La Legge
Tutto quello che viene eseguito da ogni singolo cittadino è sempre frutto di un emendamento legislativo emanato dai loro rappresentati, presumibilmente al servizio del popolo.
Quante persone conoscono la legge, la sua funzione, l’utilità e lo scopo recondito che questa assolve, è inutile rivendicare i diritti se non si ha ben chiaro in cosa consistono e quali sono i doveri con cui relazionarsi in funzione di un quieto vivere collettivo.
Lo stato ha fallito in pieno li dove la legge non assolve al compito che gli compete, il quale è strumentalizzato ovunque per un fine che è solo ed unicamente repressivo e intimidatorio.
Lo strumento primario e fondamentale per il potere è tutto racchiuso nei meandri della burocrazia giudiziaria che può distruggere annientare e inibire ogni velleità di libertà e giustizia, termini che per assurdo vengono utilizzati dai tutori della legge per giustificare e consolidare il potere e il dominio sui popoli.
È la legge Signori!
E mentre le lotte popolari si affannano in piazza per rivendicare i loro diritti, si dimenticano che questi hanno un solo referente che solo i rappresentanti del popolo utilizzano a loro piacimento, consapevoli che gli schiavi al loro seguito non conoscono nulla.
Il potere è nelle mani di chi non usa armi non necessita alzare la voce e a cui non importa nulla della protesta collettiva dei popoli, essi hanno la legge e con quella troncano ogni discussione.
Se intendete proseguire nel vostro monologo contro i mulini a vento, liberi di farlo, fermatevi qua e proseguite leggendo i molti articoli pubblicati l’interno del magazine che sono anche quelli molto interessanti, ma se intendete prendere consapevolezza di una realtà mai considerata che incide su ogni aspetto della vostra vita, prendetevi tutto il tempo che serve e se avete fretta, rimandate alla prossima volta e quando sarete veramente preparati al solo salto di qualità che serve per un cambiamento reale, iniziate con la lettura.
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La Legge
Questo è uno degli scritti più famosi di Frédéric Bastiat, redatto pochi mesi prima della sua morte, avvenuta nel giugno del 1950. Qui sono riuniti molti dei temi fondamentali della sua argomentazione contro l’invadenza e il soffocamento nei confronti della società (cioè della totalità degli individui) da parte dello Stato, attuato attraverso lo strumento della legge.
In sostanza, un testo forte e potente per la libertà. Andrebbe letto più volte e diffuso ovunque.
La Legge usata per fini perversi! La Legge e con essa tutte le forze collettive della nazione, – La Legge, ho detto, non solo deviata dal suo vero fine, ma applicata per perseguire un fine completamente opposto! La Legge che diventa lo strumento di tutte le cupidigie, invece di esserne il freno! Certamente, se il fatto esiste, si tratta di qualcosa di grave, su cui mi permetto di richiamare l’attenzione dei miei concittadini.
Riceviamo da Dio il dono che per noi li racchiude tutti, la Vita, fisica, intellettuale e morale. Ma la vita non si sostiene da sola. Colui che ce l’ha donata ci ha affidato la cura di sostenerla, di svilupparla, di perfezionarla.
Per farlo, ci ha fornito un insieme di facoltà meravigliose; ci ha immersi in un insieme di elementi diversi.È attraverso la messa in atto delle nostre facoltà in relazione a questi elementi che avviene il fenomeno dell’Assimilazione o dell’Appropriazione, attraverso il quale la vita compie il percorso che le è stato assegnato.
Esistenza, Facoltà, Assimilazione – in altre parole, Personalità, Libertà, Proprietà, ecco l’essere umano.
Di questi tre aspetti si può dire, al di là di ogni sottigliezza demagogica, che sono anteriori e superiori a qualsiasi norma legislativa prodotta dagli esseri umani. Non è perché gli esseri umani hanno emanato leggi che la Personalità, la Libertà e la Proprietà esistono. Al contrario, è perché Personalità, Libertà e Proprietà sono realtà in essere che gli esseri umani hanno emanato leggi.
Che cos’è dunque la legge? Come ho detto altrove, consiste nell’organizzazione collettiva del diritto individuale di autodifesa.
Ognuno di noi deriva certamente dalla natura, da Dio, il diritto di difendere la propria Personalità, la propria Libertà e la propria Proprietà, poiché questi sono i tre elementi che costituiscono o preservano la Vita, elementi che si completano a vicenda e che non possono essere concepiti l’uno senza l’altro. Perché cosa sono le nostre Facoltà se non un’estensione della nostra Personalità, e cos’è la Proprietà se non un’estensione delle nostre Facoltà?
Se ogni essere umano ha il diritto di difendere, anche ricorrendo alla forza, la sua persona, la sua libertà, la sua proprietà, molti esseri umani hanno il diritto di consultarsi, di capirsi, di organizzare una forza comune per mettere in atto una difesa su base continuativa. Il Diritto collettivo ha quindi il suo principio, la sua ragion d’essere, la sua legittimità nel Diritto individuale, e la Forza comune non può razionalmente avere altro scopo, altra missione che quella di salvaguardare le Forze isolate a cui si sostituisce.
Così come la Forza di un individuo non può legittimamente attaccare la Persona, la Libertà, la Proprietà di un altro individuo, per la stessa ragione, la Forza comune non può legittimamente essere applicata per distruggere la Persona, la Libertà, la Proprietà di individui o classi. Perché questa distorsione della Forza sarebbe, in un caso come nell’altro, in contraddizione con le nostre premesse. Chi avrà l’impudenza di dire che la Forza ci è stata data non per difendere i nostri diritti, ma per annientare gli identici diritti dei nostri fratelli? E se questo non è vero in riferimento a qualsiasi forza individuale, che agisce isolatamente, come potrebbe essere vero per la forza collettiva, che non è altro che l’unione organizzata di forze isolate?
Quindi, se c’è una cosa evidente, è la seguente: il diritto è l’organizzazione del diritto naturale di autodifesa;è la sostituzione della forza collettiva alle energie individuali, per agire nei limiti in cui queste ultime hanno il diritto di agire, per fare ciò che queste ultime hanno il diritto di fare, per garantire le persone, le libertà, la proprietà, per garantire a ciascuno il suo diritto, per far regnare la giustizia tra tutti.
E se ci fosse un popolo organizzato su questa base, mi sembra che l’ordine prevarrebbe sia nei fatti che nelle idee. Sono dell’opinione che questo popolo avrebbe il governo più semplice che possa esistere, il più economico, il meno gravoso, il meno assillante, il meno intrigante, il più giusto e di conseguenza il più solido che si possa immaginare, qualunque sia la sua forma politica.
In effetti, sotto una simile amministrazione, ogni persona capirebbe bene che ognuno conserva per sé tutta la pienezza e tutta la responsabilità della propria esistenza. A condizione che la persona sia rispettata, che il libero lavoro e i frutti del lavoro siano garantiti contro ogni attacco indebito, non ci sarebbe nulla da fare con lo Stato. Se fossimo felici, non dovremmo certo ringraziarlo per i nostri successi; se fossimo infelici, non avremmo alcuna buona ragione per incolparlo delle nostre disgrazie più di quanto non ne abbiano i contadini quando maledicono il governo a causa della grandine o del gelo. Non lo riconosceremmo altrimenti che per l’inestimabile lavoro della sicurezza.
Si può ancora dire che, grazie alla non ingerenza dello Stato negli affari privati, i bisogni e le soddisfazioni si svilupperebbero secondo l’ordine naturale. Non vedremmo famiglie povere coltivare la passione letteraria prima di essersi procurate il pane. Non si vedrebbero le città riempirsi di persone a scapito delle campagne, o le campagne a scapito delle città.Non si vedrebbero questi grandi spostamenti di capitale, di lavoro, di popolazione, causati da misure legislative, spostamenti che rendono le fonti stesse dell’esistenza così incerte e così precarie, aggravando così, e in misura così grande, la responsabilità dei governi.
Purtroppo, non è accaduto che la Legge si sia limitata a svolgere il suo ruolo. È accaduto addirittura che se ne sia allontanata per seguire strade insensate e discutibili. Ha fatto di peggio: ha agito in opposizione al suo stesso scopo; ha distrutto il suo stesso obiettivo; si è applicata per annientare quella Giustizia che avrebbe dovuto regnare, per cancellare, tra i diritti, quel limite che aveva il compito di far rispettare; ha messo la forza collettiva al servizio di chi vuole sfruttare, senza rischi o scrupoli, la persona, la libertà o la proprietà altrui; ha trasformato l’esproprio in diritto, per proteggerlo, e la legittima difesa in reato, per punirlo.
Come fu realizzata questa distorsione della Legge? Quali furono le conseguenze?
La Legge è stata distorta sotto l’influenza di due cause molto diverse: il subdolo egoismo e la falsa filantropia.
Parliamo del primo aspetto.
Conservarsi, svilupparsi, questa è l’aspirazione comune di tutti gli esseri umani, che fa sì che se ognuno godesse del libero esercizio delle proprie facoltà e potesse disporre liberamente dei propri prodotti, il progresso sociale sarebbe incessante, ininterrotto, indubbio.
Ma c’è anche un’altra inclinazione comune agli esseri umani. È quella di vivere e svilupparsi, quando possibile, a spese degli altri. Non si tratta di un’accusa azzardata, espressa con spirito triste e pessimista. La storia lo testimonia attraverso le guerre incessanti, gli esodi di popolazioni, le oppressioni perpetrate dalle caste sacerdotali, la diffusione universale della schiavitù, le frodi industriali e i monopoli di cui sono pieni gli annali della storia.
Questa tendenza funesta ha origine nella natura stessa dell’essere umano, in quel sentimento primitivo, universale e insopprimibile che lo spinge verso il benessere e gli fa evitare il dolore.
L’essere umano non può vivere se non attraverso un’assimilazione, un’appropriazione perpetua, cioè un’applicazione perpetua delle sue facoltà agli oggetti, o attraverso l’esecuzione di un lavoro. Da qui la proprietà.
Ma, in realtà, poteva vivere e godere assimilando e appropriandosi del prodotto delle facoltà dei suoi simili. Da qui l’esproprio.
Ora, poiché il lavoro in sé è una pena e gli esseri umani sono naturalmente inclini a evitare le punizioni, ne consegue, e gli eventi della storia lo documentano, che laddove la spoliazione è meno gravosa del lavoro, essa prevale; e questo senza che né la religione né la morale possano fare molto per impedirla.
Quando, allora, la spoliazione si ferma? Quando diventa più faticosa e pesante del lavoro stesso.
È evidente che il diritto deve mirare a opporre il potente ostacolo della forza collettiva a questa tendenza nefasta; cioè, il diritto deve partecipare alla difesa della proprietà contro la spoliazione.
Ma la legge è fatta, di solito, da un essere umano per il beneficio di una classe di esseri umani. E poiché la legge non esiste senza una sanzione, senza il sostegno di una forza preponderante, non può che accadere che la legge stessa metta questa forza nelle mani di chi legifera.
Questo fatto inevitabile, unito alla propensione maligna che abbiamo notato esistere nell’anima dell’essere umano, spiega la distorsione quasi universale della Legge. Si può vedere come, invece di essere un freno all’ingiustizia, essa diventi uno degli strumenti più potenti a favore dell’ingiustizia. Si può notare che, basandosi sulla concentrazione del potere nelle mani del Legislatore, essa distrugge, a suo vantaggio e in varia misura, presso gli esseri umani che non godono del suo potere, la Personalità attraverso la servitù, la Libertà attraverso l’oppressione, la Proprietà attraverso la spoliazione.
È nella natura degli esseri umani reagire contro l’iniquità di cui sono vittime. Nel caso in cui la spoliazione sia organizzata legalmente, a beneficio delle classi che la esercitano, tutte le classi che la subiscono tendono, con mezzi pacifici o rivoluzionari, a partecipare in qualche modo alla formazione delle leggi. Queste classi, a seconda del grado di civiltà a cui sono giunte, possono porsi due obiettivi ben diversi quando si accingono a conquistare i loro diritti politici: o vogliono porre fine alla spoliazione legale, o aspirano a prendervi parte.
Quale disgrazia, quale grande disgrazia tocca a quelle nazioni in cui la seconda di queste opzioni domina i pensieri delle masse, nel momento in cui queste si impadroniscono a loro volta del potere legislativo!
Fino a quest’epoca, la spoliazione legale era esercitata da pochi contro molti, proprio come avviene nei popoli in cui il diritto di legiferare è concentrato in poche persone. Ma qui è diventata universale e quindi si cerca un equilibrio nella spoliazione universale. Invece di sradicare l’ingiustizia dal seno della società, la si generalizza.
Non appena le classi indigenti hanno acquisito i loro diritti politici, il primo pensiero che le coglie non è quello di sbarazzarsi della spoliazione (ciò presupporrebbe una saggezza di cui non sono dotate), ma di organizzare, contro le altre classi e a loro danno, un sistema di ritorsione, come se fosse necessario che, prima che si instauri il regno della giustizia, una crudele vendetta venga a colpire tutti, gli uni a causa della loro iniquità, gli altri a causa della loro ignoranza.
Pertanto, non si poteva introdurre nella società una trasformazione e una disgrazia più grande di questa: la legge ridotta a strumento di spoliazione.
Quali sono le conseguenze di una simile interruzione? Sarebbero necessari volumi per descriverle tutte. Ci accontentiamo di sottolineare solo quelle più salienti.
Il primo è quello di cancellare nelle coscienze la nozione di giusto e sbagliato.
Nessuna società può esistere se non vi regna in qualche misura il rispetto per le leggi; ma il fatto più sicuro perché le leggi siano rispettate è che siano degne di rispetto. Quando la Legge e la Morale si contraddicono, il cittadino si trova nella crudele alternativa di perdere la nozione di Morale o di perdere il rispetto per la Legge, due disgrazie entrambe così grandi che è difficile fare una scelta.
È talmente insito nella natura della legge far regnare la giustizia, che legge e giustizia sono un tutt’uno nella mente delle masse. Tutti noi abbiamo una forte predisposizione a considerare tutto ciò che è legale come legittimo, al punto che alcuni traggono erroneamente tutta la giustizia dalla Legge. È sufficiente, quindi, che la Legge ordini e consacri la spoliazione perché essa appaia giusta e santa a molte coscienze. Servitù, restrizione, monopolizzazione trovano difensori non solo in coloro che ne traggono profitto, ma anche in coloro che ne subiscono le conseguenze. Cercate di sollevare dubbi sulla moralità di queste istituzioni:
” Lei è, dirà qualcuno, un pericoloso innovatore, un utopista, un teorico, un disprezzatore delle leggi; lei mina le fondamenta su cui poggia la società. “
Per caso lei tiene un corso di morale o di economia politica? Verranno trovati canali ufficiali per far pervenire questa richiesta al governo:
Consiglio generale delle manifatture, dell’agricoltura e del commercio
(Seduta del 6 maggio 1850)
Così che se c’è una legge che sanziona la schiavitù o il monopolio, l’oppressione o l’espropriazione in qualsiasi forma, non può nemmeno essere menzionata, perché altrimenti come potrebbe essere menzionata senza distruggere il rispetto che ispira?
Dirò di più, bisognerà insegnare la morale e l’economia politica dalla prospettiva di questa legge, cioè dando per scontato che sia giusta per il solo fatto di essere Legge.
Un altro risultato di questa deplorevole distorsione della Legge è quello di dare alle passioni e alle lotte politiche e, in generale, alla politica propriamente detta, una preponderanza esagerata.
Potrei dimostrare la veridicità di questa affermazione in mille modi. Mi limiterò, a titolo di esempio, ad accostarla alla questione che recentemente ha interessato le menti di tutti: il suffragio universale.
Checché ne dicano gli aderenti alla Scuola di Rousseau, che pretende di essere molto avanti nel tempo e che io stimo in ritardo di venti secoli, il suffragio universale (prendendo questo termine nel suo senso puro) non fa parte di quei dogmi sacri, rispetto ai quali la riflessione e il dubbio sono di per sé crimini.
Si possono fare alcune serie obiezioni al riguardo.
In primo luogo, la parola universale nasconde un grande sofisma. In Francia ci sono trentasei milioni di abitanti. Perché il suffragio sia veramente universale, dovrebbe essere concesso a trentasei milioni di elettori.
Nel sistema elettorale più aperto, solo nove milioni di persone godono di questo diritto. Tre persone su quattro sono quindi escluse e, cosa più importante, lo sono in base alla volontà del quarto. Su quale principio si basa questa esclusione? Sul principio dell’incapacità. Suffragio universale significa suffragio universale delle persone capaci. Queste domande rimangono senza risposta: chi sono le persone capaci? L’età, il sesso, le convinzioni giudiziarie sono gli unici segni attraverso i quali l’incapacità può essere riconosciuta?
Se si analizza più da vicino la questione, si capisce subito perché il diritto di voto è soggetto alla presunzione di capacità, non essendoci alcuna differenza a questo proposito tra il sistema di suffragio più ampio e allargato e quello più ristretto, se non per la valutazione delle caratteristiche che rendono manifesta questa capacità, che non è una differenza di principio ma di grado.
Il motivo è che l’elettore si impegna non per se stesso, ma per tutti.
Se, come sostengono i repubblicani che si rifanno alla Grecia e a Roma, il diritto di voto fosse un diritto esercitabile dalla nascita, sarebbe iniquo impedire a donne e bambini di votare.
Perché li si esclude dal voto?
Perché li si presume incapaci.
E perché l’incapacità è un motivo di esclusione?
L’elettore, infatti, non è responsabile solo del suo voto, poiché ogni voto impegna e coinvolge l’intera comunità; pertanto, la comunità ha tutto il diritto di chiedere garanzie su atti da cui dipendono il suo benessere e la sua esistenza.
Conosco la risposta che si può dare. So anche cosa si potrebbe rispondere. Non è questa la sede per affrontare una simile controversia. Quello che voglio sottolineare è il fatto che questa stessa controversia (così come la maggior parte delle questioni politiche) che agita, eccita e sconvolge le persone perderebbe quasi tutta la sua importanza se la Legge fosse sempre stata quella che dovrebbe essere.
Infatti, se la legge si limitasse a far rispettare tutte le persone, tutte le libertà, tutte le proprietà, se non fosse altro che l’organizzazione del diritto individuale di autodifesa, l’impedimento, la limitazione, la punizione contro tutte le oppressioni, contro tutti gli espropri, credete che ci perderemmo in discussioni tra noi cittadini sul suffragio più o meno universale? Qualcuno crede che le classi ammesse sarebbero estremamente gelose del loro privilegio? E non è forse chiaro a tutti che, poiché l’interesse per la pace pubblica è identico e comune, gli uni agirebbero, senza grande danno, a vantaggio degli altri?
Ma quando viene ad introdursi questo principio funesto, cioè che, sotto la veste dell’organizzazione, della regolamentazione, della protezione, dell’incoraggiamento, la Legge può togliere ad alcuni per dare ad altri, attingere alla ricchezza prodotta da tutte le classi per aumentare quella di una classe, una volta quella dei contadini, un’altra volta quella degli industriali, poi quella dei mercanti, degli armatori, degli artisti, degli attori; oh! certamente, in questo caso, non c’è classe che non pretenda giustamente di mettere mano anche alla Legge, che non rivendichi con forza il proprio diritto di eleggere e di essere eletta, che non sia disposta a mettere sottosopra la società per ottenerlo. Persino i mendicanti e i vagabondi vi testimonieranno che hanno titoli indiscutibili.
Vi diranno: “Non compriamo mai vino, tabacco, sale, senza pagare la tassa, e una parte di questa tassa viene data, secondo le leggi esistenti, in clausole di favore, in sussidi a persone più ricche di noi”. Altri usano la Legge per aumentare ad arte il prezzo del pane, della carne, del ferro, dei tessuti. Poiché ognuno sfrutta la Legge a proprio vantaggio, anche noi vogliamo sfruttarla per i nostri fini. Vogliamo ricavarne il Diritto all’assistenza, che è la parte della spoliazione che va a vantaggio dei poveri. Perché ciò avvenga, è necessario che noi siamo elettori e legislatori, in modo da organizzare la Beneficenza in grande stile per la nostra classe, come voi avete organizzato la Protezione in grande stile per la vostra. Non diteci che vi schiererete dalla nostra parte, che ci metterete a disposizione, secondo la proposta di M. Mimerel, una somma di 600.000 franchi per farci tacere, come un osso da spolpare. Abbiamo altre rivendicazioni e, in ogni caso, vogliamo condurre i nostri affari direttamente, come fanno le altre classi! “
Certo, finché si ammetterà che la legge può essere distolta dalla sua vera missione, finché potrà violare la proprietà invece di assicurarla, ogni classe vorrà formulare la legge, sia per difendersi dalla spoliazione sia per organizzarla a proprio vantaggio. La questione politica sarà sempre pregiudiziale, dominante, assorbente; in una parola, si combatterà alle porte del Palazzo dove si fanno le leggi. La lotta non sarà meno feroce al suo interno. Per convincersene, basta osservare ciò che accade in Parlamento in Francia e in Inghilterra; basta sapere come viene posta la questione.
C’è davvero bisogno di dimostrare che questa odiosa perversione della Legge è una causa perpetua di odio, di discordia, che può portare fino alla disorganizzazione sociale? È il Paese al mondo in cui la Legge si attiene più fedelmente al suo ruolo, che è quello di garantire a ciascuno la libertà e la proprietà;
Allo stesso tempo, è tra i Paesi del mondo in cui l’ordine sociale sembrerebbe poggiare sulle fondamenta più stabili. Tuttavia, negli stessi Stati Uniti, ci sono due problemi, e solo due, che, fin dall’inizio, hanno ripetutamente messo in pericolo l’ordine politico. E quali sono questi due problemi? Sono quello della schiavitù e quello delle tariffe protezionistiche, cioè proprio i due unici problemi rispetto ai quali, contrariamente allo spirito generale di questa repubblica, la legge ha assunto un carattere spoliatorio. La schiavitù è una violazione, sancita dalla legge, dei diritti della persona.
Il protezionismo è una violazione, perpetrata dalla legge, del diritto di proprietà; e certamente va osservato con attenzione che, in mezzo a tante altre questioni, questa doppia piaga giuridica, triste retaggio del passato, è l’unica che può e forse porterà alla disgregazione dell’Unione. Infatti, non si potrebbe immaginare, all’interno della società, un fatto più importante di questo: la legge che diventa uno strumento di ingiustizia. E se questo fatto produrrà conseguenze così gravi negli Stati Uniti, un Paese in cui tutto ciò non è che un’eccezione, cosa dovrebbe accadere nella nostra Europa, dove questa degenerazione è elevata a Principio e Sistema?
M. de Montalembert, appropriandosi del pensiero di una famosa affermazione di M. Carlier, ha detto: “È necessario fare la guerra al socialismo”. – E per socialismo, bisogna credere che, secondo la definizione di M. Charles Dupin, egli alludesse alla spoliazione.
Ma di quale Spoliazione voleva egli parlare? Poiché ve ne è di due tipi.
Vi è la spoliazione extra-legale e la spoliazione legale.
Per quanto riguarda la spoliazione extra-legale, ciò che si chiama furto, ladrocinio, ciò che è definito, previsto e punito dal Codice Penale, in verità non credo si possa fregiare del nome di Socialismo. Non è certo quello che minaccia sistematicamente le fondamenta della società. Inoltre, la guerra contro questo tipo di spoliazione non ha aspettato il segnale di M. de Montalembert o di M. Carlier. La Francia vi ha provveduto, molto prima della Rivoluzione di febbraio, molto prima della comparsa del socialismo, attraverso un intero armamentario di magistratura, polizia, gendarmeria, prigioni, bagni penali e patiboli. È la Legge stessa che conduce questa guerra e ciò che sarebbe auspicabile, a mio avviso, è che la Legge mantenga sempre questo atteggiamento nei confronti della Spoliazione.
Ma non è questo il caso. A volte la Legge è dalla parte della spoliazione. A volte la esegue essa stessa, per risparmiare al beneficiario disonore, pericolo e scrupolo. A volte mette tutto l’armamentario di magistratura, polizia, gendarmeria e carceri al servizio dello sfruttatore, e tratta come un criminale colui che, sfruttato, osa difendersi. In una parola, c’è una spoliazione legale, e questo è certamente ciò a cui allude M. de Montalembert.
Questa spoliazione può essere, nella legislazione di un popolo, solo un espediente eccezionale e, in questo caso, la cosa migliore da fare, senza tante declamazioni e lamentele, è toglierla di mezzo il prima possibile, nonostante il clamore degli interessati. Come riconoscerlo? È molto semplice. Bisogna verificare se la Legge prende ciò che appartiene a uno per darlo ad altri. Bisogna verificare se la legge compie, a vantaggio di un cittadino e a scapito di altri, un atto che questo cittadino potrebbe compiere da solo senza commettere alcun reato;
In questi casi, affrettatevi ad abrogare quella legge; non è solo una cosa iniqua, è anche una fonte di iniquità; perché invita alla ritorsione e, se non state attenti, il fatto eccezionale si diffonderà, si moltiplicherà e diventerà una pratica sistematica. Senza dubbio, il beneficiario strillerà a squarciagola, invocando diritti acquisiti. Dirà che lo Stato deve protezione e incoraggiamento alla sua industria; sosterrà che è un bene che lo Stato lo arricchisca, perché essendo più ricco spende di più e quindi fa cadere una pioggia di salari sui poveri lavoratori. Attenzione a non ascoltare questo sofista, perché è proprio dalla ripetizione sistematica di queste argomentazioni che nascerà l’accettazione sistematica della spoliazione legale.
E questo è ciò che si è verificato. La chimera dei nostri giorni è arricchire tutte le classi, una a scapito dell’altra; ciò significa generalizzare la spoliazione con il pretesto di organizzarla. Ora, la spoliazione legale può essere attuata in un’infinita moltitudine di modi; da ciò consegue un’infinita moltitudine di piani di organizzazione: tariffe, protezionismo, premi all’esportazione, sussidi alla produzione, incoraggiamento finanziario, imposta progressiva, istruzione gratuita, diritto al lavoro, diritto al profitto, diritto al salario, diritto all’assistenza, diritto agli strumenti di lavoro, credito senza interessi, ecc. Ed è l’insieme pianificato di tutte queste misure, ciò che hanno in comune, cioè l’esproprio legale, che prende il nome di socialismo.
Ora il socialismo, così definito, essendo un corpo di idee, che lotta volete che sia se non una lotta di idee? Trovate questa dottrina del socialismo falsa, assurda, abominevole. Rifiutatela. Questo vi sarà tanto più facile quanto più tale dottrina sarà falsa, assurda, abominevole. Soprattutto, se volete essere forti di mente, cominciate a sradicare dalla vostra legislazione tutto ciò che può esservi scivolato dentro del socialismo, e l’impresa non è da poco.
A M. de Montalembert è stato rimproverato di voler usare la forza bruta contro il socialismo. È un rimprovero da cui dovrebbe essere esentato, dal momento che ha formalmente dichiarato: contro il socialismo si deve condurre una lotta compatibile con il diritto, l’onore e la giustizia.
Ma come fa M. de Montalembert a non vedere che si pone in un circolo vizioso? Vuole opporre il socialismo al diritto? Ma è proprio il socialismo che invoca il diritto. Non aspira a una spoliazione extragiuridica, ma a una spoliazione giuridica. È la legge stessa, a beneficio dei monopolisti di ogni sorta, che pretende di usare come strumento, e una volta che ha la legge dalla sua parte, come si può pensare di rivoltarle contro? Come pensate di portarlo sotto i colpi dei vostri tribunali, dei vostri gendarmi, delle vostre prigioni? Allora cosa pensate di fare? Volete impedirgli di intervenire nella formulazione delle leggi. Volete tenerlo fuori dal potere legislativo. Non ci riuscirete, mi azzardo a prevedere, finché all’interno del Palazzo legifererete la spoliazione legale.
È tutto troppo iniquo e troppo assurdo.
È assolutamente necessario risolvere il problema della spoliazione legale e ci sono solo tre vie d’uscita.
1) Che i pochi sfruttino i molti.
2) Che tutti sfruttino tutti.
3) Che nessuno sfrutti alcuno.
Sfruttamento parziale, sfruttamento universale, non sfruttamento, bisogna fare una scelta. La Legge può perseguire solo uno di questi tre risultati.
Sfruttamento parziale, – è il sistema che ha prevalso finché l’elettorato era costituito da una piccola parte della popolazione, un sistema al quale torniamo per evitare l’invasione del socialismo.
Sfruttamento universale, – è il sistema che ci affligge da quando l’elettorato è diventato universale, avendo le masse concepito l’idea di legiferare sulla base dei legislatori che le hanno precedute.
Assenza di sfruttamento, – è il principio di giustizia, di pace, di ordine, di stabilità, di concordia, di buon senso che proclamerei con tutta la forza, purtroppo molto scarsa, dei miei polmoni, fino al mio ultimo respiro.
E, sinceramente, si possono pretendere altre cose dalla Legge? La Legge, che ha come necessaria sanzione la Forza, può essere impiegata, a ragion veduta, per un compito diverso da quello di preservare i diritti di ciascuno? Sfido che si possa uscire da questi confini, senza stravolgerla e, di conseguenza, senza mettere la Forza contro il Diritto. Ed essendo proprio lì la più funesta, la più illogica disgregazione sociale che si possa immaginare, bisogna riconoscere che la vera soluzione, così a lungo cercata, al problema sociale è contenuta in queste semplici parole: Legge e giustizia organizzata
Oppure, chiariamo: organizzare la Giustizia per mezzo della Legge, cioè per mezzo della Forza, porta ad escludere l’idea di organizzare per mezzo della Legge o della Forza qualsiasi manifestazione dell’attività umana: Lavoro, Benessere, Agricoltura, Commercio, Industria, Educazione, Belle Arti, Religione; perché non è possibile che una di queste organizzazioni secondarie non annienti l’organizzazione essenziale. Infatti, come è possibile immaginare che la Forza calpesti la Libertà dei cittadini, senza danneggiare la Giustizia, senza agire contro il proprio fine?
Qui mi scontro con il pregiudizio più attuale dei nostri tempi. Non si vuole solo che la legge sia giusta, ma anche che sia filantropica. Non ci si accontenta che garantisca a ogni cittadino l’esercizio libero e senza pregiudizi delle sue facoltà, finalizzato al suo sviluppo fisico, intellettuale e morale; si pretende che diffonda benessere, educazione e moralità direttamente sulla nazione. Questo è il lato seducente del socialismo.
Ma, ripeto, queste due missioni della Legge sono in contraddizione tra loro. Bisogna fare una scelta. Il cittadino non può, allo stesso tempo, essere libero e non essere libero. M. de Lamartine mi scrisse tempo fa: “La vostra dottrina rappresenta solo la metà del mio programma; voi vi siete fermati alla Libertà, io sono andato oltre, verso la Fraternità”. “
Risposi: “La seconda parte del vostro programma distruggerà la prima”. “
E, di fatto, mi è impossibile separare il termine fraternità dall’aggettivo volontario. Mi è del tutto impossibile concepire la fraternità come qualcosa di legalmente imposto, senza che la libertà sia legalmente distrutta e la giustizia legalmente messa sotto i piedi.
La spoliazione legale ha due radici: una, che abbiamo appena esaminato, è l’egoismo umano; l’altra è la falsa filantropia.
Prima di procedere, ritengo doveroso offrire alcuni chiarimenti sul termine Spoliazione.
Non lo prendo, come troppo spesso si fa, nel suo significato vago, indeterminato, approssimativo, metaforico: Lo uso nel senso proprio della scienza, come termine che esprime l’idea opposta a quella di Proprietà. Quando una porzione di ricchezza passa da chi l’ha acquisita, senza il suo consenso e senza alcun compenso, a chi non l’ha prodotta, sia che ciò avvenga con la forza o con l’inganno, io affermo che c’è un attacco alla Proprietà, che c’è Spoliazione. Affermo che, giustamente, è proprio questo che la Legge dovrebbe reprimere ovunque e sempre. Che se la Legge stessa compie l’atto che dovrebbe reprimere, non per questo la Spoliazione è minore, e anzi, socialmente parlando, saremmo in presenza di circostanze aggravanti. Solo che, in questo caso, non è chi trae profitto dalla spoliazione a esserne responsabile, ma la Legge, il legislatore, la società, ed è questo che produce i fallimenti della politica.
È fastidioso che questa parola abbia qualcosa di offensivo. Vanamente ne ho cercata un’altra, perché mai, e oggi meno che mai, vorrei gettare in mezzo alle nostre discussioni una parola che suscita irritazione. Quindi, che ci crediate o no, dichiaro che non intendo mettere in discussione né la volontà né la moralità di nessuno. Contesto un’idea che ritengo falsa, un sistema che mi sembra ingiusto, e tutto questo avviene così al di fuori delle intenzioni che ognuno di noi ne approfitta involontariamente e ne soffre inconsapevolmente.
Bisogna scrivere sotto l’influenza dello spirito di parte o della paura per mettere in dubbio la sincerità del Protezionismo, del Socialismo e persino del Comunismo, che non sono altro che una stessa pianta, in tre diversi stadi della sua crescita. Tutto ciò che si può dire è che la spoliazione è più visibile, per la sua parzialità, nel Protezionismo, per la sua universalità, nel Comunismo; ne consegue che dei tre sistemi il Socialismo è ancora il più vago, il più indeciso e, di conseguenza, il più sincero.
Se il protezionismo fosse concesso, in Francia, solo a una categoria, ad esempio i fabbri, sarebbe così assurdamente espropriante da non poter essere mantenuto. Così assistiamo allo spettacolo di tutte le industrie protette che si associano, fanno causa comune e propagandano il protezionismo in modo tale da sembrare che abbraccino l’intero lavoro nazionale. Sentono istintivamente che la spoliazione si maschera generalizzando.
Comunque sia, il fatto che la spoliazione legale abbia una delle sue radici nella falsa filantropia rende le intenzioni fuori discussione.
Una volta che siamo d’accordo su questo punto, esaminiamo il valore, l’origine e la fonte di questa aspirazione popolare che pretende di raggiungere il Bene Generale attraverso la Spoliazione Generale.
I socialisti ci dicono: visto che la Legge detta le regole per l’amministrazione della giustizia, perché non potrebbe regolare anche il lavoro, l’insegnamento, la religione?
Perché non saprebbe come regolare il lavoro, l’insegnamento, la religione, senza mettere a repentaglio la giustizia.
È necessario tenere sempre presente che dire Legge equivale a dire Forza e che, di conseguenza, il dominio della Legge non potrebbe andare oltre il dominio della Forza.
Quando la Legge e la Forza operano in modo tale che un essere umano rimanga nella Giustizia, non gli impongono altro che la pura negazione. Non gli impongono altro che l’astensione dal male. Non recano danno né alla sua personalità, né alla sua libertà, né alla sua proprietà. Si limitano a salvaguardare la personalità, la libertà e la proprietà degli altri. Si mantengono sulla difensiva; difendono l’uguale diritto di tutti gli esseri umani. Compiono una missione la cui innocuità è evidente, l’utilità palpabile e la legittimità indiscutibile.
Tutto questo è talmente vero che uno dei miei amici mi faceva notare che dire che lo scopo della Legge è far regnare la Giustizia comporta l’uso di un’espressione non propriamente esatta. Bisognerebbe dire: lo scopo della Legge è impedire che regni l’ingiustizia. Infatti, non è la Giustizia ad avere una sua esistenza, ma l’Ingiustizia. L’una risulta dalla mancanza dell’altra.
Ma quando la Legge – attraverso l’intermediario del suo agente necessario, la Forza – impone un modo di operare, un metodo o un modo di insegnare, una fede o un culto, non agisce più nei confronti degli esseri umani come un vincolo, ma come una costrizione. Sostituisce la volontà del legislatore alla sua volontà, l’iniziativa del legislatore alla sua iniziativa. Non è più loro compito esaminare, confrontare, prevedere; la Legge compie tutto questo al loro posto. L’uso delle facoltà intellettuali diventa un intreccio inutile; essi cessano di essere uomini e donne; perdono la loro personalità, la loro libertà, la loro proprietà.
Provate a immaginare una forma di lavoro imposta con la forza, che non sia un attacco alla Libertà; un trasferimento di ricchezza imposto con la forza, che non sia un attacco alla Proprietà. Se non riuscite a trovare una risposta, convenite che la Legge non può organizzare il lavoro e l’industria senza organizzare un regime di ingiustizia.
Quando, dal fondo del suo studio, uno scrittore getta lo sguardo sulla società, è colpito dallo spettacolo della disuguaglianza che ha davanti. È rattristato dalle sofferenze che sono la realtà di un gran numero di nostri fratelli, sofferenze la cui vista è resa ancora più dolorosa dal contrasto con il lusso e l’opulenza.
Dovrebbe forse chiedersi se un tale stato di cose non abbia come causa antiche spoliazioni, esercitate attraverso la conquista, e nuove spoliazioni, messe in atto attraverso il diritto. Dovrebbe chiedersi se, dato che l’aspirazione di tutti gli esseri umani al benessere e alla perfezione è un dato di fatto, il regno della giustizia non sia sufficiente a realizzare il massimo progresso e la massima uguaglianza, compatibilmente con questa responsabilità individuale che Dio ha riservato come giusta ricompensa delle virtù e dei vizi.
Non ci pensa affatto. Il suo pensiero è rivolto a combinazioni, accordi, ordini legali o fittizi. Cerca la soluzione nell’estensione nello spazio e nel tempo di ciò che ha prodotto la situazione malsana.
Infatti, al di là della giustizia che, come abbiamo visto, non è altro che una vera e propria negazione, c’è qualcosa di questa disposizione giuridica che non racchiuda il principio della spoliazione?
Si dice: “Qui ci sono persone che non hanno ricchezze” – e ci si rivolge alla Legge. Ma la Legge non è una mammella che si riempie da sola, o le cui vene lattifere vanno a succhiare altrove, se non nella società. Nulla viene incamerato dalle casse dello Stato, a beneficio di un individuo o di una classe, senza che altri individui e altre classi siano costretti a pagare. Se ciascuno ricava solo l’equivalente di ciò che ha versato, la vostra legge, è vero, non espropria, ma in questo caso non realizza nulla per le persone che non hanno ricchezza, non lavora affatto per l’uguaglianza.
Non può essere uno strumento di livellamento nella misura in cui toglie ad alcuni per dare ad altri, e allora è uno strumento di spoliazione. Esaminate da questo punto di vista il protezionismo delle tariffe doganali, i premi all’esportazione, il diritto al profitto, il diritto al lavoro, il diritto all’assistenza, il diritto all’istruzione, l’imposta progressiva, le agevolazioni creditizie, le imprese finanziate dallo Stato, e troverete sempre alla base di tutto una spoliazione legale, un’ingiustizia organizzata.
Si dice: “Qui ci sono persone che mancano di conoscenza” e ci si rivolge alla Legge. Ma la Legge non è una torcia che irradia in lontananza una luce propria. Scende su una società in cui ci sono individui che sanno e altri che non sanno; cittadini che hanno bisogno di imparare e altri che sono disposti a insegnare. Può fare solo una delle due cose: lasciare che questo scambio avvenga liberamente, lasciando che questo tipo di bisogno sia soddisfatto liberamente; oppure forzare le volontà e prendere dagli uni ciò che serve per pagare i professori incaricati di istruire gli altri gratuitamente. Ma non può che commettere, nel secondo caso, un attacco alla Libertà e alla Proprietà, cioè una Spoliazione Legale.
Voi dite: “Qui ci sono persone che mancano di moralità o di senso religioso”, e vi rivolgete alla Legge. Ma la Legge significa la Forza, e c’è bisogno di dirvi quanto sia violento e sciocco portare la forza in queste aree?
Arrivato alla realizzazione di questi sistemi e al compimento dei suoi sforzi, sembra che il socialismo, per quanto soddisfatto di se stesso, non possa fare a meno di rendersi conto di aver dato vita al mostro della spoliazione legale. Ma cosa fa allora? Lo camuffa abilmente agli occhi di tutti, anche dei suoi, sotto le affascinanti parole di Fraternità, Solidarietà, Organizzazione, Associazione. E poiché noi non pretendiamo tanto dalla Legge, poiché chiediamo solo Giustizia, egli avanza la supposizione che noi rifiutiamo la fraternità, la solidarietà, l’organizzazione, l’associazione, e ci lancia l’epiteto di individualisti.
Che egli sappia dunque che ciò che noi respingiamo, non è l’organizzazione naturale, ma l’organizzazione forzata.
Non è l’associazione libera, ma solo quelle forme di associazione che egli pretende di imporci.
Non è la fraternità spontanea, ma la fraternità sottoposta alla legge.
Non è la solidarietà provvidenziale, ma la solidarietà artificiale, che non è altro che un ingiusto trasferimento di Responsabilità .
Il Socialismo, al pari della vecchia politica da cui esso emana, confonde il Governo e la Società. Per questo motivo, tutte le volte che noi non vogliamo che una cosa venga fatta dal Governo, ne conclude che noi non vogliamo che quella cosa sia fatta del tutto.
1) Noi respingiamo l’istruzione gestita dallo Stato; allora non vogliamo l’istruzione.
2) Noi respingiamo una religione di Stato; allora non vogliamo la religione.
3) Noi respingiamo l’uguaglianza imposta dallo Stato; allora non vogliamo l’uguaglianza, e così via.
È come se ci si accusasse di non volere che gli esseri umani si nutrano, perché siamo contro la coltivazione del grano da parte dello Stato.
Come ha potuto imporsi, nel mondo politico, l’idea bizzarra di far derivare dalla Legge ciò che in essa non esiste: il Bene, in maniera concreta, la Ricchezza, la Scienza, la Religione?
Gli intellettuali moderni, in particolare quelli della scuola socialista, fondano le loro diverse teorie su una comune ipotesi, di sicuro la più strana, la più imbevuta di presunzione che possa mai prodursi in un cervello umano.
Essi ripartiscono l’umanità in due classi. La totalità degli individui, meno uno, compone la prima classe; l’intellettuale, da solo, forma la seconda classe, quella secondo lui molto più importante.
In effetti, costoro partono dalla supposizione che gli individui non posseggano nel loro intimo né un principio d’azione, né un mezzo di valutazione; che sono privi di iniziativa; che sono fatti di materia inerte, di molecole passive, di atomi senza spontaneità, tutt’al più una vegetazione incurante del proprio modo di esistere, suscettibile di essere plasmata, da una volontà e da una forza esteriore, in un numero infinito di forme più o meno simmetriche, artistiche, perfettibili.
Infine ciascuno di essi suppone senza alcun dubbio di essere lui stesso, sotto il nome di Organizzatore, Rivelatore, Legislatore, Istitutore, Fondatore, questa volontà e questa forza, questo motore universale, questa potenza creatrice la cui sublime missione è di congregare in società questi elementi sparsi che sono gli esseri umani
Muovendo da questa convinzione, al pari di un giardiniere che, secondo il suo capriccio, modella le sue siepi a forma di piramidi, ombrelloni, cubi, coni, vasi, a spalliera, a fuso, a ventaglio, così ogni socialista, seguendo la sua ispirazione, ritaglia la misera umanità in gruppi, serie, centri, sotto-centri, alveoli, laboratori sociali, armonici, conflittuali, ecc. ecc.
E come il giardiniere, per modellare gli arbusti ha bisogno di asce, seghe, roncole e forbici, colui che scrive, per organizzare la sua società, ha bisogno di forze che egli non può trovare se non nelle Leggi; leggi sul commercio, leggi tributarie, leggi sull’assistenza, leggi sull’istruzione.
È vero che i socialisti considerano l’umanità come una materia adatta alle combinazioni sociali; è anche vero che se, per caso, essi non sono così sicuri del successo di queste combinazioni, reclamano nondimeno un nucleo ridotto dell’umanità come materiale da esperimento: si sa quanto sia popolare presso di loro l’idea di sottoporre a esperimento tutti i sistemi, e si è visto uno dei loro capi chiedere in tutta serietà, dinanzi all’assemblea costituente, un comune con tutti i suoi abitanti per fare le sue prove. È così che ogni inventore costruisce il suo piccolo modello prima di passare alla costruzione in grande. È così che il chimico sacrifica alcuni reagenti, che l’agricoltore sacrifica alcune sementi e un piccolo appezzamento di terreno per fare delle prove.
Ma quale distanza incommensurabile tra il giardiniere e i suoi alberi, tra l’inventore e i suoi congegni, tra il chimico e i suoi reagenti, tra l’agricoltore e le sue sementi!…Il socialista crede in buona fede che la stessa distanza lo separi dall’umanità.
Non bisogna stupirsi che gli scrittori del diciannovesimo secolo considerino la società come una creazione artificiale uscita dalla mente geniale del Legislatore.
Questa idea, frutto dell’educazione classica, ha dominato tutti i pensatori, tutti i grandi scrittori del nostro paese. Tutti hanno visto tra l’umanità e il legislatore gli stessi rapporti che esistono tra l’argilla e il vasaio.
E non è tutto; se essi hanno accettato di riconoscere nell’animo dell’essere umano un principio di azione, e nella sua ragione, un principio di discernimento, essi hanno pensato che Dio, comportandosi così, gli aveva fatto un dono funesto e che l’umanità, sotto l’influsso di questi due motori, si avviava fatalmente verso il suo degrado. Essi hanno di fatto proclamato che, lasciato alle sue inclinazioni, l’umanità non si occuperebbe di religione se non per sfociare nell’ateismo, abbandonerebbe la trasmissione del sapere per ripiombare nell’ignoranza, si disinteresserebbe delle attività e degli scambi per spegnersi nella miseria.
Fortunatamente, secondo questi stessi pensatori, ci sarebbero alcuni individui, chiamati Governanti, Legislatori, che hanno ricevuto dal cielo, non solamente per sé stessi, ma a vantaggio di tutti gli altri, tendenze opposte.
Mentre l’umanità pende verso il Male, essi sono rivolti al Bene; mentre l’umanità marcia verso le tenebre dell’ignoranza, essi aspirano alla luce del sapere; mentre l’umanità è trascinata verso il vizio, essi sono attirati dalla virtù.
E, una volta accettato ciò, essi reclamano la Forza, di modo che essa consenta loro di sostituire le loro proprie tendenze alle tendenze del genere umano.
Basta aprire, quasi a caso, un libro di filosofia, di politica o di storia, per rendersi conto di quanto sia fortemente radicata nel nostro Paese questa concezione, figlia degli studi classici e madre del socialismo, cioè l’idea che l’umanità sia una materia inerte che riceve dal potere vita, organizzazione, morale e benessere; o meglio, ed è ancora peggio, che l’umanità lasciata a se stessa tenda alla vera e propria degradazione e sia arrestata su questa brutta china solo dalla mano misteriosa del Legislatore. Ovunque le idee classiche convenzionali ci mostrano, alle spalle della società passiva, un potere occulto che, sotto il nome di Legge, Legislatore, o sotto questa più facile e vaga espressione del tipo SI’ provvederà, SI’ interverrà… muove l’umanità, la anima, la arricchisce e la moralizza.
Bossuet. Una delle cose che SI (da chi?) imprime più fortemente nell’anima degli egiziani è l’amore per la patria… Non potevano essere inutili per lo Stato; la Legge assegnava a ciascuno un impiego specifico, che veniva tramandato di padre in figlio.
SI non poteva avere due lavori o cambiare professione… ma c’era un’occupazione che doveva essere comune, ed era lo studio delle leggi e della saggezza. L’ignoranza della religione e delle norme vigenti nel Paese non era ammessa in alcun modo. Del resto, ogni professione aveva il suo quartiere assegnato (da chi?)…
All’interno delle buone leggi, ciò che c’era di meglio era il fatto che tutti fossero nutriti (da chi?) nello spirito di osservazione…
Le loro usanze arricchirono l’Egitto di meravigliose invenzioni, mentre non ignorarono quasi nulla che potesse rendere la vita confortevole e pacifica. “
Così, gli individui, secondo Bossuet, non sono in grado di procurarsi nulla da soli: patriottismo, ricchezza, attività, saggezza, invenzione, lavoro, scienza, tutto si realizza attraverso l’opera delle Leggi o dei Re. Per loro si trattava solo di lasciarsi fare. È a questo punto che, avendo Diodoro rimproverato agli Egizi di non accettare la lotta fisica e la musica, Bossuet lo riprende. Come è possibile, dice, visto che queste arti sono state inventate da Trismegisto?
Lo stesso presso i Persiani:
“Una delle prime preoccupazioni del principe era quella di far prosperare l’agricoltura… Come c’erano dei doveri stabiliti per la conduzione degli eserciti, così c’era da sorvegliare il lavoro dei campi… Il rispetto che l’SI instillava nei Persiani verso l’autorità reale arrivava all’eccesso. “
I Greci, pur essendo pieni di iniziativa, non erano meno incapaci di dominare il proprio destino, al punto che, da soli, non sarebbero arrivati, come i cani e i cavalli, al livello dei più semplici divertimenti. È un classico, un fatto scontato che tutto provenga da popolazioni esterne.
“I Greci, naturalmente pieni di iniziativa e di coraggio, erano stati educati molto presto dai re e dai coloni venuti dall’Egitto. Lì avevano imparato gli esercizi del corpo, la corsa a piedi, a cavallo e sui carri… Ciò che gli egiziani avevano insegnato loro meglio era di rendersi docili, di lasciare che le leggi li addestrassero per il bene pubblico. “
Fénelon. Nutrito nello studio e nell’ammirazione dell’antichità, testimone del potere di Luigi XIV, Fénelon non poteva certo sfuggire all’idea che l’umanità è passiva, e che le sue disgrazie come le sue fortune, le sue virtù come i suoi vizi, le provengono da un’azione esterna, esercitata su di essa dalla Legge o da chi la fa. Così, nel suo Salento utopico, egli pone gli individui, con i loro interessi, le loro facoltà, i loro desideri e i loro beni, all’assoluta discrezione del Legislatore. Per quanto riguarda qualsiasi questione, non sono mai loro a giudicare da soli, ma è il Principe.
La nazione non è che materia informe, di cui il Principe è l’anima. È in lui che risiede il pensiero, la lungimiranza, il principio di ogni organizzazione, di ogni progresso e, di conseguenza, della Responsabilità.
Per dimostrare questa affermazione, dovrei trascrivere qui l’intero X libro di Telemaco. Rimando il lettore al testo originale e mi accontento di citare alcuni passi presi a caso da quel famoso poema, al quale, per altri aspetti, sono il primo a rendere giustizia.
Con quella sorprendente credulità che caratterizza i classici, Fénelon ammette, nonostante il peso dei ragionamenti e dei fatti, la felicità generale degli Egizi e la attribuisce non alla loro saggezza, ma a quella dei loro re.
“Non possiamo gettare lo sguardo sui due fiumi senza notare l’esistenza di città opulente, di case rustiche piacevolmente situate, di terreni coperti ogni anno da un muschio dorato che non smette mai di produrre, di praterie fitte di mandrie, di lavoratori colmi dei frutti che la terra spargeva dal suo seno, di cacciatori che facevano risuonare ai quattro venti il dolce suono dei loro flauti e delle loro cornamuse. Felice, proclamò Mentore, è il popolo che è governato da un re saggio.
Così il Mentore mi faceva notare la gioia e l’abbondanza disseminate nelle campagne dell’Egitto, dove c’erano fino a ventiduemila città; la giustizia esercitata a favore dei poveri contro i ricchi; la buona educazione dei figli, che venivano educati all’obbedienza, al lavoro, alla sobrietà, all’amore per le arti e le lettere; l’accuratezza nell’esecuzione di tutte le cerimonie religiose, l’altruismo, il desiderio di onore, la lealtà verso gli esseri umani e il timore per gli dei, che ogni padre comunicava ai suoi figli. Non smetteva mai di ammirare questo ordine sublime. Felice, mi disse, è il popolo che un re saggio governa in questo modo”.
Fénelon fa di Creta un ritratto idilliaco ancora più seducente. Poi aggiunge, per bocca di Mentore:
“Tutto ciò che vedrete in questa meravigliosa isola è il risultato delle leggi di Minosse. L’educazione che ha fatto impartire ai bambini rende il corpo sano e robusto. SI li abitua fin dall’inizio a una vita semplice, frugale e laboriosa. SI parte dal presupposto che ogni desiderio indebolisca il corpo e lo spirito. Non si propone loro altro piacere che quello di essere invincibili grazie alla virtù e di guadagnare molta gloria…. Qui SI punisce tre vizi che restano impuniti presso altri popoli, l’ingratitudine, la falsità e l’avarizia. Quanto all’ostentazione e alla mollezza, non c’è bisogno che SI le reprima, perché sono sconosciute a Creta… Non sono ammessi nell’SI né mobili preziosi, né abiti sfarzosi, né feste voluttuose, né palazzi dorati”.
Così Mentore prepara il suo allievo a macinare e manipolare, senza dubbio con lo scopo più filantropico, il popolo di Itaca e, per maggiore sicurezza, gli offre l’esempio di Salento.
È così che nascono le prime nozioni di politica. Ci viene insegnato a trattare gli esseri umani in modo approssimativo, come Olivier de Serres insegna agli agricoltori a trattare e concimare il terreno.
Montesquieu. – Per conservare lo spirito del commercio, è necessario che tutte le leggi lo favoriscano; che queste stesse leggi, attraverso le loro disposizioni, ripartendo le fortune in modo tale che il commercio le accresca, mettano ogni cittadino povero in un’agiatezza sufficientemente grande da poter lavorare come gli altri, e ogni cittadino ricco in una condizione così precaria da dover lavorare per mantenere ciò che ha o per accrescerlo…”.
Così le Leggi dominano su tutte le fortune.
“Sebbene in democrazia l’uguaglianza reale sia l’anima dello Stato, tuttavia è così difficile da raggiungere che un’estrema precisione in questo senso non sarebbe sempre favorevole. Per il SI è sufficiente stabilire un canone che riduca o fissi le differenze a un certo livello. Dopodiché, spetta alle leggi specifiche equiparare, per così dire, le disuguaglianze, attraverso gli oneri che impongono ai ricchi e le agevolazioni che concedono ai poveri… “
Si tratta ancora una volta di equiparare le fortune attraverso la legge, cioè attraverso l’uso della forza.
“In Grecia esistevano due tipi di repubbliche. Quelle militari, come Lacedemone, e quelle commerciali, come Atene. Nelle prime SI voleva che i cittadini fossero oziosi; nelle seconde SI cercava di inculcare l’amore per il lavoro”.
“Vi invito a prestare un po’ di attenzione al grande genio di questi legislatori per vedere che, sovvertendo tutti i costumi e le abitudini del passato, confondendo tutte le virtù, hanno mostrato a tutti la loro saggezza. Licurgo, creando una società in cui i piccoli furti si mescolavano con lo spirito di giustizia, la schiavitù più dura con l’estrema libertà, i sentimenti più atroci con la massima moderazione, diede stabilità alla sua città. Sembrava toglierle tutte le risorse, le arti, il commercio, il denaro e le mura della città: si ha ambizione anche senza la speranza di essere migliori; si hanno sentimenti naturali, anche se non si è né figli, né mariti, né padri; la stessa modestia è sottratta alla castità. È attraverso questa via che Sparta viene condotta alla grandezza e alla gloria…”.
“ Questo fatto straordinario che si è visto nelle istituzioni della Grecia, lo abbiamo visto nella feccia e nella corruzione dei tempi moderni. Un legislatore onesto ha formato un popolo in cui la probità appare naturale come il coraggio tra gli spartani. M. Penn è un vero Licurgo, e anche se l’uno aveva come obiettivo la pace e l’altro la guerra, si assomigliano per il singolare percorso in cui hanno posto il loro popolo, per l’ascendente che hanno avuto sugli uomini liberi, per i pregiudizi che hanno superato, per le passioni che hanno sottomesso”.
“Il Paraguay può fornirci un altro esempio. È stato inteso come un crimine della Società, che considera il piacere di governare come l’unico bene della vita; ma sarà sempre nobile governare gli individui rendendoli più felici…”
“Coloro che desiderano stabilire tali istituzioni introdurranno la comunione dei beni come nella Repubblica di Platone, lo stesso rispetto che egli esigeva verso gli dei, quella separazione verso gli stranieri per la conservazione dei costumi, con la città che si occupa del commercio e non dei cittadini; svilupperanno le nostre arti senza il nostro lusso, e i nostri bisogni senza le nostre voglie”.
L’infatuazione comune griderà sicuramente: questa è l’opera di Montesquieu, quindi è magnifica! È sublime! Io avrò il coraggio delle mie opinioni e dirò:
Cosa! voi avete la spudoratezza di trovare tutto ciò attraente!
Ma è disgustoso! abominevole! e questi brani, che potrei moltiplicare, dimostrano che, nella concezione di Montesquieu, le persone, le libertà, la proprietà, l’umanità intera non sono che materiali adatti all’esercizio della sagacia del legislatore.
Rousseau. Nonostante questo scrittore, l’autorità suprema tra i sostenitori della democrazia, faccia poggiare l’edificio sociale sulla volontà generale, nessuno ha accettato più ampiamente di lui l’ipotesi della passività dell’uomo di fronte al legislatore.
” Se è vero che un grande principe è un essere umano raro, che dire di un grande legislatore? Il primo deve solo seguire il modello che l’altro deve proporre. Il secondo è il meccanico che inventa la macchina, l’altro non è che l’operaio che la costruisce e la fa funzionare”.
E in tutto questo, che ruolo hanno gli esseri umani? Sono la macchina che viene costruita e fatta funzionare, o meglio la materia prima di cui la macchina è fatta!
Così tra il Legislatore e il Principe, tra il Principe e i sudditi, esiste lo stesso rapporto che esiste tra l’agronomo e il contadino, tra il contadino e la terra. A quale livello superiore all’umanità si colloca poi l’intellettuale, che impartisce direttive ai legislatori stessi e insegna loro il mestiere in termini così imperativi:
” Volete dare sostanza allo Stato? Avvicinate il più possibile i gradi estremi. Non ammettete né persone molto ricche né mendicanti.
Se il suolo è ingrato o sterile, o il paese è troppo denso di abitanti, dedicatevi all’industria e alle arti, i cui prodotti darete in cambio delle derrate alimentari di cui avete bisogno… Su un buon terreno, privo di abitanti, dedicate tutte le vostre cure all’agricoltura, che moltiplica gli esseri umani, e abbandonate le arti, che servirebbero solo a spopolare il paese…. Occupatevi dei fiumi ampi e comodi per la navigazione, coprite il mare con le navi, avrete un’esistenza luminosa e breve. Il mare bagna solo coste rocciose e inaccessibili, rimanete barbari e mangiatori di pesce, vivrete più tranquilli, forse meglio, e, certamente, più felici.
In sostanza, al di là delle massime comuni a tutti, ogni popolo contiene in sé un motivo che lo dispone in modo particolare e rende le sue leggi peculiari solo ad esso. È così che un tempo gli ebrei, e recentemente gli arabi, avevano come obiettivo principale la religione, gli ateniesi le lettere, Cartagine e Tiro il commercio, Rodi la marina, Sparta la guerra e Roma la virtù.
L’autore dello Spirito delle leggi ha mostrato con quale arte il legislatore dirige l’istituzione verso ciascuno di questi fini…. Ma se il legislatore, sbagliando i suoi fini, prende un principio diverso da quello che deriva dalla natura delle cose, secondo cui l’uno tende alla servitù e l’altro alla libertà; l’uno alla ricchezza, l’altro al numero di abitanti; l’uno alla pace, l’altro alle conquiste, si vedrà che le leggi si indeboliscono senza rendersene conto, la costituzione viene alterata, e lo stato non cesserà di essere agitato finché non sarà distrutto o trasformato, e la natura invincibile non avrà ripreso il suo dominio. “
Ma se la natura è abbastanza invincibile da riprendere il suo dominio, perché Rousseau non ammette che non ha avuto bisogno del legislatore per sostituirla fin dall’inizio? Perché non ammette che obbedendo alla propria iniziativa gli esseri umani si dedicheranno spontaneamente al commercio su fiumi ampi e comodamente navigabili, senza che un Licurgo, un Solone, un Rousseau si intromettano nel rischio di sbagliare? In ogni caso, si comprende la terribile responsabilità che Rousseau attribuisce agli inventori, agli istigatori, ai direttori, ai legislatori e ai manipolatori delle società. Allo stesso modo è molto esigente nei loro confronti.
“Chi osa avventurarsi nell’impresa di educare un popolo deve sentirsi nella situazione di alterare, per così dire, la natura umana, di trasformare ogni individuo che, di per sé, è un insieme perfetto e unico, in una parte di un insieme più grande, da cui questo individuo riceve, in tutto o in parte, la sua esistenza e il suo essere; di alterare la costituzione dell’essere umano per rafforzarla, di sostituire un’esistenza parziale e morale all’esistenza fisica e indipendente che tutti abbiamo ricevuto dalla natura. È necessario, in una parola, togliere all’individuo le sue forze per affidargliene altre che gli sono estranee…”.
Povera specie umana, cosa ne faranno i seguaci di Rousseau della tua dignità?
Raynal. – Il clima, cioè il cielo e il suolo, è la prima regola del legislatore. Le risorse di cui dispone gli dettano il compito. È innanzitutto la situazione locale che deve consultare.
Una popolazione gettata sulle coste del mare avrà leggi relative alla navigazione…. Se la colonia viene spostata nell’entroterra, un legislatore deve prevedere sia il loro sesso che il loro grado di fertilità… “
“È soprattutto nella distribuzione della proprietà che la saggezza delle leggi si manifesterà oltre misura. In generale, in tutti i Paesi del mondo, quando si fonda una colonia, la terra dovrebbe essere distribuita a tutti i nuovi abitanti, cioè a ciascuno un pezzo di terra sufficiente per il mantenimento della famiglia…”
“In un’isola selvaggia, qualora fosse popolata da bambini, non si dovrebbe fare altro che lasciare che i germi della verità sboccino nei processi di sviluppo della ragione…. Ma quando si insedia un popolo già vecchio in un nuovo paese, l’abilità consiste nel lasciargli solo le opinioni e le abitudini dannose da cui non si può del tutto curare e correggere. Se si vuole evitare che si trasmettano, allora si veglierà sulla seconda generazione attraverso un’educazione comune e pubblica dei figli. Un principe, un legislatore, non dovrebbe mai fondare una colonia senza prima inviarvi persone sagge per l’educazione dei giovani…
In una colonia in via di formazione, tutte le opportunità sono aperte agli interventi del legislatore che desidera purificare il sangue e i costumi di un popolo. Supponendo che abbia genio e virtù, le terre e gli esseri umani che avrà tra le mani ispireranno nel suo animo un piano di società, che un intellettuale non può mai delineare se non in modo vago e soggetto all’instabilità dei presupposti, che variano e si complicano con un’infinità di circostanze troppo difficili da prevedere e da legare insieme…”
Non sembra di sentire un professore di agricoltura che dice ai suoi studenti: “Il clima è la prima regola che l’agricoltore deve tenere in considerazione”. È innanzitutto la sua situazione sul campo che deve rispettare.
Se si trova su un terreno argilloso, deve comportarsi in un certo modo. Se si trova su un terreno sabbioso, ecco come deve procedere. Tutte le strade sono aperte all’agricoltore che vuole diserbare e migliorare il proprio terreno. Supponendo che abbia capacità, la natura del terreno, i fertilizzanti a sua disposizione, gli ispireranno un piano di utilizzo del suolo, che un professore non può mai delineare se non in modo vago e soggetto all’instabilità delle ipotesi, che variano e si complicano con un’infinità di circostanze troppo difficili da prevedere e combinare”.
Ma, sublimi scrittori, cercate di ricordarvi ogni tanto che questa argilla, questa sabbia, questo concime, di cui disponete così arbitrariamente, sono Esseri Umani, uguali a voi, intelligenti e liberi come voi, che hanno ricevuto da Dio, come voi, la facoltà di vedere, prevedere, pensare e giudicare autonomamente!
Mably. – (Pensa che le leggi si siano arrugginite con il tempo, con l’abbandono della sicurezza, e continua così):
“In queste circostanze, bisogna convincersi che le forze di governo si sono indebolite. Dare loro una nuova tensione (è al lettore che Mably si rivolge), e il male sarà guarito…
Non preoccupatevi tanto di punire gli errori quanto di incoraggiare le virtù di cui avete bisogno. Con questo metodo restituirete alla vostra repubblica il vigore della giovinezza. È non avendo conoscenza dei popoli liberi che essi hanno perso la loro libertà! Ma se lo stato del male è talmente avanzato che i magistrati ordinari non possono porvi efficacemente rimedio, ricorrete a una magistratura straordinaria, che ha ampi poteri per un periodo limitato. L’immaginazione dei cittadini deve essere colpita in quel momento…”.
E continua così nel corso dei venti volumi.
C’è stato un tempo in cui, sotto l’influenza di questi insegnamenti, che sono alla base dell’educazione classica, ognuno voleva porsi al di fuori e al di sopra dell’umanità, per modificarla, organizzarla e istruirla a modo suo.
Condillac. Agisci, o mio signore, come un Licurgo o un Solone. Prima di continuare a leggere questo, divertiti a dare leggi a qualche popolo selvaggio dell’America o dell’Africa.
Radicate questi esseri erranti in dimore fisse; insegnate loro a nutrire le greggi …; lavorate per sviluppare le qualità sociali che la natura ha posto in loro …
Ordinate loro di iniziare a praticare i doveri dell’umanità… Avvelenate con i castighi i piaceri che le passioni promettono, e vedrete questi barbari, ad ogni articolo delle vostre leggi, perdere un vizio e acquisire una virtù”.
“Tutti i popoli hanno avuto leggi. Ma pochi tra loro sono stati felici. Qual è la causa di ciò? Il fatto che i legislatori hanno quasi sempre ignorato che lo scopo della società è quello di unire le famiglie attraverso un interesse comune”.
“L’imparzialità delle leggi consiste in due aspetti: nello stabilire l’uguaglianza delle fortune e nella dignità dei cittadini…. Man mano che le vostre leggi stabiliscono una maggiore uguaglianza, diventeranno più attraenti per ogni cittadino…. Come è possibile che l’avarizia, l’ambizione, la lussuria, l’ozio, l’invidia, l’odio, la gelosia, possano impossessarsi di individui uguali per fortuna e dignità, e ai quali le leggi non lascerebbero alcuna speranza di rompere l’uguaglianza? ” (Segue l’idillio).
“Ciò che vi è stato detto sulla Repubblica di Sparta deve illuminarvi molto su questo argomento. Nessun altro Stato ha mai avuto leggi più conformi all’ordine della natura e dell’uguaglianza”.
Non sorprende che i secoli XVII e XVIII considerassero l’umanità come una materia inerte in attesa, che riceveva tutto, forma, immagine, stimolo, movimento e vita da un grande Principe, un grande Legislatore, un grande Genio. Questi secoli si sono nutriti dello studio dell’antichità, e l’antichità ci offre ovunque, in Egitto, in Persia, in Grecia, a Roma, lo spettacolo di pochi uomini che manipolano a loro piacimento l’umanità asservita con la forza o con l’inganno.
Cosa dimostra questo? Il fatto che, poiché gli esseri umani e la società sono perfettibili, l’errore, l’ignoranza, il dispotismo, la schiavitù, la superstizione, devono accumularsi maggiormente all’inizio dei tempi. Il torto degli scrittori che ho citato non è quello di aver osservato il fatto, ma di averlo proposto, come regola, all’ammirazione e all’imitazione delle generazioni future. Il loro torto è quello di aver ammesso, con incredibile assenza di senso critico e sulla base di puerili convenzioni, ciò che è inammissibile, cioè la grandezza, la dignità, la moralità e il benessere di queste società fittizie dell’antichità, di non aver capito che il corso della storia produce e diffonde la luce della civiltà; che, quando la civiltà si diffonde, la forza passa dalla parte del Diritto e la società si riappropria di se stessa.
E in effetti, qual è l’opera politica a cui stiamo assistendo? Non è altro che l’istintivo sforzo di tutti i popoli verso la libertà. Perché un popolo sia felice, è indispensabile che gli individui che ne fanno parte siano previdenti, prudenti e abbiano quella fiducia reciproca che nasce dalla sicurezza. Ora, l’essere umano non può ottenere queste cose se non attraverso l’esperienza. Diventa previdente quando ha sofferto per non aver previsto, prudente quando la sua imprudenza è stata spesso punita, ecc. Il risultato è che la libertà comincia sempre ad essere accompagnata dai mali che derivano dal suo uso sconsiderato.
Di fronte a questo spettacolo, c‘è sempre chi chiede di mettere fuori legge la libertà. “Che lo Stato, dicono, sia previdente e prudente per tutti”. A questo proposito, mi chiedo:
1) È possibile? Può uno Stato con esperienza nascere da un popolo che ne è privo? In ogni caso, questo non significa soffocare l’esperienza alla sua nascita?
2) Se il potere detta le azioni individuali, come può l’individuo imparare dalle conseguenze delle sue azioni? Sarà allora per sempre sotto tutela?
3) E lo Stato, avendo comandato tutto, sarà responsabile di tutto. In tutto questo c’è un focolaio di rivoluzioni, e di rivoluzioni senza fine, perché saranno opera di un popolo al quale, impedendo l’esperienza, è vietato il progresso.
(Pensiero tratto dai manoscritti di Bastiat)
E cos’è la Libertà, questa parola che ha il potere di far battere tutti i cuori e di smuovere il mondo intero, cos’è se non l’insieme di tutte le libertà, la libertà di coscienza, di insegnamento, di associazione, di stampa, di movimento, di lavoro, di scambio; in altre parole, il libero esercizio, per tutti, di tutte le facoltà che non danneggiano nessuno; in altre parole ancora, la distruzione di tutti i dispotismi, anche di quello giuridico, e la riduzione della Legge al suo unico attributo razionale, che è quello di regolarizzare il diritto individuale di autodifesa o di reprimere l’ingiustizia.
Questa tendenza dell’umanità, bisogna riconoscerlo, è fortemente ostacolata, soprattutto nel nostro Paese, dall’infelice atteggiamento, frutto dell’insegnamento classico, comune a tutti gli intellettuali, di porsi al di fuori dell’umanità per modificarla, organizzarla e istruirla a modo loro.
Infatti, mentre la società si agita per raggiungere la Libertà, i grandi uomini che si pongono al suo comando, imbevuti di principi del XVII e XVIII secolo, non pensano ad altro che a piegarla sotto il dispotismo filantropico dei loro espedienti sociali e a farle sopportare docilmente, per dirla con Rousseau, il giogo della felicità pubblica, così come la immaginavano.
Lo si è visto bene nel 1789. Non era ancora stato distrutto del tutto l’apparato legale dell’Ancien Régime, che ci si è subito preoccupati di sottomettere la nuova società ad altre disposizioni artificiali, partendo sempre da questo punto fisso: l’onnipotenza della Legge.
Saint-Just. – «Il Legislatore dispone dell’avvenire. Spetta a lui volere il bene. Spetta a lui rendere gli esseri umani ciò che egli vuole essi siano.»
Robespierre. «La funzione del governo è quella di dirigere le forze fisiche e morali della nazione verso i fini della sua istituzione.»
Billaud-Varennes. «Occorre ricreare il popolo che si vuole rendere libero. Poiché occorre distruggere antichi pregiudizi, cambiare antiche abitudini, perfezionare i sentimenti depravati, tenere a freno i bisogni superflui, estirpare vizi inveterati; occorre dunque una azione forte, un impulso veemente…
Cittadini, l’inflessibile austerità di Licurgo divenne a Sparta la base indistruttibile della Repubblica; il carattere debole e fiducioso di Solone ripiombò Atene nella schiavitù. In questo parallelismo sta tutta la scienza di governo.»
Lepelletier. «Considerando a qual punto il genere umano si è degradato, mi sono convinto della necessità di operare una rigenerazione totale e, se così mi posso esprimere, di creare un nuovo popolo.»
Lo si vede, gli individui non sono nient’altro che dei materiali grezzi. Non sta a loro di volere il bene; – essi ne sono incapaci, – spetta al Legislatore, secondo Saint-Just. Gli individui non sono altro che ciò che egli vuole essi siano.
Seguendo Robespierre, che copia letteralmente Rousseau, il Legislatore comincia per determinare il fine istituzionale della nazione. A quel punto i governi non hanno altro da fare che dirigere verso quel fine tutte le forze fisiche e morali. La nazione essa stessa resta sempre passiva in tutto ciò, e Billaud-Varennes ci insegna che essa non deve avere che i pregiudizi, le abitudini, le simpatie e i bisogni che il Legislatore autorizza. Egli arriva a dire che l’inflessibile rigidità di un uomo è la base della repubblica.
Si è visto che, nel caso in cui il male è così grande che i magistrati ordinari non sono in grado di porvi rimedio, Mably consigliava la dittatura per far fiorire la virtù. «Ricorrete, egli dice, a una magistratura straordinaria, in carica temporaneamente e con notevoli poteri. L’immaginazione del cittadino deve essere colpita.» Questo insegnamento non è andato perduto.
Sentiamo Robespierre:
«La base del governo repubblicano è la virtù, e il suo strumento, in attesa che essa metta radici, è il terrore. Noi vogliamo sostituire, nel nostro paese, la morale all’egoismo, la probità all’onore, i principi agli usi, i doveri alle buone azioni, il dominio della ragione alla tirannia della moda, il disprezzo del vizio al disprezzo del malessere, la fierezza all’insolenza, la grandezza d’animo alla vanità, l’amore della gloria all’amore del denaro, le buone persone alla buona compagnia, il merito all’intrigo, la genialità allo spirito brillante, la verità allo scalpore, l’attrazione della felicità ai fastidi della voluttà, la grandezza dell’uomo alla piccolezza dei grandi, un popolo magnanime, potente, felice, a un popolo amabile, frivolo, miserabile, vale a dire tutte le virtù e tutti i miracoli della Repubblica a tutti i vizi e a tutto il ridicolo della monarchia.»
A quale alto livello al di sopra del resto dell’umanità si pone qui Robespierre!
E notate la circostanza nella quale egli parla. Egli non si limita ad esprimere il desiderio di un grande rinnovamento dell’animo umano, egli non si limita nemmeno al fatto che esso sarà il risultato di una normale amministrazione. No, egli vuole realizzarlo lui stesso attraverso il terrore. Il discorso, da cui è estratto questo puerile e pesante ammasso di posizioni contrapposte, aveva per oggetto di esporre i principi morali che devono dirigere un governo rivoluzionario.
Notate che, quando Robespierre viene a chiedere la dittatura, non è soltanto per respingere lo straniero e combattere le fazioni; è per far prevalere attraverso il terrore, e innanzitutto a spese della Costituzione, i suoi propri principi morali. La sua pretesa non chiede niente di meno che di estirpare dal paese, attraverso il terrore, l’egoismo, l’onore, gli usi, le buone maniere, la moda, la vanità, il gusto del denaro, la buona compagnia, l’intrigo, lo spirito arguto, il desiderio e la miseria. Solamente dopo che lui, Robespierre, avrà compiuto questi miracoli – come li chiama a ragione – egli permetterà alle leggi di riprendere il loro corso. – Eh! miserabili, che vi credete così grandi, che giudicate l’umanità così piccola, che volete tutto riformare, riformate prima voi stessi, e questo sarebbe già abbastanza.
Nonostante tutto, in generale, i signori Riformatori, Legislatori, e Intellettuali non chiedono di esercitare sull’umanità un dispotismo immediato. No, essi sono troppo moderati e troppo filantropi per pretendere ciò. Essi non reclamano altro che il dispotismo, l’assolutismo, l’onnipotenza della Legge. Soltanto essi aspirano a fare la Legge.
Per mostrare come questa strana inclinazione degli spiriti sia stata universale, in Francia, avrei dovuto non solo ricopiare tutto Mably, tutto Raynal, tutto Rousseau, tutto Fénelon, e lunghi estratti di Bossuet e Montesquieu, dovrei anche riprodurre per intero il processo verbale delle riunioni della Convenzione. Ma me ne guarderò bene, e rinvio il lettore a prendere visione direttamente di quei documenti.
Si pensa certo che questa idea abbia attratto Bonaparte. Egli l’ha abbracciata con ardore e l’ha messa energicamente in pratica. Considerandosi alla maniera di un chimico, egli non vide nell’Europa che una materia grezza su cui effettuare esperimenti. Ma ben presto questa materia si è manifestata come un potente reagente. Una volta privo di quasi tutte le sue illusioni, Bonaparte, a Sant’Elena, sembrò riconoscere che vi è una qualche iniziativa nei popoli, e si mostrò meno ostile alla libertà.
Questo non gli impedì tuttavia di lasciare come testamento questo insegnamento a suo figlio:
“Governare, significa diffondere la moralità, l’istruzione e il benessere.”
È forse a questo punto necessario mostrare attraverso delle citazioni noiose e stucchevoli da dove provengono Morelly, Babeuf, Owen, Saint-Simon, Fourier? Io mi limiterò a presentare al lettore alcuni estratti del libro di Louis Blanc sull’organizzazione del lavoro.
«Nel nostro progetto, la società riceva lo stimolo dal potere.».
In che consiste lo stimolo che il Potere dà alla società? Nell’imporre il piano di M. L. Blanc.
D’altro lato, la società, è il genere umano.
Dunque, in definitiva, il genere umano riceve lo stimolo da M. L. Blanc.
Affari suoi, dirà qualcuno. Senza dubbio il genere umano è libero di seguire i consigli di chicchessia. Ma non è così che M. L. Blanc vede la cosa. Egli intende che il suo piano sia convertito in Legge, e di conseguenza imposto con la forza dal potere.
« Nel nostro progetto, lo Stato non fa che dare al lavoro un insieme di leggi (vi pare poco), in virtù delle quali il movimento industriale può e deve compiersi in tutta libertà. Esso (lo Stato) non fa altro che porre la libertà su di un piano inclinato (nient’altro) di modo che essa discenda, una volta che essa vi è stata posta, attraverso la forza delle cose e il decorso naturale del meccanismo stabilito.»
Ma qual è questo piano inclinato? – Quello indicata da M. L. Blanc. – Non conduce per caso verso il baratro? – No, esso porta alla felicità. – Come mai allora la società non si pone spontaneamente su questa via? – Il motivo è che essa non sa ciò che vuole ed ha bisogno di uno stimolo – Chi le darà questo stimolo? – Il potere. – E chi darà impulso al potere? – L’inventore del meccanismo, M. L. Blanc.
Non usciamo mai da questo ragionamento circolare: da una parte l’umanità passiva e dall’altra un grande uomo che la mobilita attraverso l’intervento della Legge.
Una volta incamminata su questa strada, la società godrà forse almeno di qualche libertà? – Senza dubbio. – E di quale libertà si tratta?
«Diciamolo una volta per tutte: la libertà consiste non soltanto nel DIRITTO accordato, ma nel POTERE concesso all’individuo di esercitare e sviluppare le sue facoltà, sotto il dominio della giustizia e sotto la salvaguardia della legge.»
«E questa non è affatto una distinzione inutile: il significato è profondo, le sue conseguenze immense. Infatti, non appena si ammette che occorre all’individuo, per essere veramente libero, il POTERE di esercitare e di sviluppare le sue facoltà, ne risulta che la società deve a ciascuno dei suoi membri una istruzione appropriata, senza la quale lo spirito umano non può dispiegarsi, e gli strumenti di lavoro, senza i quali l’attività umana non può procedere. Ora, attraverso l’intervento di chi la società offrirà a ciascuno dei suoi membri l’istruzione appropriata e gli strumenti di lavoro necessari, se non attraverso l’intervento dello Stato?»
Così la libertà non è altro che il potere. – In che cosa consiste questo POTERE? – Nel possedere l’istruzione e gli strumenti di lavoro. – Chi garantirà l’istruzione e gli strumenti di lavoro? – La società, è suo compito – Attraverso l’intervento di chi la società garantirà gli strumenti di lavoro a coloro che ne sono privi? – Attraverso l’intervento dello Stato – A chi li prenderà lo Stato?
Spetta al lettore di trovare la risposta e di vedere dove conduce tutto ciò.
Uno dei fenomeni più strani del nostro tempo, e che stupirà probabilmente molti dei nostri nipoti, è il fatto che la dottrina che si basa su questa triplice ipotesi, l’inerzia radicale dell’umanità, l’onnipotenza della Legge, l’infallibilità del Legislatore, sia il simbolo sacro del partito che si proclama totalmente democratico.
È vero che si professa anche sociale.
In quanto democratico, ha una fede illimitata nell’umanità.
In quanto sociale, la mette al di sotto della melma.
Quando si tratta di diritti politici, quando si tratta di far uscire dal suo seno il corpo legislativo, oh! allora, a suo avviso, il popolo possiede la scienza infusa; esso è dotato di un tatto ammirabile; la sua volontà è sempre nel giusto, la volontà generale non può fallire. Il suffragio non potrebbe essere abbastanza universale. Nessuno deve alla società alcuna garanzia. La volontà e la capacità di scegliere bene sono sempre date per scontate. Può forse il popolo sbagliarsi? Non siamo forse nel secolo dei lumi? Che cosa dunque! Deve essere il popolo eternamente sotto tutela? Non ha esso conquistato i suoi diritti attraverso parecchi sforzi e sacrifici? Non ha esso forse dato abbastanza prove della sua intelligenza e della sua saggezza? Non è giunto alla sua maturità? Non è forse nella condizione di giudicare in maniera autonoma? Non conosce forse i suoi interessi? Vi è forse un uomo o una classe che osi rivendicare il diritto di sostituirsi al popolo, di decidere e di agire in sua vece? No, no, il popolo vuole essere libero, e sarà libero. Vuole dirigere i suoi propri affari, e li dirigerà.
Ma per il Legislatore una volta terminati i comizi elettorali, oh! allora la musica cambia. La nazione rientra nella passività, nell’inerzia, nel nulla, e il Legislatore acquista l’onnipotenza. A lui spetta inventare, dirigere, stimolare, organizzare.
L’umanità non ha che da lasciarsi fare; l’ora del dispotismo è suonata. E notate che la cosa è inevitabile; perché questo popolo, fino allora così illuminato, così dotato di moralità, così perfetto, non ha più alcuna inclinazione, o, se le ha, esse lo trascinano tutte verso il degrado. E se gli si lasciasse un po’ di libertà! Ma non sapete voi che, secondo M. Considérant, la libertà conduce fatalmente al monopolio? Non sapete che la libertà è la concorrenza? e che la concorrenza, secondo M. L. Blanc, è per il popolo un sistema che conduce all’annientamento totale, e per la borghesia una causa di rovina?
Sarà forse per questo che i popoli sono tanto più disastrati e in rovina quanto più essi sono liberi, ne sono testimoni la Svizzera, l’Olanda, L’Inghilterra e gli Stati Uniti?
Non sapete voi, sempre secondo M. L. Blanc, che la concorrenza porta dritto al monopolio, e che, per la stessa ragione, il libero mercato conduce all’innalzamento esagerato dei prezzi? Che la concorrenza tende a soffocare le fonti del consumo e spinge la produzione verso una attività pazzesca? Che la concorrenza forza la produzione ad accrescersi e il consumo a diminuire; da cui segue che i popoli liberi producono per non consumare; che essa è al tempo stesso oppressione e demenza, e che occorre assolutamente che M. L. Blanc se ne occupi?
Quale libertà, d’altronde, si potrebbe lasciare agli esseri umani? Forse la libertà di coscienza? Ma in questo caso tutti ne approfitteranno per diventare atei. La libertà d’insegnamento? Ma allora i padri si affretteranno a pagare dei professori che insegnino ai loro figli l’immoralità e la menzogna; d’altronde, se crediamo a M. Thiers, se l’insegnamento fosse lasciato alla libertà della nazione, cesserebbe di essere nazionale, e noi alleveremmo i nostri fanciulli nelle idee dei Mussulmani o degli Induisti, invece, grazie al dispotismo legale dell’università, essi hanno la fortuna di essere educati conformemente alle nobili idee dei Romani.
La libertà del lavoro? Ma questa è la concorrenza, che ha per effetto di lasciare tutti i prodotti invenduti, di sterminare il popolo e di mandare in rovina la borghesia. La libertà di scambio? Ma ben si sa, i fautori del protezionismo l’hanno mostrato a sazietà, che un individuo si rovina quando scambia liberamente e che, per arricchirsi, bisogna scambiare senza libertà. La libertà di associazione? Ma, secondo la dottrina socialista, libertà e associazione si escludono a vicenda, in quanto per l’appunto si tende a sottrarre agli individui la libertà soltanto per forzarli ad associarsi.
Voi dunque ben vedete che i democratico-socialisti non possono, in buona coscienza, lasciare agli individui alcuna libertà, in quanto, per loro natura, e nel caso in cui questi signori non mettano ordine, gli esseri umani tendono, da ogni parte, verso tutti i generi di degradazione e di corruzione.
Resta da capire, in questo caso, su quale base si esige per essi, con tanta insistenza, il suffragio universale.
Le pretese degli organizzatori portano a sollevare un’altra questione, che io ho loro posto di sovente, e alla quale, che io sappia, essi non hanno mai risposto.
Poiché le tendenze naturali dell’umanità sono abbastanza cattive al punto che gli si debba togliere la libertà, come è mai possibile che le tendenze degli organizzatori siano esse buone? I Legislatori e i loro agenti non fanno essi parte del genere umano? Si credono essi costituiti di un’altra sostanza rispetto al resto dell’umanità? Essi dicono che l’umanità, abbandonata a sé stessa, corre fatalmente verso il disastro perché i suoi istinti sono perversi. Essi pretendono arrestarla su questa china e spingerla verso una migliore direzione. Essi hanno dunque ricevuto dal cielo una intelligenza e delle virtù che li pongono al di fuori e al di sopra dell’umanità; allora, che essi mostrino i loro titoli. Loro vogliono essere pastori; vogliono che noi siamo il gregge. Questa combinazione presuppone in essi una superiorità naturale, di cui noi abbiamo certo il diritto di chiedere anticipatamente la prova.
Notate che quello che io contesto loro, non è il diritto di inventare delle combinazioni sociali, di divulgarle, di consigliarle, di sperimentarle su sé stessi, a loro spese e a loro rischio; ma bensì il diritto di imporle a noi tutti attraverso l’intermediazione della Legge, vale a dire di forze e risorse pubbliche.
Io chiedo che Cabetisti, Fourieristi, Proudhoniani, Universalisti, Protezionisti non rinuncino alle loro idee particolari, ma a quell’idea che è loro comune, di assoggettarci con la forza ai loro gruppi e classi, ai loro ateliers sociali, alla loro banca gratuita, alla loro moralità greco-romana, alle loro imprese commerciali. Quello che io domando loro, è di lasciarci la facoltà di giudicare i loro piani e di non associarci, direttamente o indirettamente, se noi troviamo che essi offendono i nostri interessi, o ripugnano alla nostra coscienza.
Infatti la pretesa di far intervenire il potere e le tasse, oltre ad essere oppressiva e spoliatrice, implica anche questa ipotesi pregiudiziale: l’infallibilità dell’organizzatore e l’incompetenza dell’umanità.
E se l’umanità è incompetente a giudicare da sé, perché ci vengono a parlare di suffragio universale?
Questa contraddizione nelle idee si è sfortunatamente riprodotta nei fatti, e mentre il popolo francese ha superato tutti gli altri nella conquista dei suoi diritti, o meglio delle sue garanzie politiche, nondimeno è rimasto il più governato, diretto, amministrato, succube, bloccato e sfruttato di tutti i popoli.
È anche quello fra tutti dove le rivoluzioni sono sempre più incombenti, e non può essere altrimenti.
Non appena si parte da questa idea, condivisa da tutti i nostri intellettuali e così energicamente espressa da M. L. Blanc con queste parole: « La società riceve l’impulso dal potere »; non appena gli esseri umani si considerano essi stessi come ricettivi ma passivi, incapaci di elevarsi attraverso il loro proprio giudizio e la loro propria energia verso alcuna azione morale, verso alcun benessere, e siano ridotti ad attendersi tutto dalla Legge; in una parola, quando essi ammettono che i loro rapporti con lo Stato sono quelli di un gregge con il pastore, è chiaro che la responsabilità del potere è immensa. Beni e mali, virtù e vizi, uguaglianza e disuguaglianza, ricchezza e miseria, tutto deriva dal potere. Esso è incaricato di tutto, di intraprendere tutto, fa tutto, dunque risponde di tutto. Se noi siamo felici, esso reclama a buon diritto la nostra riconoscenza; ma se noi siamo miserabili, noi non possiamo che prendercela con esso. Non dispone esso, in principio, delle nostre persone e dei nostri beni?
La Legge non è forse onnipotente? Creando il monopolio generale, esso si è fatto carico di rispondere alle speranze dei padri di famiglia privi di libertà; e se queste speranze vengono deluse, di chi la colpa? Regolamentando l’industria, si è incaricato di farla prosperare, se no sarebbe stato assurdo toglierle la libertà; e se essa soffre, di chi la colpa? Intervenendo a equilibrare la bilancia del commercio, attraverso il gioco delle tariffe, si è fatto carico di farlo fiorire; e se, lungi dal fiorire, esso muore, di chi la colpa? Accordando agli armatori marittimi la sua protezione in cambio della loro libertà, si è fatto carico del loro profitto; e se essi sono in perdita, di chi la colpa?
Così, non vi è una situazione dolorosa nella nazione di cui il governo non si sia volontariamente reso responsabile. Ci si deve allora stupire se ogni sofferenza rappresenti un motivo per la rivoluzione?
E qual è il rimedio proposto? È quello di ampliare senza limiti il dominio della Legge, vale a dire le responsabilità del governo.
Ma se il governo si prende carico di innalzare e regolamentare i salari; di porre rimedio a tutte le sventure; di garantire le pensioni a tutti i lavoratori; di fornire a tutti gli operai degli strumenti di lavoro; di concedere a tutti coloro che ne fanno richiesta un credito senza interesse; se lo stato si prende carico di tutto ciò e poi non riesce a farvi fronte; se, secondo le parole che abbiamo visto con dispiacere scappare alla penna di M. de Lamartine, « lo Stato si prefigge la missione di illuminare, sviluppare, ingrandire, fortificare, spiritualizzare, e santificare l’animo dei popoli», e poi fallisce, non ci si accorge che alla fine di ogni delusione, ahimè!, più che probabile, si prepara una non meno inevitabile rivoluzione?
Io riprendo il mio argomento e dico: subito dopo la scienza economica e all’inizio della scienza politica [*], si presenta un problema centrale. L’economia politica precede la politica, essa chiarisce se gli interessi umani sono naturalmente armonici o antagonisti; la qual cosa dovrebbe sapersi prima di fissare le attribuzioni del governo.
Il problema è il seguente.
Che cos’è la Legge? che cosa deve essa essere? qual è il suo campo di intervento? quali sono i suoi limiti? a qual punto, di conseguenza, si fermano le attribuzioni del Legislatore?
Io non esito a rispondere: La legge è la forza comune organizzata per ostacolare l’Ingiustizia – e, detto in maniera succinta, LA LEGGE È LA GIUSTIZIA.
Non è vero che il Legislatore abbia sulle nostre persone e sulle nostre proprietà una potenza assoluta, poiché esse esistono prima del Legislatore e il suo compito è di circondarle di garanzie
Non è vero che la Legge abbia per missione di indirizzare le nostre coscienze, le nostre idee, le nostre volontà, la nostra istruzione, i nostri sentimenti, le nostre attività, i nostri scambi, i nostri doni, le nostre felicità.
La sua missione è di impedire che in una di queste materie il diritto dell’uno usurpi il diritto dell’altro.
La Legge, dal momento che ha per sanzione necessaria la Forza, non può avere per campo di intervento legittimo che il legittimo campo della forza, vale a dire: la Giustizia.
E come ogni individuo non ha il diritto di ricorrere alla forza che in caso di legittima difesa, la forza collettiva, che non è che l’insieme delle forze individuali, non dovrebbe a ragione essere applicata ad altro fine.
La Legge, è dunque unicamente l’organizzazione del diritto individuale pre-esistente di legittima difesa.
La Legge è la Giustizia.
È un fatto incredibile che essa possa opprimere gli individui o espropriare le proprietà, persino per una finalità filantropica, essendo la sua missione quella di proteggere sia gli individui che le proprietà.
E che non si dica che essa non possa essere filantropica, posto che si astenga da qualsiasi oppressione, da qualsiasi spoliazione; questo è contraddittorio. La Legge non può non agire sulle nostre persone e sui nostri beni; se essa non li garantisce, essa li viola per il solo fatto che essa agisce, per il solo fatto che essa esiste.
La Legge è la Giustizia.
Ecco ciò che è chiaro, semplice, perfettamente definito e delimitato, accessibile a qualsiasi essere dotato di ragione, visibile a tutti, poiché la Giustizia è una quantità data, immutabile, inalterabile, che non ammette né più né meno.
Uscite da questa situazione, fate la Legge religiosa, fraternitaria, egalitaria, filantropica, industriale, letteraria, artistica, e subito siete nell’infinito, nell’incerto, nell’ignoto, nell’utopia imposta, o, ciò che è peggio, nella moltitudine delle utopie che si combattono per impadronirsi della Legge e imporsi, perché la fraternità, la filantropia non hanno come la giustizia dei limiti prestabiliti. Dove vi fermerete? Dove si fermerà la Legge?
Uno, come M. de Saint-Cricq, vorrà indirizzare la sua filantropia solo su qualche classe di industriali, e chiederà alla Legge che essa regoli i consumatori a favore dei produttori. Un altro, come M. Considérant, abbraccerà la causa dei lavoratori e reclamerà per essi dalla Legge un MINIMUM assicurato, vitto, alloggio, indumenti e tutto quanto serve al sostentamento della vita. Un terzo, M. L. Blanc, dirà, a ragione, che non è questa che una fraternità accennata e che la Legge deve dare a tutti gli strumenti di lavoro e l’istruzione. Un quarto farà notare che una tale organizzazione lascia ancora posto alla disuguaglianza e che la Legge deve far penetrare, nei luoghi più isolati, il lusso, la letteratura e le arti. Voi sarete condotti così fino al comunismo, o piuttosto la legislazione sarà… ciò che è già: – il campo di battaglia di tutti i sognatori e di tutte le cupidigie.
La Legge è la Giustizia.
In questo ambito, si concepisce un governo semplice, incrollabile. E sfido chiunque a dirmi da dove potrebbero venire idee di rivoluzione, di insurrezione, di una semplice sommossa contro una forza pubblica che si limita a reprimere l’ingiustizia. In presenza di un tale regime, ci sarebbe più benessere, il benessere sarebbe più egualmente ripartito, e quanto alle sofferenze inseparabili dall’umanità, nessuno si sognerebbe di accusarne il governo, che sarebbe estraneo a ciò come alle variazioni della temperatura.
Si è mai visto il popolo insorgere contro la corte di cassazione, o fare irruzione nella pretura del giudice di pace per reclamare il minimo salariale, il credito gratuito, gli strumenti di lavoro, tariffe preferenziali, ateliers sociali? Egli sa bene che questi maneggi sono fuori del potere del giudice, ed egli imparerà che sono al tempo stesso al di fuori del potere della Legge.
Ma fate la Legge sul principio fraternitario, proclamate che è da essa che provengono le cose buone e quelle cattive, che essa è responsabile di qualsiasi sofferenza umana, di qualsiasi disuguaglianza sociale, e voi aprirete la porta a una serie senza fine di lamentele, odi, discordie e rivoluzioni.
La Legge è la Giustizia.
E sarebbe ben strano che essa possa essere, in maniera equa, un qualcosa di diverso!
Forse che la giustizia non è il diritto? Forse che i diritti non sono uguali? Come dunque la Legge interverrebbe per sottomettermi ai piani sociali di MM. Mimerel, di Melun, Thiers, Louis Blanc, piuttosto che sottomettere questi signori ai miei piani? Crede qualcuno che io non abbia ricevuto dalla natura abbastanza di immaginazione per inventare anch’io una utopia? È forse il compito della Legge operare una scelta tra tante chimere e mettere la forza pubblica al servizio di una di esse?
La Legge è la Giustizia.
E che non si dica, come si fa di continuo, che così concepita la Legge, atea, individualista e senza cuore, farebbe l’umanità a sua immagine.
È questa una deduzione assurda, ben degna di questa infatuazione per il governo che vede l’umanità nella Legge.
Che cosa dunque! Dal fatto che noi saremo liberi, ne segue che noi cesseremo di agire? Dal fatto che noi non riceviamo lo stimolo dalla Legge, ne segue che noi saremo privi di stimoli? Dal fatto che la Legge si limiterà a garantirci il libero esercizio delle nostre facoltà, ne segue che le nostre facoltà saranno colpite d’inerzia? Dal fatto che la Legge non c’imporrà dei riti religiosi, delle forme associative, dei metodi di insegnamento, delle procedure di lavoro, delle direttive di scambio, dei progetti caritatevoli, ne segue forse il fatto che noi ci affretteremo a tuffarci nell’ateismo, nell’isolamento, nell’ignoranza, nella miseria e nell’egoismo? Ne segue che noi non sapremo più riconoscere la potenza e la bontà di Dio, non sapremo più associarci, aiutarci reciprocamente, amare e soccorrere i nostri fratelli bisognosi, approfondire i segreti della natura, aspirare al perfezionamento del nostro essere?
La Legge è la Giustizia.
Ed è sotto la Legge di giustizia, sotto il regime del diritto, sotto l’influenza della libertà, della sicurezza, della stabilità, della responsabilità, che ogni essere umano giungerà ad esprimere tutto il suo valore, tutta la dignità del suo essere, e che l’umanità realizzerà ordinatamente, con calma, lentamente senza dubbio, ma anche sicuramente, il progresso a cui è destinata.
Mi sembra di avere dalla mia parte la teoria; perché qualunque problema io sottometta al ragionamento, sia esso religioso, filosofico, politico, economico; che si tratti del benessere, della moralità, dell’uguaglianza, del diritto, della giustizia, del progresso, della responsabilità, della solidarietà, della proprietà, del lavoro, dello scambio, del capitale, dei salari, delle imposte, della popolazione, del credito, del governo; da qualsiasi punto dell’orizzonte scientifico io parta con le mie ricerche, sempre invariabilmente giungo a questa risposta: la soluzione del problema sociale risiede nella Libertà.
E non ho anche dalla mia parte l’esperienza? Date un’occhiata al mondo.
Quali sono i popoli più felici, i più morali, i più accettabili? Quelli dove la Legge interviene di meno nell’attività delle persone; dove il governo si fa sentire di meno; dove l’individualità ha maggiori possibilità di espandersi e l’opinione pubblica ha più di influenza; dove gli intoppi amministrativi sono i meno numerosi e i meno complicati; le imposte le meno pesanti e le meno sbilanciate; lo scontento popolare meno pronunciato e meno giustificabile; dove la reponsabilità degli individui e delle classi è la più attiva, e dove, ne consegue, se i costumi non sono perfetti, essi tendono inevitabilmente a correggersi; dove le transazioni, le convenzioni, le associazioni sono le meno impedite; dove il lavoro, i capitali, la popolazione, subiscono i minori disagi creati ad arte; dove l’umanità segue maggiormente la propria strada; dove il pensiero di Dio prevale maggiormente sulle trovate degli uomini; quei popoli, in una parola, che si avvicinano di più a questa soluzione: nei limiti del diritto, tutto si compie attraverso la spontaneità libera e perfettibile dell’essere umano; nulla ha luogo attraverso la Legge o la forza se non la Giustizia universale.
Occorre dirlo: ci sono troppi uomini importanti nel mondo; ci sono troppi legislatori, organizzatori, creatori di società, conduttori di popoli, padri della nazione, ecc. Troppa gente si pone al di sopra dell’umanità per irregimentarla; troppi si incaricano per professione di occuparsi di essa.
Mi si dirà: Anche voi ve ne occupate, in quanto ne parlate. È vero. Ma si converrà che è in un senso e da un punto di vista del tutto differenti, e se io mi mescolo ai riformatori è soltanto per fare in modo che lascino la loro presa. Io non me ne occupo come Vaucanson faceva con il suo congegno automatico, ma come un fisiologo riguardo all’organismo umano, per studiarlo e ammirarlo.
Io me ne occupo con lo stesso intendimento che animava un celebre esploratore.
Egli arrivò un giorno in mezzo a una tribù di selvaggi. Un fanciullo veniva al mondo e una folla di maghi, indovini, praticanti stregoni lo circondava, muniti di anelli, di forcipi e di lacci. Uno diceva: questo fanciullo non annuserà mai il profumo di un calumet, a meno che io non gli allarghi le narici. Un altro: egli sarà privo del senso dell’udito, a meno che io non gli allunghi le orecchie fino alle spalle. Un terzo: egli non vedrà mai la luce del sole, a meno che io non dia ai suoi occhi una direzione obliqua. Un quarto: egli non sarà mai capace di stare in piedi, a meno che io non gli curvi le gambe. Un quinto: egli non sarà in grado di pensare, a meno che io non gli comprima il cervello.
Indietreggiate, esclamò il viaggiatore. Dio fa bene quello che fa; non pretendete di saperne più di lui, e poiché egli ha dato degli organi a questa fragile creatura, lasciate che i suoi organi si sviluppino, si fortifichino con l’esercizio, la ricerca a tentoni, l’esperienza e la Libertà.
Dio ha anche concesso all’umanità tutto ciò che occorre perché essa realizzi il suo destino. Esiste una fisiologia sociale provvidenziale come vi è una fisiologia umana provvidenziale. Gli organi sociali sono formati in maniera tale da svilupparsi armoniosamente al soffio della Libertà. Indietreggino dunque i praticoni e i sapientoni! Via con i loro anelli, le loro catene, i loro forcipi, le loro tenaglie! via con i loro strumenti artificiosi! via i loro ateliers sociali, i loro falansteri, il loro burocraticismo, la loro centralizzazione, le loro tariffe, le loro università, le loro religioni di Stato, le loro banche gratuite o monopolistiche, le loro imposizioni e restrizioni, la loro facciata morale o la loro uguaglianza attraverso il carico fiscale!E poiché sono stati inutilmente inflitti al corpo sociale tanti sistemi, che si finisca una buona volta là da dove si sarebbe dovuto iniziare, che si respingano le imposizioni sistematiche, che si metta finalmente alla prova la Libertà – la Libertà, che è un atto di fede in Dio e nella sua opera.
Frédéric Bastiat
Fonte: panarchy.org
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