Voglio un Medico
Ho deciso di scrivere una serie di lettere aperte motivate dal crescente disgusto che alcuni di noi provano di fronte a questo “meticciato” delle idee, a questo violento assalto alla normalità, a questa faciloneria relativistica che invade ogni istante della nostra vita, che ci aggredisce con questa visione entropica, in cui tutto aspira a diventare uguale a tutto. L’aspirazione a creare un popolo di decerebrati, appiattiti su degli slogan (apparentemente “forti”), abbagliati dalla corsa dell’oro come nel far west, vampirizzati dalla comunicazione massificata e digitalizzata, è il sogno di ogni dittatura dove la burocrazia della funzione sostituisce progressivamente la funzione stessa.
Tali lettere, che si opporranno alla burocrazia della funzione, andranno sotto il nome dell’ “erba voglio” quella che le nostre mamme, quando noi esageravamo con le nostre pretese, ci dicevano crescesse solo nel giardino del re; poi imparammo anche che c’era un’altra erba (quella più verde) che, invece, si trovava sempre nel campo nel vicino, accidenti a lui. Delle altre “erbe”, quelle più o meno psicotrope, al momento non ci interesseremo, ma vedremo presto che l’omologia vegetale ben si presta a dimostrare l’alterità, anzi la schizofrenia di un mondo che relativizzando, protocollando e burocratizzando tutto, ha perso completamente il senso del “normale”, costringendosi a ridefinire in continuazione i limiti di legittimità per qualsiasi cosa, a partire dalla salute, dalla sessualità, dalla stessa vita. Ma inseguire questa esponenziale “relativizzazione” che accelera spasmodicamente il cambio dei suoi parametri, richiede una inquisitoria e spocchiosa fede laica, che si sostituisce sempre più a quella “religiosa”. Quindi più che “voglio”, avrei dovuto scrivere “vorrei” perché in questa serie di lettere aperte, che usciranno al ritmo di una alla settimana, esternerò (oggi tutti esternano qualcosa e quindi, perbacco, posso esternare anch’io) alcune nostalgie per delle modalità di vita ormai scomparse, ormai “rottamate” dal materialismo bancario, marxista, capitalista, consumista, populista…o chiamatelo come vi pare ma sempre di materialismo si tratta; quel materialismo che classifica, e poi massifica, affitta e vende tutto: le idee, i valori i principi e ovviamente anche le anime. E quindi farò dei piccoli proclami, poco filosofici, poco catastrofisti, poco misteriosofi e poco complottisti. Cercherò di dire delle cose semplici perché a volte chi si occupa dei massimi sistemi si dimentica come si fa ad aprire una bottiglia. Qui a Simmetria ci sono degli scommettitori che giurano che a tali proclami non ci sarà alcuna risposta; altri immaginano delle accuse di oscurantismo romantico e altri, anche peggio. Per coloro che fossero perplessi e trovassero poco spirituali o poco esoteriche le considerazioni a seguire vorrei ricordare che una vera spiritualità e un vero esoterismo finalizzati al Bene e al Bello, nascono in un terreno Puro, in un terreno Antico, adamitico, in un terreno coltivato, in un terreno reso Fertile da Valori elementari radicati nel Cuore. I nostri avi, nel medioevo, chiamavano l’insieme profondo di tali valori con un nome bellissimo, ineffabile e denso di simboli arcani: “Cortesia”. Partendo da tale premessa la mia ricerca sull’erba voglio inizia volutamente dalla Salute, da Eigheia, la bella figlia di Esculapio, che integra nella pentade pitagorica, tutto ciò che contraddistingue la via del ripristino della “normalità” nell’uomo. La salute del corpo e dell’anima, cose tra loro inscindibili[1]. E la Salute dovrebbe essere il campo di studi del Medico. La radice semiologia di medico, e di medicina è med da cui “mederi”, curare. Come ben sappiamo tale radice è la stessa di meditare. Meditazione e medicina furono quindi… parenti assai strette e, fino a qualche decina di anni fa, in alcuni casi, lo erano ancora.
Per tale ragione, con fede e con protervia, voglio finalmente andare alla ricerca di un medico, un medico vero!! Lo cerco da circa 59 anni: da quando ancora bambino scoprii che l’ultimo dei Moicani, il mio vecchio medico di famiglia, non c’era più ed era stato sostituito da un segaligno e frettoloso dottore che non mi piaceva affatto e che aveva fretta, perennemente fretta. Il vecchio dottor Ciancarelli, invece, non aveva mai fretta; veniva sempre a casa perché, parole sue, il luogo migliore dove curarsi è la casa. Sosteneva, e poi perfino la ricerca statistica gli ha dato ragione, che gli ospedali sono dei centri micidiali per la diffusione delle malattie. Insomma si entra per curarsi gli occhi e si esce con una infezione intestinale. Non credo di aver mai visto lo studio del dott. Ciancarelli o forse, si, una volta che andammo a fargli visita con mia madre. Aveva uno studio elegante, silenzioso armonico e c’era sempre della musica classica che proveniva da qualche parte.
Quando arrivava a casa mia, si sedeva vicino al mio letto e in genere diceva: “mamma mia, che malato grave!” Poi mi guardava il colore degli occhi, mi palpava sotto il collo e mentre proseguiva la sua scrupolosissima visita mi parlava delle marachelle dei suoi figli, e poi voleva sapere come ero andato a scuola. Mi chiedeva quale materia mi piacesse di più, e in quale avessi dei problemi. Voleva sapere tutto su quell’acida della professoressa di scienze e io mi sfogavo e gli raccontavo di quali iniquità fosse stata capace; nel frattempo mi visitava ogni centimetro quadrato di pelle. Con calma tirava fuori il suo fonendoscopio e dopo, poiché non si fidava degli strumenti, neanche di quelli più semplici, appoggiava l’orecchio sulla mia schiena. Con calma e serenità. Mi bussava come un tamburo, e mi faceva dire “trentaquattro” perché (e io ci ridevo moltissimo), trentatre era… troppo poco. Molti anni dopo mio padre mi spiegò che si riferiva ai gradi massonici, perché il suo ex primario, con cui non andava d’accordo, era massone. Il dottore mi sentiva l’alito, guardava le urine, e voleva sapere per filo e per segno cosa avevo mangiato e come si svolgevano le mie funzioni biologiche. Ovviamente mi sentiva il polso per molti minuti, le ghiandole, la pancia. Insomma stava mezz’ora a rivoltarmi come un calzino. In genere cercava di non darmi proprio nulla; solo qualche cosa per abbassare la febbre.
In casi più gravi prescriveva pochissime medicine e mi consigliava una dieta, ogni volta diversa, a seconda della malattia. A volte mandava i miei a comprare delle erbe che, a Roma, si trovavano solo in alcune vecchie farmacie. Cataplasmi da mettere sul petto o sulla parte malata, e inalazioni con olii e erbe da annusare sotto l’asciugamano a profusione. In genere rimproverava mia zia che abbassava la luce e chiudeva le persiane: “Spalanchi tutto e cambi un po’ l’aria, altrimenti ‘sto ragazzo crede di star male davvero!”. Dopo un po’ arrivava la mia mamma con la faccia ovviamente preoccupata, e gli offriva il tè. Lui accavallava le gambe, si appoggiava alla poltrona, e lo prendeva con noi, sorridendo sotto i suoi accattivanti baffoni (tipo quelli del signore che fa la pubblicità alla birra Moretti); infine, dopo aver tranquillizzato mia madre, immancabilmente, iniziava a parlare piacevolmente di astronomia e di filosofia con mio padre. Era uno degli ultimi medici ad essersi laureato in filosofia e medicina. Eh già: una volta le lauree in medicina erano precedute da quella in filosofia o a volte in teologia. Strano? No, no: era proprio così. E poiché questo vuole essere un articolo semplice per uomini semplici, non mi soffermerò sui significati e le modalità di conseguimento di tale laurea. Insomma Ciancarelli non era un dottore ma era un medico. Quando se ne andava (mai prima di un’ora e mezza) mi dispiaceva sempre. Era un amico, amico dei miei, un conoscitore del corpo e dell’anima di ognuno, e questo portava ad un rapporto di fiducia totale, che durava da decenni.
Per tale ragione, con fede e con protervia, voglio finalmente andare alla ricerca di un medico, un medico vero!! Lo cerco da circa 59 anni: da quando ancora bambino scoprii che l’ultimo dei Moicani, il mio vecchio medico di famiglia, non c’era più ed era stato sostituito da un segaligno e frettoloso dottore che non mi piaceva affatto e che aveva fretta, perennemente fretta. Il vecchio dottor Ciancarelli, invece, non aveva mai fretta; veniva sempre a casa perché, parole sue, il luogo migliore dove curarsi è la casa. Sosteneva, e poi perfino la ricerca statistica gli ha dato ragione, che gli ospedali sono dei centri micidiali per la diffusione delle malattie. Insomma si entra per curarsi gli occhi e si esce con una infezione intestinale. Non credo di aver mai visto lo studio del dott. Ciancarelli o forse, si, una volta che andammo a fargli visita con mia madre. Aveva uno studio elegante, silenzioso armonico e c’era sempre della musica classica che proveniva da qualche parte.
Quando arrivava a casa mia, si sedeva vicino al mio letto e in genere diceva: “mamma mia, che malato grave!” Poi mi guardava il colore degli occhi, mi palpava sotto il collo e mentre proseguiva la sua scrupolosissima visita mi parlava delle marachelle dei suoi figli, e poi voleva sapere come ero andato a scuola. Mi chiedeva quale materia mi piacesse di più, e in quale avessi dei problemi. Voleva sapere tutto su quell’acida della professoressa di scienze e io mi sfogavo e gli raccontavo di quali iniquità fosse stata capace; nel frattempo mi visitava ogni centimetro quadrato di pelle. Con calma tirava fuori il suo fonendoscopio e dopo, poiché non si fidava degli strumenti, neanche di quelli più semplici, appoggiava l’orecchio sulla mia schiena. Con calma e serenità. Mi bussava come un tamburo, e mi faceva dire “trentaquattro” perché (e io ci ridevo moltissimo), trentatre era… troppo poco. Molti anni dopo mio padre mi spiegò che si riferiva ai gradi massonici, perché il suo ex primario, con cui non andava d’accordo, era massone. Il dottore mi sentiva l’alito, guardava le urine, e voleva sapere per filo e per segno cosa avevo mangiato e come si svolgevano le mie funzioni biologiche. Ovviamente mi sentiva il polso per molti minuti, le ghiandole, la pancia. Insomma stava mezz’ora a rivoltarmi come un calzino. In genere cercava di non darmi proprio nulla; solo qualche cosa per abbassare la febbre.
In casi più gravi prescriveva pochissime medicine e mi consigliava una dieta, ogni volta diversa, a seconda della malattia. A volte mandava i miei a comprare delle erbe che, a Roma, si trovavano solo in alcune vecchie farmacie. Cataplasmi da mettere sul petto o sulla parte malata, e inalazioni con olii e erbe da annusare sotto l’asciugamano a profusione. In genere rimproverava mia zia che abbassava la luce e chiudeva le persiane: “Spalanchi tutto e cambi un po’ l’aria, altrimenti ‘sto ragazzo crede di star male davvero!”. Dopo un po’ arrivava la mia mamma con la faccia ovviamente preoccupata, e gli offriva il tè. Lui accavallava le gambe, si appoggiava alla poltrona, e lo prendeva con noi, sorridendo sotto i suoi accattivanti baffoni (tipo quelli del signore che fa la pubblicità alla birra Moretti); infine, dopo aver tranquillizzato mia madre, immancabilmente, iniziava a parlare piacevolmente di astronomia e di filosofia con mio padre. Era uno degli ultimi medici ad essersi laureato in filosofia e medicina. Eh già: una volta le lauree in medicina erano precedute da quella in filosofia o a volte in teologia. Strano? No, no: era proprio così. E poiché questo vuole essere un articolo semplice per uomini semplici, non mi soffermerò sui significati e le modalità di conseguimento di tale laurea. Insomma Ciancarelli non era un dottore ma era un medico. Quando se ne andava (mai prima di un’ora e mezza) mi dispiaceva sempre. Era un amico, amico dei miei, un conoscitore del corpo e dell’anima di ognuno, e questo portava ad un rapporto di fiducia totale, che durava da decenni.
Ai tempi del Dott Ciancarelli capitò più volte che avessimo bisogno di interventi ospedalieri. Era lui a prendersi cura di tutto, consigliava dove rivolgersi, dava riferimenti e, salvo urgenze imprevedibili, intendeva sempre parlare prima con l’altro medico o chirurgo dal quale fossimo andati. Una volta fu lui stesso a portare mio padre in ospedale per un’ernia, con la sua vecchia auto malandata. Follia? Ecco io voglio un medico così, senza tre telefonini per ogni tasca e un elenco mutuati grande come un vocabolario. Non m’interessa che abbia conseguito tre “phd” e specializzazioni multiple sulla fenomenologia dell’orticaria primaverile o sulla tolleranza al fumo nei pazienti sopra gli 80 anni. Non voglio neanche un supermedico con uno studio ipertecnologico, con le poltrone anatomiche e gli effetti speciali. Non voglio un medico che svolazzi con il suo camice tra le corsie degli ospedali-lager, leggendo cartelle asettiche e affidando i protocolli alla sua corte di praticanti. Voglio un medico che non vada ai convegni delle multinazionali farmaceutiche e che non mi prescriva esattamente quei prodotti sponsorizzati dalle suddette multinazionali, ma scelga con coscienza. I principi attivi della medicina sono pochi, anzi pochissimi. I prodotti che li usano e invadono il mercato sono invece migliaia. La differenza consiste nel produttore nel colore della confezione…e nel prezzo.. Voglio un medico che abbia scelto questa facoltà perché desideroso di dedicare la sua vita ad alleviare la sofferenza degli altri. Non lo voglio allopatico, né omeopatico, né sinergetico, né ayurvedico. Voglio un medico che abbia voglia di parlare della mia vita ma anche della mia morte. Voglio che abbia un’anima e che prima di tutto, abbia voglia di curarmi e di guarirmi. Che s’intenda di fisiognomica e che capisca come sto dal tono della mia voce. Voglio un medico che sappia avere compassione (esattamente il contrario della separazione emotiva consigliata ai neolaureandi). Voglio un medico che non abbia fretta, che sappia ascoltare il paziente e che comprenda che tra paziente e medico l’essere più importante è il paziente. Il paziente è il centro, lui è l’oggetto ma è anche il soggetto. Lui va trattato con riguardo, lui soffre. Lui non è un numero. E maledetto sia colui che tratta male il paziente, e gli da del tu senza esserne stato autorizzato! La “sanità”, ormai lo sappiamo tutti, è l’affare più grande di questo secolo; altro che petrolio! Un mondo di longevi, tutti più o meno malandati, tutti bisognosi di analisi e medicine a pioggia, rappresenta un Pil spaventoso. Siamo certi che tutti coloro che tengono le fila di questa prodigiosa macchina per fare soldi abbiano interesse a farci star bene e non, piuttosto, a tenerci ammalati il più a lungo possibile come le mucche degli allevamenti intensivi? Ecco, voglio un medico che si sottragga a tale macchina infernale e che se ne freghi dei protocolli. Voglio, e questo forse è proprio troppo, un medico che sappia pregare quando si sente incapace di risolvere un problema. Esiste ancora un fenomeno paranormale del genere? Se esiste è pregato di scriverci. Stiamo fondando una società di professionisti che credono nella loro professione e non solo nei soldi, e che vedano nella “cura” il vero senso del loro lavoro. Cura parola antica forse dalla radice kwei (sollecitudine, impegno amorevole verso ciò di cui ci si occupa al fine di trasformare in salute (salus-salvezza) ciò che prima era malattia, cercando i metodi più semplici possibili e il contatto continuo con ciò che va curato). Ma non ho finito qui. Nei prossimi editoriali la mia ricerca si estenderà verso tematiche sempre più elementari, minimali. Forza, amici della filosofia, dell’alchimia, dell’ermetismo, della spiritualità: andiamo nel mondo delle cose semplici. Magari sono meno semplici di quanto sembra.
C.Lanzi
Fonte: www.simmetria.org