nella città di Montgomery, in Alabama.

Colvin dichiarò di aver avvertito la presenza delle abolizioniste Harriet Tubman e Sojourner Truth che la incoraggiarono a non muoversi. Venne allontanata a forza dal mezzo e sottoposta ad attacchi sessisti e razzisti prima di essere arrestata e confinata in una prigione per adulti.

A seguito dell’arresto di Rosa Parks nove mesi più tardi per lo stesso motivo, il Women’s Political Council (WPC), un’organizzazione di donne afroamericane impegnate nel movimento per i diritti civili, distribuì 50,000 volantini con lo scopo di boicottare il sistema dei trasporti di Montgomery. Non appena la notizia cominciò a circolare, molti leader afroamericani di Montgomery si offrirono di appoggiare la causa.

Dal 5 dicembre 1955 al 20 dicembre 1956, circa 40,000 afroamericani rifiutarono di prendere un autobus a Montgomery. Alcuni scelsero di spostarsi a piedi e altri organizzarono programmi di carpooling, mentre i tassisti afroamericani locali offrirono i propri servizi allo stesso prezzo di un biglietto dell’autobus.

I manifestanti erano pronti a continuare finchè l’amministrazione cittadina non avesse soddisfatto le loro richieste, che comprendevano la richiesta di assumere guidatori di autobus afroamericani e garantire una politica di “primo arrivato, primo seduto”. Alla fine, un gruppo di donne di Montgomery portò il caso di fronte al Tribunale Distrettuale nel tentativo di abolire completamente le leggi segregazioniste.

Nel dicembre 1956, la Corte Suprema dichiarò anticostituzionale la segregazione razziale a bordo degli autobus urbani (non di quelli interstatali). Il processo, che terminò il boicottaggio, fu in parte costruito sulla testimonianza di Claudette Colvin.

Seguirono numerose altre azioni di massa, come i Viaggiatori per la Libertà nel 1961, e La Crociata dei Bambini di Birmingham, 1963, in cui centinaia di manifestanti furono brutalmente attaccati ed arrestati.

La segregazione razziale venne ufficialmente abolita solo nel 1964, quando le leggi Jim Crow vennero revocate dal Civil Rights Act.

Duecento persone si trasferiscono nella loro terra ancestrale, lasciandosi alle spalle anni di abusi, e rifiutano di andarsene, lottando perchè la popolazione indigena si veda restituita la propria terra.

Senza la nostra terra non siamo niente

L’anziana guida della tribù Gurindji Vincent Lingiari spinse duecento allevatori ad abbandonare la fattoria privata Wave Hill nel Territorio del Nord per protestare contro i bassi salari, la condizione di povertà diffusa e decenni di abusi. Il “gruppo di sfollati” si stabilì a Daguragu, opponendosi a qualsiasi istanza di abbandonare la zona. La protesta continuò per i successivi sette anni.

I continui sforzi di Lingiari diedero forza ai manifestanti, che vennero presto supportati da altri Australiani non aborigeni. Dieci anni dopo, nel 1975, 3300 km quadrati di territorio australiano vennero restituiti alla tribù Gurindji: fu il primo caso in cui una tribù indigena si vide riconsegnata la propria terra e aprì la strada alla legislatura per i diritti sul territorio.

Nel 1976, la firma della Legge sui Diritti Fondiari degli Aborigeni (Territorio del Nord) permise formalmente alla popolazione indigena di reclamare i propri territori ancestrali.

Un’azione a sostegno dei diritti dei lavoratori contribuì ad una vittoria per i diritti sul territorio.

Quattro uomini entrano in un bar e chiedono da bere, ma lo staff rifiuta di servirli in quanto gay. I quattro rischiano l’arresto per diffondere la propria storia.

Siamo omosessuali

Nella New York del 1966, servire alcolici a clienti omosessuali era considerato illegale. Con il pretesto di disturbo della quiete pubblica, operazioni di ‘pulizia’ cittadine incoraggiavano la chiusura di locali gay e l’arresto di clienti omosessuali in altri locali. Molti videro la propria vita distrutta a seguito di queste misure.

Dick Leitsch, una figura centrale nella lotta per i diritti gay, e tre suoi amici membri della Mattachine SocietyJohn Timmins, Randy Wicker and CraigRodwell—entrarono nel Julius’ bar a Greenwich Village, dichiararono apertamente di essere omosessuali e ordinarono da bere. Questa viene considerata la prima azione organizzata di disobbedienza civile a opera della comunità gay.

Lo staff rifiutò di servirli e l’incidente ricevette ampia copertura mediatica. Nel giro di un anno, il tribunale dello stato di New York pose fine alla pratica di revocare la licenza di servire alcolici con l’accusa di favorire la comunità gay, aprendo così la strada alla nascita dei primi gay bar ufficiali.

Le successive azioni di Leitsch contribuirono a porre fine alle pratiche di arresto indiscriminato a seguito di accuse basate esclusivamente sulla testimonianza della polizia.

Dick Leitsch, 1966

Ispirato dai sit-in di protesta contro la segregazione razziale presso alcune tavole calde, questo è un esempio perfetto di come le azioni non violente di quattro individui coraggiosi contribuirono a grandi cambiamenti sociali e a trasformare l’opinione pubblica.

Mentre una superpotenza mondiale attacca una minuscola isola a colpi di bombe e proiettili, i cittadini rifiutano di arrendersi e continuano a lottare per la propria terra.

Culebra deve restare Culebra

Nel 1970, gli abitanti dell’isola di Culebra organizzarono una serie di proteste contro la Marina degli Stati Uniti, che usava l’isola come zona di addestramento militare.

2000 dei 7000 ettari della superficie dell’isola erano stati espropriati dalla Marina per essere utilizzati come zona di prova di bombardamento. Inoltre, un’area di tre miglia intorno all’isola era stata dichiarata ad accesso vietato, di fatto imprigionando i 700 abitanti dell’isola. Le tradizionali attività di pesca furono rese praticamente impossibili, e ogni forma di allevamento doveva essere condotta su territorio di proprietà della Marina.

Alcuni servizi della rivista LIFE menzionano “gli scricchiolii di bombe da oltre 500 kg, i gemiti degli aerei, i continui spari e il rimbombo dell’artiglieria navale”. Secondo i manifestanti, le missioni di bombardamento, che potevano essere condotte sette giorni su sette, avevano ridotto Culebra in unostato pietoso.’

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I manifestanti continuarono a sostenere il loro diritto di occupare l’intera isola, e in soli tre giorni costruirono una cappella sulla Flamingo Beach, una della principali zone di esercitazione. L’esercito ordinò loro di abbandonare la spiaggia, ma i manifestanti rifiutarono, e sei di loro vennero arrestati. Una settimana dopo, la marina distrusse la cappella.

I manifestanti continuarono ad occupare zone ad accesso limitato, compresa la stessa Flamingo Beach, rimanendo sul posto per settimane. Gli abitanti dell’isola si accamparono sui territori di proprietà della Marina, che vennero anche usati per la costruzione di campi sportivi e cimiteri.

Il presidente del Partito Indipendentista di Porto Rico e uno dei leader delle proteste Rubén Berríos fu condannato a tre mesi di carcere a Porto Rico insieme ad altri tredici attivisti per disobbedienza civile e violazione di proprietà privata.

Nel 1974, tutti i partiti politici di Porto Rico chiesero apertamente alla Marina statunitense di cessare le esercitazioni e abbandonare l’isola. Dopo l’intervento del presidente Nixon, la Marina abbandonò finalmente l’isola nel dicembre del 1975.

Un altro esempio di un manipolo di coraggiosi attivisti uniti nell’opposizione ad una potenza mondiale.

Un sentiero nel Parco Forestale di Pureoa, Waikato.

Un gruppo di amici attivisti si accampa tra i rami di alberi millenari mentre sotto di loro ruspe e motoseghe minacciano di distruggevano la foresta.

Non c’è altro modo

Negli anni 70, gruppi ambientalisti locali cominciarono a concentrarsi sui danni inflitti dall’industria del legname in Nuova Zelanda. Rispetto al 19 secolo, il paese aveva perso due terzi delle sue foreste a causa del taglio e trasporto di legname. A livello mondiale, l’industria del legname in Nuova Zelanda è responsabile per la produzione dell’ 1.1% di legno per la lavorazione industriale e dell’1.3% di prodotti derivati dallo sfruttamento delle foreste.

Una petizione con oltre 350 000 firme venne presentata in Parlamento per chiedere la fine dello sfruttamento intensivo delle foreste e protezione a livello legale per le foreste locali. Nonostante questo, il governo autorizzò l’abbattimento della foresta millenaria di Pureora.

Nel primo sit-in su un alberodella storia, gli attivisti Steven King, Shirley Guildford e altri membri del Native Forest Action Council guidarono le proteste contro l’abbattimento della foresta di Pureora.

Gli attivisti si mossero rapidamente, e ottennero il permesso di campeggiare nella foresta. Si arrampicarono su un gruppo di alberi di totara e chiesero al governo di abbandonare i piani di sfruttamento di Pureora. I manifestanti occuparono la zona costruendo piattaforme e case sugli alberi, e rifiutarono di andarsene. Alcuni si frapposero fisicamente tra gli alberi e le motoseghe. La velocità della loro reazione si rivelò cruciale nel permettere loro di occupare la zona prima che le autorità potessero intervenire.

La protesta attirò l’attenzione del governo e della collettività sul problema della distruzione dell’habitat della foresta, la perdita di biodiversità e la fragilità degli ecosistemi naturali.

La protesta fu un semplice atto di disobbedienza civile intrapreso da un piccolo gruppo di persone consapevoli che petizioni e lunghi dibattiti non avrebbero fermato ruspe e motoseghe. Il sit-in incoraggiò il governo a decretare un’interruzione delle attività di sfruttamento del legname, seguita da un divieto ufficiale a seguito della creazione del Parco Forestale di Pureora in 1978. È ancora possibile arrampicarsi sulla piattaforma creata in occasione della protesta.

Studenti e scienziati si oppongono ai Sovietici nella lotta contro le grandi miniere che inquinano il paese e sfruttano i lavoratori.

Fosforite – no grazie!

Negli anni 60, l’Unione Sovietica cominciò a sfruttare i ricchi depositi di fosforite in Estonia per produrre fertilizzanti. In questo periodo, le falde acquifere del paese furono contaminate a seguito di operazioni di fracking (estrazione di petrolio o gas) su larga scala. Il fluido fratturante usato durante l’estrazione di gas naturale è un cocktail di vari prodotti chimici, tra cui i biocidi, e i liquidi contaminati da questo agente fratturante contengono materiali radioattivi. Le operazioni di fracking rilasciano anche gas tossici che sono stati collegati ad una maggiore incidenza di difetti congeniti nei neonati, problemi neurologici e cancro.

Nel 1987, un’emittente televisiva locale rilasciò un servizio sul progetto dell’Unione Sovietica di aprire un’enorme miniera di fosforite a Virumaa. Il governo sovietico in Estonia era già stato criticato per la sua mancanza di trasparenza, e la notizia scatenò un’estesa campagna di protesta nota come la Guerra della Fosforite.

Inizialmente la censura sovietica si limitò ad oscurare le voci di dissenso, ma la stampa locale presto si schierò dalla parte dei cittadini supportando la loro opposizione alla miniera. Membri dell’Accademia Estone delle Scienze, guidati da Endel Lippmaa, avvertirono della possibile contaminazione di oltre il 40% delle riserve idriche estoni.

La protesta raggiunse il culmine nella primavera del 1987, quando gli studenti dell’università di Tartu organizzarono due manifestazioni pacifiche. Gli attivisti distribuirono cartelli e magliette con lo slogan “fosforite? No grazie!”. Molti musicisti estoni parteciparono alle proteste, e alcune delle loro canzoni divennero simboli di questa lotta.

Nell’ autunno del 1987, il governo estone raggiunse un compromesso con l’Unione Sovietica e la costruzione della miniera venne interrotta. Questa fu la prima protesta con una tale portata nell’Estonia sovietica, che si rivelò fondamentale nel fomentare la resistenza contro l’Unione Sovietica e ristabilire l’indipendenza estone nel 1991.

La Guerra della Fosforite fu un momento fondamentale nella storia ambientalista dell’Estonia. Le proteste contribuirono ad unire la società estone, dando alla popolazione un rinnovato senso di appartenenza alla collettività, e a dimostrare il potenziale dell’azione collettiva. Soprattutto, liberò la popolazione dal terrore.

‘Non estrarrete nella nostra piccola repubblica! Basta con i vostri giochi! Ne abbiamo avuto abbastanza!’ Lettera di un manifestante estone.

Il Regno Unito si mobilita in massa per combattere un sistema ingiusto messo in piedi da un nemico comune – il governo britannico.

Non possiamo pagare! Non vogliamo pagare!

La poll tax (o tassa comunitaria) fu introdotta in Scozia nel 1989, in Inghilterra e in Galles nel 1990. Si trattava di un’unica tassa forfettaria per ogni adulto, senza distinzione di reddito.

Per questo motivo, le famiglie con minor reddito si trovarono costrette a pagare una tassa più alta rispetto agli elettori più abbienti. Si sparse presto la voce che il Duca di Westminster e il suo autista avrebbero dovuto pagare la stessa somma.

Gli scozzesi si opposero duramente alla poll tax a partire dalla sua entrata in vigore, il 1 aprile 1989, e lottarono a lungo per abolirla.

Il 31 marzo 1990, 50,000 persone marciarono pacificamente attraverso il centro di Glasgow per protestare contro la poll tax. Un’azione di resistenza organizzata non permise al consiglio comunale di riscuotere la tassa, impedendo anche alla polizia di arrestare i trasgressori. Il blocco di quartieri residenziali e case private da parte di ufficiali nominati dal tribunale fu una parte cruciale della lotta scozzese.

Manifestanti inglesi e gallesi presero ispirazione dalle proteste in Scozia, ma i risultati non furono altrettanto pacifici. Una protesta a Londra sfociò nelle rivolte più violente della storia cittadina dell’ultimo secolo: oltre 340 manifestanti vennero arrestati, 113 feriti.

Margaret Thatcher, primo ministro in carica, fu ampiamente criticata per il disastro politico e fiscale, e fu costretta a dare le dimissioni. Il suo successore John Major sostituì la tassa comunitaria con un sistema di tasse comunali, vale a dire un sistema di tassazione localizzato basato sul valore di proprietà.

Alla fine del 1990, circa 4 milioni di persone avevano rifiutato di pagare la poll tax rischiando l’arresto. Questa protesta spontanea, riunì esponenti di ogni classe sociale. Come altri manifestanti prima di loro, molti videro la resistenza come l’unica opzione, anche a costo di dover affrontare la prigione.

Il rifiuto di pagare la tassa paralizzò completamente il sistema.

Protesta contro la poll tax.

Grandi corporazioni monopolizzano i brevetti delle sementi nel tentativo di controllare la nostra alimentazione. In tutto il mondo, coraggiosi agricoltori si oppongono a questo sistema rischiando la rovina. Ogni piccola vittoria è importante.

Salvare i semi è un atto politico

A seguito di una battaglia legale internazionale, agricoltori che hanno coltivato e condiviso le proprie sementi per migliaia di anni rischiano di venire giudicati come criminali.

Tre grandi corporazioni dominano tre quarti del mercato dei semi globale. L’attivista per l’ambiente e l’agricoltura Vandana Shiva lotta per abrogare leggi non etiche che privano i contadini del diritto di conservare e scambiare i propri semi. La sua argomentazione si basa sulla nozione che chi controlla le nostre risorse di cibo controlla il mondo.

Questo porta i contadini a perdere la propria autonomia. Devono per forza comprare i semi brevettati dalle corporazioni di sementi. I semi “terminator”, per esempio, sono stati geneticamente mofidicati per diventare sterili dopo il primo raccolto. Oltre a essere molto costosi, richiedono grandi quantità di pesticidi e fertilizzanti artificiali, tutti prodotti offerti a caro prezzo dalle stesse corporazioni. Anno dopo anno, i contadini devono continuare a comprare semi e pesticidi. Quelli che non vengono sommersi dai debiti diventano parte della catena produttiva delle corporazioni.

La biodiversità agricola è fondamentale per contrastare molte delle sfide che dobbiamo affrontare a livello globale, come la comparsa di nuovi tipi di malattie, gli effetti nefasti del cambiamento climatico e difficoltà socio-economiche. La capacità di adattamento di un certo tipo di coltura è sempre stato un elemento importantissimo per la nostra sopravvivenza: eppure, secondo uno studio della FAO, durante il 20 secolo la biodiversità agricola è diminuita del 75% a seguito dei processi di privatizzazione e dell’uso estensivo di monocolture (la coltivazione ininterrotta dello stesso tipo di pianta nella stessa porzione di territorio).

La resistenza contro la privatizzazione dei semi è presente in tutto il mondo. Molti contadini hanno continuato a coltivare varietà di semi locali, rischiando multe e perfino l’arresto. Hanno protestato, scioperato e rifiutato di arrendersi. Qualche volta sono riusciti a vincere. I loro successi, per quanto piccoli possano sembrare, hanno avuto un impatto incredibile per gli individui direttamente coinvolti.

Forse questi agricoltori non riusciranno a cambiare il mondo nell’immediato, ma con i loro sforzi continueranno a cambiare la propria società, e questo a sua volta porterà cambiamenti a livello globale.

Un allevatore di pecore francese trova un modo simbolico per protestare contro l’invasione delle multinazionali smantellando un McDonald un mattone alla volta.

La lotta contro la McDomination

Nel 1999, José Bové con l’aiuto di 300 sostenitori distrusse un McDonald in costruzione a Millau (Aveyron). Con questa azione simbolica, Bové voleva protestare contro la globalizzazione e l’ingerenza delle multinazionali che stavano causando la perdita della sovranità alimentare – vale a dire il diritto ad un alimentazione sana, variata e adatta al contesto culturale prodotta in modo sostenibile. L’azione di Bové esprimeva la preoccupazione dei produttori tradizionali, in Francia come nel resto del mondo.

La protesta di Bové ispirò una nuova generazione di attivisti agricoli, inserendosi all’interno di un movimento più ampio che si opponeva all’ingresso in Europa di prodotti e colture geneticamente modificati.

Bové venne citato in giudizio e si presentò al processo a bordo di un carro, stringendo una forma di formaggio Roquefort. Condannato a tre mesi di prigione, l’allevatore fu salutato da fragorosi applausi e fu scortato in carcere da un convoglio di trattori.

Bové scelse di usare tattiche pacifiche di disobbedienza civile per attirare l’attenzione su gravi problemi sociali e vinse centinaia di sostenitori accettando di scontare la sua sentenza in carcere. La sua protesta fece risuonare preoccupazioni diffuse sulla sicurezza alimentare in Francia, sfidando quella che per molti rappresentava una minaccia all’identità culturale francese.

Questo allevatore di pecore/attivista fu l’ispiratore di un movimento di proteste internazionale che coinvolse la Confederation Paysanne, l’ Associazione per il Supporto dell’Agricoltura Contadina e La Via Campesina, il movimento contadino internazionale. Queste organizzazioni continuano a lottare per difendere i diritti umani, compreso il diritto a controllare le proprie risorse alimentari.

Bové è stato anche uno dei leader del movimento che si battè con successo per proibire la coltivazione di prodotti OGM in Francia e in Europa. (La Spagna e il Portogallo sono gli unici paesi europei a coltivare prodotti OGM). È stato Membro del Parlamento Europeo con il partito dei Verdi dal 2009 al 2019.

Siviglia 2012.

I cittadini esercitano il proprio potere opponendosi allo sfratto mentre il governo e le banche non fanno nulla per aiutare una popolazione in crisi.

Il governo salva le banche: la PAH salva i cittadini

Tra il 2008 e il 2012, la Spagna vide l’esecuzione di 250,000 ordini di sfratto, con una media di 184 sfratti al giorno nel 2013.

Organizzazioni che si opponevano agli sfratti, come la Piattaforma per gli Individui Colpiti da Mutui (PAH) vennero formate a seguito del fallimento da parte del governo spagnolo di sostenere il diritto di tutti i cittadini spagnoli a godere di alloggi sicuri ed economicamente accessibili.

La PAH aveva l’obiettivo di prevenire gli sfratti di massa di decine di milioni di debitori in tutta la Spagna e trasformare case coperte da mutui in nuclei abitativi economici con una riforma dell’Atto Ipotecario, che dava alle banche il diritto di richiedere la completa restituzione di un prestito anche dopo aver ipotecato una proprietà.

La forza di questo movimento si basava sulla sua vasta funzione sociale. I cittadini partecipavano ad incontri settimanali per ottenere maggiori informazioni sui processi burocratici dietro agli sfratti.

La PAH poteva mobilitare dozzine di manifestanti con pochissimo preavviso per bloccare l’accesso a case che stavano per essere ipotecate, e sistemò molte famiglie sfrattate all’interno di case vuote ipotecate da qualche banca. Otto mesi dopo l’inizio delle occupazioni collettive, 20 complessi abitativi erano stati occupati, dando riparo a 1049 persone.

Queste strategie di attivismo politico acquistarono supporto diffuso. Dal momento che molte banche spagnole venivano finanziate dal governo con fondi pubblici, la PAH considerava le proprie occupazioni delle restituzioni legittime.

Oltre ad organizzare manifestazioni, produrre materiale informativo ed interagire con la stampa e le pubbliche istituzioni, la PAH partecipó alle controverse ‘escraches’ – proteste organizzate davanti alle residenze di alcuni politici e al Tribunale di Giustizia Europeo per chiedere la modifica della legislazione sulle ipoteche in Spagna.

La campagna contro gli sfratti si oppose alla retorica dello stato, delle banche e dei promotori immobiliari. Le proteste colpirono il centro del potere spagnolo sfidando gli sfratti messi in atto da istituzioni private finanziate dallo stato.

Nel 2013, la Corte di Giustizia Europea approvò la Proposta di Legislatura Popolare suggerita dalla PAH, costringendo il governo spagnolo a cambiare la Legge sulle Ipoteche e il Codice Civile per ripristinare l’equilibrio tra creditori e debitori.

Un individuo perde la libertà di rendere pubblico l’operato del governo – spiare i cittadini e raccogliere le loro informazioni provate per manipolarli e controllarli.

Denunciare le irregolarità è uno degli ultimi meccanismi difensivi della democrazia

Edward Snowden, esperto di sicurezza informatica, copiò e fece circolare decine di migliaia di documenti strettamente confidenziali ottenuti dall’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA) mentre lavorava per Booz Allen Hamilton.

Edward Snowden

Quando le sue segnalazioni di pratiche non etiche vennero ignorate, Snowden rese pubbliche informazioni top secret sui programmi di sorveglianza condotti da vari governi statunitensi (con la collaborazione di compagnie di telecomunicazioni e altri governi europei).

Il suo obiettivo era quello di attirare l’attenzione pubblica su pratiche di sorveglianza condotte su larga scala in aperta violazione dei principi costituzionali e del diritto individuale alla privacy, suggerendo che in assenza del rispetto degli interessi collettivi da parte del governo, i cittadini hanno il diritto di lottare per difendere i propri diritti.

Le rivelazioni di Snowden condussero a cinque anni di riforme tecnologiche all’interno di grandi compagnie della Silicon Valley, ansiose di ottenere nuovamente la fiducia dei propri clienti. Apple fu la prima azienda a modificare la propria normativa sulla privacy ed aumentare i meccanismi di sicurezza.

Tuttavia, queste rivelazioni non misero fine alla sorveglianza governativa. La battaglia contro la violazione della privacy e la raccolta di dati sensibili continua a tutt’oggi, ma le azioni di Snowden ispirarono un cambiamento culturale, attirando l’attenzione sul problema delle infrazioni governative e aprendo una discussione pubblica sull’infrazione delle libertà civili da parte del governo. A seguito di numerose minacce di morte, Snowden è stato costretto a chiedere asilo politico a Mosca.

Edward Snowden ha agito con grande coraggio per esporre un ingiustizia che affligge tutti noi.

Dopo aver vissuto sotto una brutale dittatura per oltre dieci anni, la popolazione sudanese insorge in una campagna di disobbedienza e resistenza. Li aspetta una dura lotta.

Ricostruiremo il Sudan

L’11 aprile 2019, una ribellione democratica e pacifica che ha visto la partecipazione di migliaia di cittadini sudanesi ha detronizzato il brutale dittatore Omar al-Bashir. Nei suoi 30 anni di governo, sostenuti dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi, al-Bashir ha decimato l’economia sudanese e creato enormi divisioni sociali, imponendo pesanti restrizioni alle donne.

La ribellione ha avuto inizio nelle provincie in reazione all’aumento del costo della vita per poi diffondersi nella capitale Khartoum. Il nord e il sud del paese si sono uniti senza distinzione di classe, etnia o religione per opporsi al regime. I giovani sudanesi erano in prima linea, con donne che incoraggiavano tutte le donne sudanesi a prendere parte alla lotta per la libertà.

Ristoranti, banche e negozi sono stati chiusi. Le strade si sono svuotate. Il paese ha vissuto otto mesi di scioperi e manifestazioni per chiedere la dissoluzione del Partito del Congresso Nazionale (NCP), sostenere la democrazia e i diritti umani, riforme economiche e l’abolizione della legge sulla pubblica sicurezza, designata per escludere le donne dalla vita pubblica.

Dopo l’allontanamento di Bashir, il Consiglio Militare Transnazionale (TMC) è salito al governo, rendendo subito chiara l’intenzione di rendere permanente il trasferimento di potere. Il 3 giugno, dopo una settimana di celebrazioni pacifiche, le Forze di Supporto Rapido hanno aperto il fuoco sui manifestanti che avevano organizzato un sit-in di fronte al quartier generale dell’esercito a Khartoum. L’accesso a Internet è stato bloccato per impedire ai manifestanti di condividere informazioni. Centinaia di persone sono state uccise e violentate nel tentativo di traumatizzare i manifestanti e interrompere il supporto alla rivoluzione.

Ma i cittadini non si sono arresi. Due settimane dopo il massacro, i giovani si sono riorganizzati, chiedendo alla popolazione di partecipare ad azioni prolungate di disobbedienza civile e manifestazioni pacifiche e affermando che non si sarebbero fermati fino all’insediamento di un’amministrazione civile.

Il 17 luglio, il TMC e i manifestanti, rappresentati dalle Forze per la Libertà e il Cambiamento, hanno firmato un accordo per la condivisione del potere.

Il presidente Macron – il più giovane capo di governo francese dai tempi di Napoleone – si scontra con lo scontento e la rabbia della sua popolazione.

Je suis le peuple. Io sono il popolo

La protesta dei Gilet Gialli è stata scatenata da un cambiamento nella legislazione del lavoro (nello specifico un aumento delle tasse sul carburante), ma si è rapidamente trasformata in un movimento per chiedere maggiore giustizia economica e sociale. La popolazione francese si è organizzata attraverso i social in gruppi di “rabbia” (colère), riunendosi in massa a scapito delle differenze socio-politiche.

A seguito delle agevolazioni fiscali garantite ai milionari francesi nel 2017, la pressione fiscale sulla classe media aveva continuato ad aumentare, mentre nelle campagne i livelli di disoccupazione continuavano a crescere e la situazione economica generale non faceva che peggiorare. Tagli ai fondi per i trasporti pubblici avevano costretto gran parte della popolazione francese a dipendere dal trasporto privato. La popolazione rurale e la fetta di popolazione che non poteva più permettersi di vivere in città faticava a sopravvivere.

Blocco stradale dei Gilet Gialli.

Nell’ottobre del 2018, il camionista Eric Drouet incoraggiò i cittadini francesi a organizzare blocchi stradali per il 17 novembre con l’obiettivo di rallentare il traffico per attirare l’attenzione del governo. La protesta vide la partecipazione di circa 290,000 persone.

Ogni guidatore in Francia è obbligato ad avere una giacca catarinfrangente – un gilet giallo – a bordo del proprio veicolo. I guidatori cominciarono ad esporli sul proprio cruscotto, appenderli ai finestrini e decorarli con slogan di protesta, facendoli diventare il simbolo della manifestazione. I gilet gialli ricevettero grande supporto da parte della popolazione. Nel giro di un mese, secondo alcuni sondaggi metà del paese supportava i manifestanti.

Nonostante fosse basata su atti di disobbedienza non violenta come blocchi stradali e campeggi temporani sulle rotatorie, la protesta dei Gilet Gialli è sfociata in una delle peggiori rivolte della storia francese. La maggior parte dei manifestanti prese subito le distanze dagli elementi più violenti, ma questo non impedì violente repressioni da parte della polizia francese.

Dopo cinque settimane di proteste, il presidente Macron fece una decisa inversione di rotta e fu costretto a scendere a compromessi, eliminando la tassa sul carburante e creando il Grande Dibattito Nazionale per invitare i cittadini ad esprimere le proprie preoccupazioni e speranze sullo stato della politica francese.

La disobbedienza civile non è equiparabile all’infrazione della legge. Il fulcro della questione è costituito dalla separazione tra “legale” e “legittimo”. La disobbedienza civile è l’ultima risorsa in circostanze dove altre modalità di protesta come petizioni, manifestazioni o il voto hanno fallito.

Caroline Grebbell & Howard Zinn & Mabule Junior Lekete & Rev. John F. Naugle

Fonti: rebellion.global & howardzinn.org & historyisaweapon.com & cicd-volunteerinafrica.org & medium.com & brownstone.org

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