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Dresda: Il Più Gigantesco Crimine di Guerra Occultato dalla Storia che ci Potrebbe Oggi Insegnare Molte Cose

La storia dei vincitori non è mai uguale a quella dai vinti, di fatto la prima è la sola che ci viene data a conoscere e nasconde quanto di male le generazioni successive avrebbero a disposizione per non commettere gli errori del passato.

C’è un comune denominatore comune che balza all’occhio una volta che si viene a conoscenza degli eventi drammatici della guerra, ed è quella che di fatto vede uno sparuto numero di persone al potere che gioca alla roulette russa e da a credere alle masse che la questione è di vitale importanza, fermo restando che la pistola puntata sulla tempia non è mai su di loro, è un gioco mortale questo, lo avrete capito e chi ne paga le conseguenze non ha molte prospettive, vivere o morire, ecco che da li ognuno si fa portavoce della libertà e della giustizia e si presta al gioco di chi ha tutto da guadagnare dalle nefaste conseguenze delle proprie velleità che non hanno nulla a che vedere con quello che il popolo pensa, ignaro che sarà l’unico a pagarne le ripercussioni.

Si combatte un nemico che non si conosce se non per sommi gradi (Lingua, colore della pelle, cultura, ecc) e che fino al giorno prima andavano allo stadio per vedere la loro squadra del cuore, con un lavoro, una famiglia e dei figli che condividono le piccole gioie della vita quotidiana di tutti i giorni.

Ma che cosa è veramente di vitale importanza nessuno se lo è mai domandato alla luce degli esiti catastrofici che le guerre hanno perpetrato nei secoli, perché vedete, da li non si scappa, una volta portato a termine ogni conflitto tutto viene risolto dai reciprochi contendenti i quali seduti su un tavolo discutono sul da farsi, come se questo non avessero potuto farlo anche prima, solo che sulla base di 57 milioni di persone morte come nella 2 guerra mondiale, i vincitori possono stabilire delle nuove regole che accrescono il loro potere e giustificano ogni genocidio dando in pasto ai sopravvissuti il glorioso ricordo di chi non c’è.

Chi invoca la guerra e la supporta ha sempre la vocazione a farla fare agli altri, ecco che da li ogni responsabilità viene meno perché prima di mettere in moto questa trappola mortale, con una sapiente propaganda da a credere alle masse che sono tutti in pericolo, ignare che l’unica minaccia viene da chi gioca con gli esseri umani dove la posta in palio ha sempre un vincitore che volente o nolente costerà lacrime e sangue e tanti, tantissimi morti, il cui concime una volta dato seguito al corso degli eventi non farà altro che ripetere una storia già vista.

Se 8 miliardi di persone sono state con estrema facilità indotte a iniettarsi un vaccino letale per salvaguardare la propria vita, temo sarà un gioco da ragazzi indurli a fare la guerra e garantirsi una morte quasi certa, con la garanzia di godere del privilegio di avere due medaglie o tre da li all’eternità.

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Il più gigantesco singolo crimine di tutta la storia delle guerre

La sera del 13 febbraio del 1945 Dresda era intatta. Via via che l’avanzata dell’Armata rossa metteva in fuga le popolazioni orientali del Reich, la capitale degli Elettori di Sassonia, la “Firenze del Nord”, vide raddoppiare i suoi 630.000 abitanti.

Dresda prima del Genocidio

I profughi erano anziani, donne, bambini, malati, feriti, forse centomila prigionieri di guerra, per lo più francesi, che vivevano nelle fattorie, addetti ai lavori agricoli.

La guerra era alla fine, l’illusione di aver evitato la morte dal cielo li compensava dell’imminente invasione sovietica.

Ma a loro pensavano due specialisti: Arthur Harris “il macellaio” per gli inglesi, e Jimmy Doolitle per gli americani; al suo collega Carl A. Spaatz, la Wehr**cht aveva appena decretato la «piuma bianca», che nelle tradizioni militari inglesi significa viltà e disonestà, per il bombardamento di Berlino del 3 febbraio.
Doolitle se la conquistò con Dresda.

Due incursioni notturne preparavano gli inglesi, e una diurna gli americani: nell’insieme, una fornace mai vista, di esseri umani, palazzi, chiese, opere d’arte.

Per nascondere agli equipaggi che obiettivi dell’attacco erano solo civili, profughi e vecchie case di legno, gli raccontarono diverse bugie: Dresda era una città “fortificata”, centro di produzione di armamenti. Alle obiezioni di molti piloti contro la distruzione del centro, risposero che proprio questo ospitava, da alcuni giorni, il quartier generale della Wehr**cht.

A Dresda i soli obiettivi di qualche interesse militare, i ponti sull’Elba e l’aeroporto, non furono neppure attaccati. Uccidere i civili, uccidere i profughi, uccidere e incenerire esseri umani, ecco lo scopo dell’incursione.

Mai altrettanti esseri umani furono sterminati in un giorno solo. Mai per ragioni altrettanto futili. Mai in modo altrettanto feroce.

Mentre si è negato all’ultimo furiere della Wehr**cht il diritto di scolparsi con l’obbedienza agli ordini, per decenni i Marescialli della Raf si nascosero dietro il ministero, e il ministero dietro il Gabinetto e il Gabinetto dietro incogniti «altissimi responsabili», così salendo fino al primo ministro che, come ne fosse scottato, respingeva i fantasmi di Dresda sul ministero, e il ministero di nuovo sui militari.

Con l’aiuto americano, la Raf uccise, in quattordici ore, da cento a duecento mila civili innocenti. 135.000, ha calcolato Irving; «ma potrebbero essere anche 275.000», secondo la Croce rossa internazionale di Ginevra.

Risultò impossibile un calcolo esatto per le decine di migliaia di vittime incenerite, e per la massa di profughi e stranieri non registrata.

La bomba atomica di Hiroshima uccise 71.000 persone subito e molte migliaia più tardi.

All’esordio, le bombe da quattro e diecimila chili, con la loro immensa onda d’urto, dovevano frantumare i vetri delle finestre e far saltare i fragili tetti a punta dell’età di Dürer e Lutero.

Alle case scoperchiate, 650.000 bombe e spezzoni incendiari e i bidoni di fosforo avrebbero appiccato il fuoco; cascate di scintille, infiltrandosi tra le finestre e i tetti, si sarebbero mutate in torrenti di fiamme.

Con la sua coltre di bombe esplosive, la seconda ondata doveva trasformare l’incendio in rogo, annientare i soccorsi, riempire di gas venefici la città assassinata.

I bombardieri americani avrebbero inferto il colpo di grazia e i caccia bombardieri che li scortavano sarebbero scesi a mitragliare quel che ancora vivesse ai margini del macello.

Era il martedì grasso, e la città festeggiava, alla meglio, il Carnevale. L’Opera, sacra ai trionfi di Strauss, rappresentava il “Rosenkavalier”, nel Gran Circo Sarassani stava cominciando la parata finale, i bambini indossavano maschere e costumini colorati, coi quali addosso scesero a migliaia (da 25.000 a 50.000) nelle fosse comuni, o furono inceneriti nei cumuli all’aperto.

I treni nella stazione, gremiti di gente, erano così lunghi, che si perdevano nella campagna.

Alle 22:13, guidati dai bengala, 244 quadrimotori «Lancaster» si avventarono sulla preda.
Città aperta di fatto, Dresda non era difesa da cannoni o proiettori. La caccia notturna non poté alzarsi, perché nel vicino aeroporto le piste dovevano accogliere, quella notte, gli aerei che lasciavano le basi a oriente, e il comandante dell’aeroporto, interrotte le linee con Berlino, non osò dare, ai piloti dei Messerschmitt Me.110, già pronti nelle cabine, l’ordine che aspettavano, mentre Dresda, a sette miglia, moriva: «Dresda annientata, e noi fermi a guardare. Com’è possibile?», scrisse un pilota nel diario: «Povera Patria».

Gl’incendi arroventavano l’aria che, alleggerendosi, provocava uragani di vento infuocato a duecento chilometri l’ora e mille gradi, suscitando altri incendi. Le esplosioni, la temperatura, la mancanza di ossigeno spinsero torme di dispersi nelle gelide acque dell’Elba, dei canali, dove trovarono i rivoli di fosforo che colavano dalle strade.

I 529 quadrimotori della seconda ondata giunsero su Dresda all’1:30, guidati dall’immenso braciere che si scorgeva da 150 chilometri.

Autostrade e accessi erano affollati di autocarri: soccorritori e pompieri correvano da Chemnitz, da Lipsia, da Berlino, a farsi sterminare nella fatica senza speranza.

Gli zelanti fecero quel che il macellaio si aspettava da loro, e annientarono colonne di soccorso, ambulanze, pompieri. I corpi fusi nelle strade, appiccicati all’asfalto.

Par forse materialista rimpiangere la stupenda Dresda, che fino a quel giorno aveva conservato il volto dorato che le aveva dipinto Bernardo Bellotto?

Lo scempio di Dresda opera d’arte è un delitto che il passare del tempo non farà perdonare. Non deve essere perdonato.

Quando i bombardieri «Lancaster» della seconda ondata si posarono sui loro atterraggi, decollarono 1.350 «Fortezze volanti» e «Liberators»: 450 per dare il colpo finale a Dresda, gli altri per devastare Chemnitz e Magdeburgo.

A mezzogiorno e un quarto, un nuovo uragano di bombe scese a casaccio dentro la nuvola nera che copriva le rovine di Dresda, e alle 12:23 i P.51 «Mustang» della scorta si precipitarono a mitragliare i veicoli che uscivano dalla città.

Fuggirono gli animali dallo zoo e dal circo annichilito, si udivano le scimmie strillare, si videro i cammelli impazziti aggirarsi tra signore morte in abito da sera e cadaverini vestiti da Pierrot.

Nella città antica, la ricerca dei cadaveri durò più di un mese.

Le fosse comuni non bastavano e immense pire furono erette al centro di quel ch’era stato il superbo Altmarkt, su travi e rotaie incrociate, dove migliaia di innocenti accatastati bruciarono per settimane al centro della loro città vigliaccamente assassinata.

Infine venne l’Armata rossa a ereditare la rovina che gli alleati occidentali avevano allestito, e così le decine di migliaia di fedi matrimoniali e i preziosi trovati addosso ai morti, trovarono un padrone.
Trecento impiegati che lavoravano a identificare le vittime furono licenziati, al direttore Voigt ne lasciarono tre, con l’ordine di trasferirsi in un ufficio più piccolo, coi suoi 80.000 documenti e tessere annonarie.

In una baracca dell’Abteilung Toten, dove erano ammassate altre montagne di documenti trovati sui cadaveri, l’Armata rossa trovò più conveniente sistemare una sua unità di venti suini vivi, per i suoi comodi alimentari.

Le tessere furono bruciate, dissero, a causa del loro odore ripugnante.

Il 13 febbraio 1946, le campane che restavano a Dresda e nei dintorni si misero a suonare, e come un’ondata il suono si propagò, superò le linee di demarcazione, giunse di città in città, di campagna in campagna, fino al Reno.

Questo non è Auschwitz ma Dresda

La protesta dei vinti si esprimeva con l’ultima voce che a loro restava.

Da allora la città assassinata, tutte le città assassinate con le centinaia di migliaia di innocenti che vi morirono arsi e straziati, aspettano ancora che, oltre le ipocrite cerimonie e l’accensione di candele, il vincitore di allora riconosca che fu un assassinio.

Alla fine dell’estate del 1944, “ci sono prove che gli Alleati occidentali stavano pensando a una terribile ma rapida fine della guerra, commettendo un’atrocità che avrebbe terrorizzato il nemico fino alla resa immediata. Senza dubbio, la verità interiore deve ancora essere svelata, ma il filo del pensiero può essere individuato”.

“I comandanti dei bombardieri non erano interessati a obiettivi puramente militari o economici ….. Quello che cercavano era una grande area edificata da poter bruciare …. L’attrattiva di Dresda per il comando dei bombardieri era che il centro della città avrebbe dovuto bruciare facilmente e magnificamente, come in effetti avvenne”.

Al momento degli attacchi del 13-14 febbraio 1945, gli abitanti di Dresda erano per lo più donne e bambini, molti dei quali erano appena arrivati come rifugiati dall’Est. C’era anche un gran numero di prigionieri di guerra alleati. Pochi maschi tedeschi in età militare erano rimasti nei dintorni della città. L’autore cita la storia ufficiale del Bomber Command preparata da Sir Charles Webster e dal dottor Noble Frankland, che rivela che “gli sfortunati, congelati, affamati rifugiati civili furono il primo oggetto dell’attacco, prima dei movimenti militari”.

Dresda era praticamente indifesa. I caccia della Luftwaffe di stanza nelle vicinanze erano a terra per mancanza di carburante. Ad eccezione di alcuni cannoni leggeri, le batterie antiaeree erano state smantellate per essere impiegate altrove. McKee cita un partecipante britannico al raid, che riferisce che “il nostro più grande problema, in verità, era la possibilità di essere colpiti dalle bombe di altri Lancaster che volavano sopra di noi”.

Non furono colpiti obiettivi di reale importanza militare, che non erano nemmeno stati inclusi nella lista ufficiale degli obiettivi. Tra gli obiettivi militari trascurati c’era il ponte ferroviario sul fiume Elba, la cui distruzione avrebbe potuto bloccare il traffico ferroviario per mesi. Anche le stazioni di smistamento ferroviario di Dresda erano fuori dall’area di tiro della RAF. L’importante ponte dell’autostrada a ovest della città non fu attaccato. Le macerie degli edifici danneggiati hanno interrotto il flusso del traffico all’interno della città, “ma in termini di rete di comunicazione del fronte orientale, il trasporto su strada non è stato praticamente compromesso”.

Nel corso dei raid diurni dell’USAF, i cacciabombardieri americani hanno bombardato i civili: “Tra queste persone, che avevano perso tutto in una sola notte, si scatenò il panico. Donne e bambini furono massacrati con cannoni e bombe. È stato un omicidio di massa”. Gli aerei americani attaccarono persino gli animali dello zoo di Dresda. L’USAF era ancora in azione alla fine di aprile, con i Mustang che bombardavano i prigionieri di guerra alleati scoperti a lavorare nei campi.

L’autore conclude che “Dresda era stata bombardata per motivi politici e non militari, ma ancora una volta senza effetto. C’è stata miseria, ma non ha influito sulla guerra”. Alcuni hanno suggerito che il bombardamento di Dresda doveva servire come avvertimento a Stalin del tipo di distruzione che le potenze occidentali erano in grado di fare. Se questo era il loro intento, di certo non raggiunsero l’obiettivo.

Una volta trapelata la notizia che i raid di Dresda erano generalmente considerati attacchi terroristici contro i civili, i maggiori responsabili dei bombardamenti cercarono di evitare la loro giusta parte di responsabilità. McKee sottolinea che:

“Sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti si è dovuto ricorrere a un alto livello di sofisticazione per scusare o giustificare i raid, o per incolpare qualcun altro. È difficile pensare a qualsiasi altra atrocità – e ce ne sono state molte nella Seconda guerra mondiale – che abbia prodotto un seguito così straordinario di polemiche spregiudicate e mendaci”.

“Era stato lo stesso Primo Ministro a firmare la condanna a morte di Dresda, eseguita da Harris [capo del Bomber Command della RAF]. Ed era stato anche Churchill, che all’inizio aveva appoggiato con entusiasmo i marescialli dei bombardieri nell’attuare la politica di bombardamento indiscriminato dell’area in cui tutti credevano. Erano tutti coinvolti. Lo stesso Portal [capo della RAF, Harris ovviamente], Trenchard [teorico dell’aria britannico] e soprattutto il Primo Ministro. E molte altre persone meno importanti”.

Un aspetto del bombardamento di Dresda che rimane ancora oggi un interrogativo è il numero di persone morte durante gli attacchi del 13-14 febbraio 1945. La città era affollata da un numero imprecisato di rifugiati e da molti prigionieri di guerra in transito quando avvenne il bombardamento. Il numero esatto delle vittime non sarà mai noto. McKee riteneva che le cifre ufficiali fossero sottovalutate e che fossero morte tra le 35.000 e le 45.000 persone, anche se “la cifra di 35.000 per il solo massacro di una notte potrebbe essere facilmente raddoppiata a 70.000 senza timore di esagerare”.

Valentina Carnielli & Kevin Alfred Strom

Fonte: Una Nazione in Coma & nationalvanguard.org

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