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La Sorte del Mondo Incontrovertibile

Cosa volete che vi dica…..a voi un autentico capolavoro dell’editoria esoterica sviluppato da Gaetano Barbella…..non vi facciamo mancare proprio nulla, buona lettura.

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Mondo Incontrovertibile

La mappa dei Giardini Indro Montanelli di Milano

Dal Medio Oriente all’Ucraina, dal Sudan al Myanmar: le guerre del 2023 che minacciano il 2024. Non solo morte e distruzione, ma anche migrazione, carestie, perdita d’identità. Venti di guerra soffieranno ancora a lungo per tutto il 2024 mentre l’umanità è sotto il fuoco continuo di una miriade di variabili.

Non solo morte e distruzione, guerra significa soprattutto migrazione, carestia, diritti umani violati e perdita d’identità. C’è poi rispetto al passato, non troppo remoto, un’amplificazione della violenza che passa attraverso i social network, dove agli occhi di chi guarda nulla è risparmiato.

Ecco un trafiletto che ho colto sul web, fra i tanti, per dire che chi “sorveglia” il destino della terra sarà sul punto di provvedere a cambiare rotta. E di questo se ne mostrano i segni proprio attraverso la terra e uno in particolar modo, ci avverte che è l’ora del cambiamento.

Illustrazione 1: Partic. mappa di Milano: Giardino Indro Montanelli. Illustrazione 2: Cartografia tratta dalla mappa dei Giardini Indro Montanelli di Milano. (Illustr. accanto). La Dea Italia incoronata con segno dell’infinito da Ouroboros, l’Eterno, l’Infinito. Tutto si inchina davanti a Lui, come risulta dalla cartografia.

La Terra italica, con la cartografia dell’illustr. 2, ci mostra la sua figura che ho tratto dalla mappa dei Giardini Indro Motanelli di Milano del’illustr. 1. Sappiamo che la nascita dell’Italia repubblicana avviene il 10 giugno 1946 alle ore 18,10, sotto il segno astrologico dei Gemelli, infatti, nella cartografia una donna, di certo la bella Italia, poggia il suo gomito su un piedistallo su cui compaiono due gemelli, accanto al segno dell’infinito relativo alla bestia Ouroboros che la corteggia incoronandola col segno dell’infinito.

E c’è di più, a rivelarsi, per differenziarsi dalla favola in cui la Bella della favola è disposta al sacrificio con la sua bontà e spirito di abnegazione, e si sottomette alla Bestia nel tentativo di redimerla.

Infatti nel caso dei Giardini Indro Montanelli, la Bella non è tanto disposta alla sottomissione, perché il suo atteggiamento col gomito poggiato sul basamento marmoreo, simile a quello del mitico Edipo, lo fa pensare.

Illustrazione 3: Mappa di Milano dei giardini Indro Montanelli e Castello Sforzesco

L’accordo matrimoniale potrà essere, ma a “Condicio sine qua non”, la frase latina dal significato: “condizione senza la quale non si può verificare un evento”, un vincolo irrinunciabile. Ma si vedrà ora l’evolversi di questa condizione, perché si ha modo di intravedere, in una successiva cartografia, l’illustr. 3 posta poco distante da quella dei Giardini Indro Montanelli di Milano in corrispondenza del Castello Sforza, una
nuova configurazione della dea Italia

La bella Italia, con la corona dell’infinito, diventa una dea e le tocca il grande compito di impersonare l’astro Marte pervaso dall’etere di fuoco, la forza del Padre. Nella cartografia dell’illustr. 4 si mostra davanti al suo Re donandole il suo cuore.

Illustrazione 4

Illustrazione 4: La dea Italia, nelle sembianze del dio Marte, pervaso dal fuoco del Padre, in ginocchio, offre il suo cuore al grande Re di cui parla Nostradamus nelle sue Centurie.

Il veggente francese Michel Nostradamus profetizza questo evento con le seguenti quartine: IV-77:

Cosa signifca « morendo » della quartina IV-77? La seconda profezia di Nostradamus V-6 predice che il « Re Cristiano » del « Regno unito » diverrà « Imperatore Pacifico » e quindi muore come Re.

Illustrazione 5: Dettaglio dell’illustr. 4. Illustrazione 6: Lo scettro dello stragrande Re. « Al Re l’augure sopra il capo la mano mettere. / Verrà pregare per la pace italica: / Alla mano sinistra verrà cambiare lo scettro, / Da Re diverrà Imperatore pacifico. ». Nostradamus  V-6. Il Re è all’insegna del segno dei Gemelli, il segno dell’Italia

Illustrazione 7

Illustrazione 7: Particolare mappa di Caserta. La Piazza Carlo III di Borbone. L’ellisse tracciato conforme l’esterno dei due emicicli ellittici. I fuochi F1 ed F2 rispetto al centro, individuano la Sezione Aurea. Inoltre i due assi sono gli stessi della mezzeria della Ferrovia e di un altro fabbricato opposto, anche questo della ferrovia

Il disegno dell’ellisse, l’illustr.7, è conforme ad una misura dei due lati, per concepire i rispettivi fuochi tali da dividere il semilato più grande in due parti in rapporto fra loro tale secondo la Sezione Aurea. Inoltre il segno del fuoco F2 è in simmetria con la ferrovia. Di qui un segno speciale del Magnetismo dello Scettro. Vedasi l’illustr. 6 e 2

Piazza Carlo di Borbone ha la conformazione geometrica per individuare la Sezione Aurea, attraverso un ellisse passante per l’esterno di due emicicli ellittici presso cui erano ospitate le scuderie e i militari a difesa del palazzo reale. 

Non solo.

La posizione del punto focale dell’ellisse, verso est, corrisponde all’asse mediano della Ferrovia, e il punto focale verso ovest, corrisponde all’asse mediano di un altro fabbricato, anche questo, probabilmente, della Ferrovia.

Ipotizzando che la teoria della progettazione in sede dei referti vanvitelliani della sezione aurea fosse veritiera, tuttavia le relazioni con i due suddetti fabbricati della ferrovia non potevano essere note all’epoca della realizzazione della piazza, perché non esistevano.

Di conseguenza il caso ha fatto coincidere per due volte la sezione aurea con i due fabbricati suddetti? Per darvi rilevanza, ma per quale scopo?

La possibile risposta sembra far nascere l’idea di un fatto ignoto in merito alla coincidenza della Sezione Aurea con la Ferrovia, una cosa che sembra avere connotazioni quasi esoteriche. Di qui, andando avanti in tal senso, potrebbe avere importanza il “ferro” dei binari della ferrovia, quindi la rivelazione di un fatto del futuro incontrovertibile, essendo legato alla sezione Aurea. In più, solo oggi si scopre il fatto straordinario. Vuol dire che il siamo vicini al giorno in cui avverrà?

Fin qui abbiamo note su un mondo che ci sovrasta, l’Astrale, che in virtù del cambiamento col nuovo Imperatore Pacifico influirà sul mondo terreno che è fin troppo preso da guerre inarrestabili, senza contare della terra stessa con i suoi richiami di grandi difficoltà.

Del Re prima di lui, Nostradamus prevede: « Dopo aver i pirati cacciati dall’onda. », ma come avverrà?

Illustrazione 8: Torre della Leonessa presso la fortezza di Lucera

Ed è l’ora di conoscere l’origine della forza della dea Italia, cui le tocca il grande compito di impersonare l’astro Marte pervaso dall’etere di fuoco, la forza del Padre. Per sapere si deve fare un grande passo indietro nella storia all’epoca dell’Imperatore Federico II, e in particolare a Lucera dove egli fondò nel 1220 una una fortezza di cui si avvalse grazie ad una forza costituita dai musulmani, abili arcieri.

Nel 1220, quando Federico II diventò padrone del Regno di Sicilia, si trovò a combattere su più fronti: in Sicilia, contro gli ultimi ribelli musulmani che minacciavano la stabilità del suo regno, e sul continente, in questa parte della Puglia stremata dalle guerre e impoverita, contro i baroni locali che spadroneggiavano ed usurpavano terre e beni; mentre non lontano dalle sue frontiere incombeva la minaccia dello Stato della Chiesa. Con una mossa degna dei più grandi strateghi, Federico II sradicò la ribellione in Sicilia deportando i musulmani a Lucera, e ivi fondò una città castello che diventerà il suo avamposto militare sul continente:

«Con veduta geniale, osando un’impresa che ci fa tornare con la mente a quelle degli antichi monarchi orientali, egli trapiantò sui colli lucerini a diecine di migliaia i ribelli musulmani della provincia di Girgenti mentre in Sicilia trasferiva quelli cristiani di Celano. Troncava così ogni nervo alla resistenza nell’isola, stabiliva nel cuore della Puglia un nucleo potente, rapidamente guadagnato alla sua personale fedeltà con l’ostentato adattamento ai loro usi e alle loro credenze, e con le larghezze e coi privilegi di cui essi sentivano la necessità per la difesa, invisi com’erano ai paesani per la diversità della razza e della religione. » (Egidi: 10).

A Lucera non vi erano solo combattenti arcieri, nei documenti del tempo si registrano anche lancieri e fanti generici. Inoltre, la città era un luogo di produzione di armi, in particolare archi e frecce, e macchine d’assedio. Queste ultime, poi, venivano spesso manovrate ed azionate proprio da Saraceni lucerini.

Dai documenti apprendiamo i nomi di diversi Saraceni divenuti milites. Si trattava di esponenti delle famiglie di maggiorenti della città, che insigniti del titolo di cavaliere assumevano il ruolo di comandanti delle truppe cittadine.

Senza dubbio il loro contributo alla vittoria delle truppe imperiali a Cortenuova, dove furono determinanti nel fiaccare le truppe della Lega con le loro volée di frecce, rendendole così vulnerabili alle cariche della cavalleria tedesca. Successivamente bisogna ricordare la tenace resistenza offerta all’assedio angioino del 1268-69, dove essi lottarono fino all’ultimo per difendere le proprie case e per onorare la loro fedeltà alla casa sveva.

Il loro periodo di massimo fulgore fu quello svevo, prima con Federico, fondatore della colonia di Lucera, e poi con il figlio Manfredi. Sotto di loro, erano onorati e rispettati come singoli e come comunità; successivamente, gli Angioni ebbero con loro un rapporto utilitaristico, nel senso che continuarono a utilizzare le loro capacità di combattenti, ma con un atteggiamento sempre sul filo del sospetto e della diffidenza in quanto considerati un corpo estraneo all’interno della Cristianità.

Ma quel 15 agosto 1300 fu un giorno di terrore e morte, a Lucera. E lo furono anche il 16 agosto, poi il 17, il 18… 
Per nove giorni, la città pugliese posta a guardia del Tavoliere, prediletta da Federico II, ricca di commerci e famosa per l’abilità dei suoi artigiani e tessitori, fu spogliata di tutto, i suoi abitanti furono massacrati o dispersi, i più fortunati venduti al mercato degli schiavi. La loro colpa: essere quello che erano da quasi ottant’anni. Saraceni.  >>[3]

Era tutto nelle mani dell’occulto, solo in questo modo si è liberata una forza che è servita  all’imperatore Federico II come si vedrà.

Dalla storia convenzionale abbiamo saputo le cose che finora si sono raccontate in modo sintetico e in particolare i fatti dei Saraceni di Lucera che, dopo 80 anni, scompaiono dalla città di Lucera. Ma da quel periodo mutarono di conseguenza gli assetti del mondo Astrale per loro. Essi non erano più i Musulmani dei primi tempi e se volessimo sapere cosa avvenne di loro, e particolarmente dell’Imperatore Federico II, è rimasta la loro memoria stampata per terra. È così.

Giuliano Kremmerz, noto esoterista, in proposito « alle cose passate realmente nella vita »,ci dice:

« L’uomo può dimenticarle, ma nessun Dio distruttore può fare che non siano state. Saturno solo può troncarle, falciarle, farle spegnere, ma non può decretare che non siano esistite. È lui stesso che vi si oppone.

E guardando proprio la mappa di Lucera, la prossima, l’illustr. 8, vediamo una memoria che sbalordisce

Illustrazione 9: Mappa di Lucera (Puglia).
Illustrazione 10: Cartografia mappa di Lucera. L’Imperatore Federico II istruito da un filosofo islamico. La “forza” (verde) che entra nella mente di Federico II.

Vediamo in primo piano l’Imperatore Federico II che ascolta un filosofo islamico di spalle. Egli trasmette gli i segreti del suo passato avvenuto dopo la sua morte. Nel presente vedasi l’illustr. 11 seguente

Illustrazione 11: Federico II e l’aquila

Federico Ruggero di Hohenstaufen nacque a Jesi, il 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250. È stato re di Sicilia, re dei Romani (dal 1212) e poi imperatore del Sacro Romano Impero (come Federico II, eletto nel 1211, incoronato dapprima ad Aquisgrana nel 1215 e, successivamente, a Roma dal papa nel 1220) e re di Gerusalemme (dal 1225 per matrimonio, autoincoronatosi nella stessa Gerusalemme nel 1229).

Federico II, conosciuto con l’appellativo stupor mundi (“meraviglia o stupore del mondo”), era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l’attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. Il suo mito finì per confondersi con quello del nonno paterno, Federico Barbarossa.

Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa moralizzatrice e di innovazione artistica e culturale, volta a unificare le terre e i popoli, ma fortemente contrastata dalla Chiesa, di cui il sovrano mise in discussione il potere temporale. Ebbe infatti ben due scomuniche dal papa Gregorio IX, che arrivò a vedere in lui l’anticristo. Federico fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi: la sua corte in Sicilia fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, germanica, araba ed ebraica. Uomo straordinariamente colto ed energico, stabilì in Sicilia e nell’Italia meridionale una struttura politica molto somigliante a un moderno regno, governato centralmente e con un’amministrazione efficiente.

Federico II parlava sei lingue (latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo) e giocò un ruolo importante nel promuovere le lettere attraverso la poesia della Scuola siciliana. La sua corte reale imperiale siciliana a Palermo, dal 1220 circa sino alla sua morte, vide uno dei primi utilizzi letterari di una lingua romanza (dopo l’esperienza provenzale), il siciliano. La poesia che veniva prodotta dalla Scuola siciliana ha avuto una notevole influenza sulla letteratura e su quella che sarebbe diventata la moderna lingua italiana. La scuola e la sua poesia furono salutate con entusiasmo da Dante e dai suoi contemporanei, e anticiparono di almeno un secolo l’uso dell’idioma toscano come lingua d’élite letteraria d’Italia.

Il carisma di Federico II è stato tale che all’indomani della sua morte, avvenuta a Fiorentino di Puglia (Torremaggiore) il 13 dicembre 1250, il figlio Manfredi, futuro re di Sicilia, in una lettera indirizzata al fratello Corrado IV citava tali parole: « Il sole del mondo si è addormentato, lui che brillava sui popoli, il sole dei giusti, l’asilo della pace ».

Tutto questo lo vediamo riflesso nella cartografia dell’illustr. 11 seguente che lo mostra come un angelo sul suo Bastone di Comando. Ai suoi piedi si vede il nipote Corradino dopo la sua decapitazione: la piccola fig. nera. Egli è in attesa per iniziare la sua missione, quella italica del presente. Altri Re sono rappresentati a sinistra, sui loro Bastoni. Il più penalizzato è sicuramente Carlo D’Angiò con molte penalità da sopportare.

Il Re di centro, sul suo Bastone di Comando non può salire oltre un limite imposto da un sorvegliante. Anche lui dovrà sopportare la prova fatidica indicata dalla macchia nera. Ma è la storia del nipote di Federico II, Corradino di Svevia che ora si profila con i suoi risvolto storici ripresi come “memoria” da alcune mappe della Puglia di Corato e Andria.

Illustrazione 12: Partic.re mappa di Lucera. Illustrazione 13: Cartografia partic.re mappa di Lucera ruotata di 32°. In primo piano lo Spirito di Federico II sul suo Bastone di Comando. È un Angelo. In basso, il nipote Corradino dopo la sua decapitazione (la piccola fig. nera). Egli è in attesa per iniziare la sua missione (quella italica del presente).

In particolare dal momento in cui è l’Imperatore Corradino di Svevia a riprendersi il suo Regno ghibellino, ma aveva solo 14 anni.

Era figlio dell’imperatore Corrado IV e di Elisabetta di Baviera. Alla morte di suo padre, avvenuta quando aveva solo due anni, Corradino gli succedette nella titolarità delle corone della casata. Corrado IV, pur scomunicato da papa Innocenzo IV, aveva affidato a lui l’erede. Innocenzo era intenzionato a offrire il regno di Sicilia a Edmondo, di soli nove anni, figlio di Enrico III d’Inghilterra, ma, vedendosi data la reggenza del regno, sospese l’accordo. Il fratellastro di Corrado IV, Manfredi, si recò dal pontefice per far valere subito la sovranità del nipote, ma il Papa obiettò che Corradino era troppo piccolo e, fino all’età adulta, al Papato sarebbe spettata la reggenza.

A proposito dell’apoteosi romana, il grande storico Ernst Kantorowicz ebbe a considerare, che ciò che non era mai riuscito al grande Federico, trionfare a Roma, riuscì al piccolo Corradino. Il trionfo romano fu però effimero.

Corradino si diresse quindi verso il sud e giunto alle porte del suo regno, ai Piani Palentini, tra Scurcola Marsicana e Albe, venne finalmente a contatto con le schiere di Carlo d’Angiò. Qui ebbe luogo la tragica e fatale battaglia che poi Dante Alighieri ha reso nota col nome di battaglia di Tagliacozzo, il 23 agosto 1268. Corradino fu sconfitto dopo un’apparente vittoria iniziale. Si lanciarono così all’inseguimento dei guelfi in apparente rotta, per essere poi travolti dalla carica di 800 cavalieri di parte angioina, fino ad allora tenuti in riserva. Lo schieramento ghibellino non resse il colpo e si disperse, subendo la strage.

Corradino si dette alla fuga, dirigendosi verso Roma. La città che poco tempo prima lo aveva trionfalmente accolto, si dimostrò ora ostile allo sconfitto.  Lo svevo e i suoi risolsero che sarebbe stato più prudente lasciare Roma per lidi più sicuri. Raggiunta con i suoi compagni Torre Astura, località del litorale laziale nei pressi di Nettuno, Corradino tentò di prendere il mare, probabilmente diretto verso la fedelissima Pisa.

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Fu invece tradito da Giovanni Frangipane, della prestigiosa omonima famiglia, signore del luogo, e consegnato a Carlo d’Angiò, che lo fece imprigionare a Napoli a Castel dell’Ovo. Processato e condannato a morte, fu decapitato a Campo Moricino (l’attuale piazza del Mercato di Napoli), il 29 ottobre 1268.I resti di Corradino e degli altri giustiziati, come era stato per lo zio Manfredi, non ebbero sepoltura; furono trascinati verso il mare, che dista pochi passi dal luogo del supplizio, e abbandonati, ricoperti solo parzialmente con sassi dal popolo impietosito. La salma fu recuperata e tumulata in una tomba solo con l’intervento della madre.

Sul luogo dove avvenne l’esecuzione fu edificata una chiesa, l’attuale Santa Croce e Purgatorio al Mercato, dove si trova una delle testimonianze più suggestive del triste avvenimento. Si tratta di una colonna commemorativa in porfido che reca incisa questa frase:

«Asturis ungue leo pullum rapiens aquilinum hic deplumavit acephalumque dedit»

Ovvero:

«Ad Astura il leone rapì l’aquilotto con i suoi artigli, qui gli strappò le piume e lo decapitò.»

È invece nella vicina chiesa di Santa Maria del Carmine che sono sepolte le spoglie di Corradino, per decisione della madre: qui è visibile il monumento funebre dello sventurato principe, fatto erigere, secoli dopo, da Massimiliano II di Baviera e disegnato dallo scultore danese Bertel Thorvaldsen. La lastra frontale del basamento su cui poggia la statua di Corradino reca incisa la dedica del duca di Baviera, che definisce il giovane re “l’ultimo degli Hohenstaufen”.

Nella chiesa, in virtù del lascito della madre, vanamente accorsa a Napoli per riscattarlo, vien detta annualmente una messa in suffragio di Corradino di Svevia.

A sud la discesa di Corradino risvegliò entusiasmi filo-svevi e in particolare nella enclave musulmana di Lucera, i cui guerrieri, ancora una volta, si dimostrarono fedelissimi agli Staufen e alla memoria di Federico II, del quale erano stati per decenni la temibile guardia scelta.

Memoria di Corradino a Corato e Andria

Illustrazione 14: Stemma della città di Corato

Ed è il momento in cui si passa al presente, in particolare a Corato una località del sud che è restata fedele a Corradino, meritando da lui l’appellativo di ‘cor sine labe doli’‘ (cuore senza macchia di tradimento), motto poi riportato sullo stemma del Comune di Corato che è stato approvato con decreto del capo del Governo il 7 aprile 1937.

Corato (Quaratë nel dialetto locale) è un comune italiano di 46 991 abitanti della città metropolitana di Bari in Puglia. Il centro abitato è situato a 232 metri sul livello del mare.

Ed è qui a Corato che con la cartografia dell’illustr.16 occulta ha lasciato il segno, con poche righe essenziali, del grande e ingiusto sacrificio del giovanissimo Imperatore Svevo, Corradino.

Illustrazione 15: Partic. mappa di Corato, la Villa Comunale. Illustrazione 16: La Villa Comunale di Corato ruotata di 80,3° rispetto al nord. Poche linee essenziali per porre in evidenza il quasi “fanciullo” Corradino di Svevia, ad una doppia croce: dal suo feroce persecutore un Re, Carlo D’Angiò, con la decapitazione, e dalla Terra poiché non ebbe sepoltura

Giusto a Corato, la città dell’appellativo di ‘cor sine labe doli’ (cuore senza macchia di tradimento), il segno lasciato dalla sorte per ricordare l’orrendo sacrificio di un Re, Carlo D’Angio preso da una feroce rabbia incontenibile.

Una doppia croce: la più vistosa, voluta dal suo feroce persecutore, un Re, Carlo D’Angiò, con la decapitazione; la seconda, dalla Terra poiché non ebbe sepoltura. Il destino si è rifiutato di aver memoria della sua morte riverso per terra, anche perchè si è rifiutato di riceverlo come dovuto.

Ma della macabra sorte del delitto di Corradino di Svevia si ha memoria del suo seguito attraverso la madre Elisabetta di Baviera, un particolare della mappa di Andria poco distante, ancora con la Villa Comunale di questa città del meridione d’Italia.

Andria (/ˈandrja/ o /ˈandri.a/ ascolta) è un comune italiano di 96 873 abitanti, capoluogo, insieme a Barletta e Trani, della provincia di Barletta-Andria-Trani, in Puglia. Fino al 2004 ha fatto parte della provincia di Bari.

Con la seconda cartografia in memoria di Corradino di Svevia si documenta la sua tumulazione avvenuta, come già detto, per opera della Sua madre, e dalla benigna sorte della Chiesa e degli abitanti locali.

Sul luogo dove avvenne l’esecuzione fu edificata una chiesa, l’attuale Santa Croce e Purgatorio al Mercato, dove si trova una delle testimonianze più suggestive del triste avvenimento. Si tratta di una colonna commemorativa in porfido che reca incisa questa frase:

Ovvero:

« Ad Astura il leone rapì l’aquilotto con i suoi artigli, qui gli strappò le piume e lo decapitò. »

Iillustrazione 17: Corradinno di Svevia. Statua nella Chiesa Santa Maria del Carmine a Napoli.

È invece nella vicina chiesa di Santa Maria del Carmine che sono sepolte le spoglie di Corradino, per decisione della madre: qui, con l’illustr. 17, è visibile il monumento funebre dello sventurato principe, fatto erigere, secoli dopo, da Massimiliano II di Baviera e disegnato dallo scultore danese Bertel Thorvaldsen. La lastra frontale del basamento su cui poggia la statua di Corradino reca incisa la dedica del duca di Casella di testo:  Illustrazione 17: Corradinno di Svevia. Statua nella Chiesa  Santa Maria del Carmine di Napoli. Baviera, che definisce il giovane re “l’ultimo degli Hohenstaufen”.

Nella chiesa, in virtù del lascito della madre, vanamente accorsa a Napoli per riscattarlo, vien detta annualmente una messa in suffragio di Corradino di Svevia.

Illustrazione 18: Part.re mappa di Andria. La Villa Comunale. Illustrazione 19: Cartografia di Andria ruotata di 108,4° rispetto al nord. La figura  della mamma di Corradino di Svevia, ma che può riferirsi anche anche alla Madonna Santa Maria del Carmine

Come già detto, la seconda cartografia dell’illustr. 19, compare nel luogo della Villa Comunale, analoga a quella di Corato. In primo piano la figura della mamma di Corradino di Svevia, ma che può riferirsi anche anche alla Madonna Santa Maria del Carmine. Ella col braccio sinistro tiene la prima sepoltura, che avvenne nella chiesa di Santa Croce e Purgatorio al Mercato, di Napoli, dove si trova una delle testimonianze più suggestive del triste avvenimento. E col braccio sinistro regge la sepoltura definitiva, molto più maestosa, che è avvenuta in un altra Chiesa di Napoli, Santa Maria del Carmine.

Convalida questa visione il lato destro, ancora della stessa Chiesa, con la visione di grossa bombarda detta la Messinese conservata nella cripta, vedasi l’illustr. 11.

Questa prossima palla è legata ad un miracoloso crocifisso e si riferisce alla lotta, nel secolo XV, tra gli Angioini e gli Aragonesi, per il dominio di Napoli.

Già dominava in Napoli Renato d’Angiò, il quale aveva collocato le sue artiglierie sul campanile del Carmine, trasformandolo in vera fortezza, quando Alfonso V d’Aragona assediò la città, ponendo l’accampamento sulle rive del Sebeto, nelle vicinanze dell’attuale borgo Loreto.

Secondo la tradizione, il 17 ottobre 1439 l’infante Pietro di Aragona fece dar fuoco a una grossa bombarda detta la Messinese, la cui grossissima palla sfondò l’abside della chiesa e andò in direzione del capo del crocifisso miracoloso che, per evitare il colpo, abbassò la testa sulla spalla destra, senza subire alcuna frattura. Il giorno seguente, mentre l’infante Pietro dava di nuovo ordine di azionare la Messinese, un colpo partito dal campanile, dalla bombarda chiamata la Pazza, gli troncò il capo.

Illustrazione 20: La grossa bombarda del miracolo della Chiesa  Santa Maria del Carmine di Napoli.

Re Alfonso tolse allora l’assedio, ma quando, ritornato all’assalto nel 1442, il 2 giugno entrò trionfalmente in città, il suo primo pensiero fu di recarsi al Carmine per venerare il crocifisso e, per riparare l’atto insano del defunto fratello, fece costruire un sontuoso tabernacolo. Questo però, compiuto dopo la morte del re, accolse la miracolosa immagine il 26 dicembre del 1459. Da allora, l’immagine, illustr. 20, viene svelata il 26 dicembre di ogni anno e resta visibile al gran concorso di fedeli per otto giorni, fino al 2 gennaio. La stessa cerimonia si ripete nel primo sabato di Quaresima per ricordare l’avvenimento del 1676, in cui Napoli fu risparmiata da una terribile tempesta, sedata secondo la leggenda popolare dall’intercessione del crocifisso svelato in via eccezionale per l’occasione nefasta.

Gaetano Barbella




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