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L’ INTERVAL TRAINING

Nella storia della preparazione atletica, questo rapporto tra volume dello sforzo e tempo in cui può essere mantenuto, ad un certo punto è stato sentito come un limite, in quanto impediva all’atleta di esercitarsi per un tempo sufficiente in una condizione di lavoro superiore a quella dello steady state.

Sulla scorta di questa necessità ad un certo punto si pensò dunque di “istituzionalizzare” i periodi di scompenso energetico. Il ragionamento dev’essere stato più o meno questo: se serve arrivare a delle prestazioni più elevate rispetto a quelle offerte dallo steady state, ma queste possono essere mantenute solo per un periodo relativamente breve, ecco che per “stare nella zona rossa” molto tempo, si può pensare di restarci per una serie di periodi intervallati anzichè in modo continuo. Ma se si somma il tempo di tutti questi singoli periodi, si vede che alla fine della seduta di allenamento si è restati nella zonea rossa (e quindi ad un livello di prestazioni molto elevato) per un periodo totale molto lungo.

In altre parole, l’atleta può contrarre molti debiti di ossigeno uno dopo l’altro, sapendo che dopo ciascun debito si può ristabilire le condizioni di parità , in ciascun intervallo che segue ciascun periodo. Probabilmente l’interval training è nato come idea di recuperare le condizioni di base dopo un periodo di sforzo intenso.

Si è visto tuttavia che l’allenamento migliore non si ha recuperando le condizioni metaboliche di base (quando non si ha sforzo, si è in condizioni di riposo assoluto ) ma quando si è ad un livello superiore, che comporta comunque un certo aumento forzato del metabolismo. In altre parole, si è visto che i migliori risultati non si hanno intervallando il massimo sforzo ( con le condizioni del metabolismo quando si ha il riposo assoluto, ma intervallando il massimo sforzo con un metabolismo subito al di sotto della soglia in cui si può recuperare le energie .

La cosa dev’essere molto chiara: se uno fa una seduta di allenamento e dopo ogni sforzo deve attendere che le condizioni metaboliche scendano al livello che si ha quando uno si è appena alzato da letto al mattino, addio: si possono fare due o tre sforzi in un pomeriggio. Occorre invece ripartire ad allenarsi di nuovo impegnando il massimo sforzo non appena le condizioni di recupero lo consentono.

Da questa osservazione (probabilmente sorta come regola di buon senso) è sorta una tecnica di allenamento che poi è stata studiata molto da medici, studiosi, fisiologi e allenatori. Si comprende come la massima attenzione viene posta alla durata degli intervalli (secondo alcuni l’intervallo è più importante del periodo di sforzo!) . In effetti la qualità dell’allenamento in interval-training non di rado dipende più dalla scelta precisa degli intervalli che da quella del periodo di lavoro o della sua intensità.

L’attenzione dell’interval training è dunque accentrata sull’intervallo

GLI EFFETTI DELL’ INTERVAL TRAINING

*Intervallare lo sforzo con dei periodi di recupero consente dunque di poter effettuare uno sforzo più a lungo. Se si sommano i periodi di sforzo in cui si contrae debito di ossigeno, si vede che il tempo totale in cui si è tenuto elevata la prestazione muscolare è molto superiore al periodo che si avrebbe se si fosse lavorato senza intervalli.

*Ma si è visto che i vantaggi dell’interval training non finiscono qui. Dopo molte analisi e misurazioni si è visto che nel periodo di recupero (che per facilitare le cose viene approssimato a 30”) si ha

1-una riduzione dei battiti cardiaci. E’ naturale: dopo il periodo di sforzo, e passando alla fase di riposo, il nuimero dei battiti tende a diminuire.

2-Mentre i battiti del cuore diminuiscono l’ossigeno in viaggio verso la periferia aumenta, perchè al termine dello sforzo il tasso di ossigeno resta alto, ma mancando lo sforzo non si costituisce più altro debito di ossigeno, e quindi il saldo è positivo.

3-il coefficiente respiratorio (rapporto tra tasso di ossigeno e ossigeno consumato) aumenta.

4-una riduzione del numero di respirazioni, perchè cessa l’affanno tipico dello sforzo massimo. Le respirazioni diventano in numero minore, e divengono più profonde.
Un numero di respirazioni inferiore ma con maggior profondità permette di avere una respirazione più efficiente, mentre una respirazione più superficiale offre la minor efficienza. (vedi al nota sul “caput mortuum” nella pagine successive).

5-Vi è una leggera diminuzione della pressione massima (o “sistolica”, che sarebbe quella dovuta alla forza del cuore che spinge il sangue nelle arterie) e una più significativa diminuzione della pressione diastolica (o pressione minima, che corrisponde alla resistenza dei vasi sanguigni).

6-Si ha come risultato un aumento della pressione differenziale, ovvero si ha una distanza maggiore tra la pressione massima e quella minima.
Si ha dunque un aumento del debito cardiaco, e il cuore a lungo andare diventa ipertrofico (cuore d’atleta). Il cuore insomma diviene fisicamente più grande, e con una maggior capacità di reggere lo sforzo a lungo (quello sforzo che grazia all’interval training può essere mantenuto “ più a lungo” che in condizioni di sforzo continuo), perchè è in grado di gestire una maggior quantità di sangue.
Di conseguenza, quando le necessità sono regolari (quelle della vita di tutti i giorni) per far girare il sangue sufficiente basta un numero di battiti inferiore.

Ecco spiegato perchè gli atleti molto allenati tendono ad essere “bradicardici”, ovvero ad avere un numero di battiti cardaici al minuto più basso rispetto a quello che si ha nei soggetti normali, non atleti o non allenati. Sull’interval training è stato detto che l’atleta “allena i muscoli durante lo sforzo, e il cuore durante le pause”.


In che rapporto devono essere i periodi di recupero con i periodi di sforzo? O meglio, cosa succede da un punto di vista del metabolismo quando si aumentano o diminuiscono i periodi di riposo rispetto a quelli di sforzo?

Uno studio fondamentale fu quello di Christensen, riassunto nella pagina seguente.

IL RAPPORTO TRA LAVORO E INTERVALLI.
LA DURATA MASSIMA DEI PERIODI DI LAVORO


Christensen partì analizzando il consumo di ossigeno, la frequenza cardiaca, il volume respiratorio e l’acido lattico nel sangue in condizioni sperimentali di lavoro e riposo.

1-Egli ha dunque alternato un lavoro di 2.16 Kg/m al min con 30” di riposo, e ha visto che i valori che risultano dalle analisi in queste condizioni sono vicini a quelli dello steady state. 2-Anche con un minuto di lavoro e uno di recupero le cose restano in condizioni simili.
3-Se invece si passa a due minuti ecco che si perdono i vantaggi del recupero, e i parametri di accumulo della fatica (e dell’acido lattico) prendono il sopravvento.
Si può pensare che si possono allungare i periodi di lavoro, concedendo un periodo di riposo molto più lungo. Ed infatti si è provato a raddoppiare la durata degli intervalli.
Ad esempio, facendo lavorare l’atleta per 2’ e poi concedendo un riposo di 5’.
4-Si è visto che prolungare l’intervallo non serve.

Dunque, anche provando a prolungare gli intervalli di riposo, si è visto che vi è un accumulo di acido lattico (dovuto alla respirazione anaerobica vista nelle pagine precedenti) che limita la durata del periodo di allenamento, in quanto l’atleta deve smettere e “non ce la fa”.


Questo limita il tempo totale in cui può dedicarsi ad un esercizio intenso, e limita li effetti generali della fisiologi dell’atleta allenato (capillarizzazione dei muscoli, sviluppo muscolare, aumento della potenza del cuore…)
Quindi, vi è un limite critico alla durata dei periodi di lavoro, che non possono superare un certo limiti ciascuno, perchè da lì in poi gli intervalli di riposo non riescono a compensare queste durate, anche se ciascun intervallo è maggiore del periodo di lavoro.


Un atleta che si esercita nel percorrere una distanza (ad esempio, nella corsa, nel nuoto, ecc) per costituire la sua tabella di allenamento deve tener conto:

1-della lunghezza percorsa in ciascun periodo di lavoro
2-della velocità a cui percorre quella lunghezza
3-del numero di ripetizioni di quel tratto di lunghezza fatti a quella velocità, ovvero del numero di periodi di lavoro
4-della durata dell’intervallo tra quei percorsi ovvero tra quei periodi di lavoro
5-di cosa si fa durante l’intervallo.

E’ evidente che un conto è stare del tutto a riposo (stesi su un materassino) un altro conto è stare in acqua muovendosi per galleggiare, un altro conto ancora è camminare compiendo con le braccia gesti ampi e rilassanti, che favoriscono sia la respirazione profonda (non dimenticate mai che è quella più efficiente) sia il passaggio del sangue attraverso i muscoli (dal sistema arterioso a quello venoso) portando ossigeno e eliminando le scorie. Sarebbe a dire ristabilendo la situazione normale, di non affaticamento.

UN RAPPORTO RELATIVO


Tutti i parametri di cui sopra sono naturalmente studiati da un allenatore, che lo definisce a seconda a-dello sport b-del soggetto c-del livello di allenamento d-della fase dell’allenamento. Sono tutte cose evidenti: il rapporto tra gli intervalli e i periodi di sforzo
( e le distanza da percorrere) sono molto diversi a seconda se si nuota a delfino o si fa podismo in piano. Sono anche diversi a seconda della persona (professionista, dilettante…), dipendono dal fatto che una persona si sta allenando partendo da zero o è in perfetta forma, e infine cambiano se si è un periodo in cui bisogna mantenere la forma fisica o si sta preparando una gara.

Tuttavia perchè ciascuno (anche se non è un atleta professionista e non è seguito personalmente da un allenatore) possa rendersi conto di come funziona l’interval training, può provare a effettuare dei periodi di lavoro intenso e di riposo ad intervalli, utilizzando un indicatore prezioso. Non potendo disporre di un’analisi del sangue ( e neppure del consumo di ossigeno) istante dopo istante, si può prendere come un ottimo parametro che indica l’affaticamento il numero di pulsazioni al minuto del cuore.


In pratica, si può provare a effettuare uno sforzo intenso per il tempo necessario a far salire le pulsazioni fino ad un livello considerato limite (180, ovvero quasi il triplo delle pulsazioni normali) e poi osservare una pausa della durata sufficiente a far scendere le pulsazioni fino a circa 120 (circa il doppio del numero di i battiti normali).
Si riprende allora lo sforzo, e così via.

E’ importante notare che si riparte a fare lo sforzo quando il cuore non è in condizioni di riposo. In questo l’interval training si distingue da altre tecnuiche di allenamento: non si parla di ripartire dalle condizioni di riposo, ma da condizioni che potrebbero essere definite di recupero parziale. Fare una serie di periodi di sforzo intenso con recupero totale ha una sua dignità, è una tecnica chiamata “lavoro a ripetizione” ma non ha tutti i vantaggi dell’interval training.

Evidentemente l’interval training utilizza la “fetta migliore”,più pregiata, ovvero la parte più efficiente di tutto il periodo di recupero. Osserviamo l’immagine, che abbiamo già visto nella pagine precedenti. Si vede che il recupero massimo lo si ha nei primi istanti, e poi la curva si fa meno ripida, man mano si va avanti per recuperare le ultime quantità di ossigeno occorre utilizare un tempo che diventa sempre maggiore. E’ dunque nella prima fase (il periodo più “vantaggioso”, quello in cui in poco tempo si recupera una grandissima parte di debito) che si opera con l’interval training.

Dall’immagine si vede che nei primi istanti di recupero (a sinistra sul fondo azzurro) il debito scende molto, andando avanti (verso destra) lo stesso intervallo di tempo consente un recupero molto inferiore…

E’ scontato che chi si dedica a qualunque attività sportiva deve ottenere l’idoneità da parte di un medico. Il fare esperimenti su se stessi o sugli altri senza essere sicuri che si tratta di persone sane e comunque idonee, è semplicemente un comportamento criminale. Vi sono persone che magari hanno qualche piccola malformazione (es cardiaca, congenita…) o malfunzionamento, che per la sua modesta entità non ha mai manifestato la sua presenza fin quando si richiede un grande sforzo.

A questo punto l’allenamento che viene tollerato benissimo da un atleta alleato può letteralmente uccidere una persona non idonea alla pratica di quello sport. Vi sono persone che hanno rovinato non solo al propria professione, ma anche la propria vita a causa di una semplice imprudenza, che è consistita nell’esercitare o suggerire un esercizio senza un controllo medico preventivo. Come vedete anch’io cerco di evitare questo comportamento che depreco, e vi suggerisco sempre una visita accurata e professionale (che non sia l’ottenimento di un certificato di idoneità estorto con qualche rito abbreviato).

Il controllo di idoneità appare dunque una seccatura, ma è senza dubbio una garanzia che andrebbe ricercata anche là dove non è obbligatorio. Se stiamo a prendere farmaci come vitamine od altro per rendere migliore la nostra vita, non dovremo esitare a prendere delle precauzioni che sono in grado di salvarcela, ed è proprio questione di vita o di morte.

ALTRE TECNICHE DI ALLENAMENTO


Nella pagina precedente si è visto come l’esercizio con delle pause porta ad un eccellente allenamento, ed in particolare come l’allenamento cardiaco sia massimo durante i primi 30″ dopo la fine di ciascun periodo di sforzo.
Nella figura si illustra un fenomeno curioso: l’alternanza di periodi di lavoro massimo e di riposo molto brevi porta rapidamente ad un momento in cui l’atleta nonc e la fa più.

Se si aumenta la durata del lavoro e degli intervalli vi è una situazione in cui l’allenamento può invece andare avanti per ore. Naturalmente aumentando ancora i tempi si perdono i vantaggi dell’interval training e si hanno delle semplici sedute di lavoro breve e pause lunghe. Per questo nell’interval training non si supera mai il minuto e messo di riposo anche nelle versioni che prevedono più tempo di recupero.

L’interval training ha delle varianti e dei sistemi paralleli (che non pososno essere considerati “interval training”) pure molto interessanti, che vengono applicate da istruttori pratici per scopi ben precisi.
Tra questi altri sistemi ricordiamo

L’INTERVAL TRAINING LENTO
Velocità minore della gara con un periodo di recupero un po’ più lungo dell’interval training veloce. Ad esempio, nuotare 30 volte una vasca da 50 metri intervallando ad ogni fine vasca, con intervallo di 45″)

L’INTERVAL TRAINING VELOCE
L’interval training è caratterizzato da periodi di fatica intensa e relativamente breve (es. nuotare 30 volte una vasca da 50 metri a velocità -naturalmente al passaggio!- superiore a quella che si fa in gara, intervallando ad ogni fine vasca, con un intervallo di 30″)

IL REPETITION TRAINING
La tecnica consiste nel ripetere più volte un esercizio più lungo riportando durante gli intervalli le pulsazionia d un valore più basso che nell’interval training.
(es. nuotare 6 x 100 metri con 4-8 minuti portando le pulsazioni a 100-110 battiti al minuto).

LO SPINT TRAINING
Questa tecnica si propone di fare effettuare degli sprint alternatia periodi di recupero completo, in cui l’attela torna allo stato di riposo assoluto. Quindi, si riportano le pulsazioni a 60-70 al minuto. I nuotatori che fanno intreval training restano dunque in acqua durante le pause, e attendono l’arrivo delle pulsazioni al punto prefisaato (es. 120). I nuotatori che si esercitano nello sprint training ( o anche nel repetition training) invece escono dalla vasca a riposano.

IL FARTLEK
E’ una tecnica che non prevede il riposo assoluto, ma l’alternanza di periodi di sforzo elevato con periodi di sforzo minimo. Ad esempio, alternare la corsa a la nuotata non con periodi di riposo, ma con periodi in cui si fa uan corsa molto distesa o una nuotata di base lenta. Ad esempio, si può nuotare in un lago lentamente per 5′ e poi fare 400m in sforzo. Oppure uno sforzo massimo su 50 metri e 400 di nuoto lento, ripetendo per un’ora.

Vi sono diverse altre tecniche, tra cui lo “sprint training”, “l’ over distance” eccetera, più o meno applicate, note e/o di interesse più o meno meno generale. Anche qui, un’accurata trattazione di queste tecniche esula dallo scopo di questo sito.

Molto importanti nell’allenamento sono le sequenze degli esercizi singoli, ovvero come le alternanze di persorsi o lavoro e di riposo si altarnano nell’arco di tutta la seduta di allenamento.
Esse possono essere definite il vero cuore dell’allenamento, la sua stessa essenza.
Consistono in tabelle, in “compiti” che l’allenatore assegna all’atleta. Per prepararle bene occorre un allenatore molto specializzato e che conosce bene i suoi atleti.
Trattare queste sequenze e pubblicare le relative tabelle esula dagli scopi di questo sito, dedicato all’elimentazione dieta e argomenti correlati più che alle tecniche di allenamento vere e proprie.
Ma vorrei aggiungere un accenno a “come sono costruite” queste sequenze.

SEQUENZE A DISTANZE DECRESCENTI. Si possono avere delle sequenze in cui si mantiene costante la velocità ma che prevedono distanze decrescenti. Quando si è insomma più riposati si può nuotare, correre, pedalare ecc. per delle distanze maggiori, e dopo ogni riposo si effettua lo sforzo alla stessa intensità ma con distanze inferiori. Visto che la velocità è uguale e le distanze sono inferiori, anche il tempo impiegato per portare a termine coiascuna sequenza diverrà sempre minore.
Quindi, si avranno anche tempi descrescenti.

SEQUENZE MISTE. Si possono fare anche delle sequenze miste, ovvero sequenze in cui variano sia i tempi dedicati agli intervalli che quelli dedicati alle distanze (ovvero agli esercizi se a parità di velocità).
Ad esempio, nuotare per le distanze segnate sotto e con gli intervalli segnati tra parentesi:

400 (5′) – 300 (3′) – 200 (2′) – 100 (1′) – 50 (1′) – 100 (2′)

SEQUENZE PROGRESSIVE. Si possono invece tenere costanti le distanze che prima variavano, e aumenta invece la velocità a cui sono percorse quelle distanze.
SI hanno dunque distanze costanti e tempi crescenti.

SEQUENZE FRAZIONATE. E’ una sorta di alternanza tra interval training e repetition training. Ad esempio,
a-nuotare 8 volte 50 metri con 1 minuto di riposo dopo ogni vasca (da 50 metri, ovviamente) b-ripetere questo esercizio per tre volte. Ma tra un gruppo di 8×50 e l’altro lasciare trascorrere 5-8 minuti di riposo.

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