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Processi Mentali nei Calciatori Professionisti

E’ un testo dedicato a tutti gli appassionati di calcio, chi segue il mio portale sa che chi scrive é tecnico professionale abilitato ad allenare la Massima Divisione e Nazionali con un titolo Fifa e Uefa omologato in Spagna e benché attraverso il mio lavoro dedico gran parte della mia attenzione in un ambito come quello del giornalismo investigativo, non mi nego ogni tanto l’opportunità di proporre qualcosa che appartiene ad un passato che mi ha visto spettatore non pagante in un settore che nonostante tutte le opportunità non mi piaceva affatto in quelle che erano le sue fondamenta.

Dopo due anni passati presso l’ATFA di Buenos Aires mi licenziai con il massimo dei voti e questo non ha fatto di me un Tecnico, ma mi concedo ogni tanto la briga di proporre qualcosa che spero possa essere utile affrontando una tematica che sicuramente potrà servire a chiunque anche nella vita di tutti i giorni.

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Processi Mentali nei Calciatori

Obiettivo: sono state trovate chiare connessioni tra i processi mentali e le prestazioni nel calcio d’élite. Tuttavia, pochi studi hanno indagato su come i giocatori di calcio professionisti vivono l’influenza dei processi mentali sulla prestazione.

Metodo: questo studio ha utilizzato un disegno di ricerca qualitativo e un’intervista in profondità a sei giocatori di calcio professionisti norvegesi di livello elitario con un’età media di 28,3 anni e che rappresentavano cinque club professionistici. L’obiettivo dello studio era quello di indagare come essi percepissero l’importanza della regolazione dell’eccitazione, della durezza mentale e della fiducia in se stessi, nonché quella dello psicologo dello sport nello sviluppo di queste abilità.

Risultati: i risultati hanno rivelato un legame complesso e sfaccettato tra processi mentali e prestazioni. Tutti i giocatori dimostrano di essere consapevoli di come i processi mentali influenzino le loro prestazioni. Il ricorso a uno psicologo dello sport per lavorare sui processi mentali emerge come un fattore cruciale per lo sviluppo delle loro capacità mentali. Un altro aspetto importante è la necessità di una maggiore conoscenza degli effetti dell’allenamento mentale nel calcio d’élite. La durezza mentale emerge come il processo mentale più significativo per le prestazioni dei giocatori, perché li rende capaci di affrontare situazioni e periodi difficili.

Conclusioni: questo studio dimostra che i processi mentali sono importanti per la prestazione, sia per quanto riguarda la regolazione dell’eccitazione, sia per quanto riguarda la fiducia in se stessi, e soprattutto per la durezza mentale. Tuttavia, la durezza mentale è stata considerata anche un prodotto dell’età e dell’esperienza, in quanto i giocatori più anziani tendono ad avere esperienza di un maggior numero di situazioni che consentono loro di gestire meglio le avversità rispetto ai giocatori più giovani. È interessante notare che i giocatori più giovani sembrano essere i più consapevoli del ricorso a uno psicologo dello sport.

Gli sport professionistici richiedono agli atleti che si esibiscono il possesso di una serie di abilità. Una delle competenze più impegnative da sviluppare sono le abilità mentali per affrontare e svilupparsi come atleta d’élite (Konter et al., 2019). Rispetto agli atleti non d’élite, gli atleti d’élite hanno ottenuto punteggi più alti in autoefficacia, emotività, prospettiva temporale presente fatalistica, prospettiva temporale passata positiva e apertura all’esperienza (Mitic et al., 2021). Una parte fondamentale dello sviluppo delle abilità mentali è rappresentata dai processi mentali, che si riferiscono alle attività interne, invisibili, della nostra mente.

Questi includono il pensiero, il ragionamento e la risoluzione dei problemi e costituiscono la base delle nostre azioni, decisioni e sentimenti (sia consci che inconsci), che governano la percezione di sé e dell’ambiente circostante e i processi che costituiscono la base delle emozioni e dei desideri (pensare, capire, imparare, ricordare e prendere decisioni) (Ivarsson et al., 2020). La ricerca ha dimostrato che i processi mentali (e le abilità mentali apprese in questo processo) sono fattori importanti che non solo influenzano direttamente la capacità di dare il meglio di sé (Nesti, 2010), ma anche indirettamente, ottimizzando altre abilità necessarie per avere successo ai massimi livelli (Williams et al., 2020).

La ricerca sulla psicologia dello sport presenta un’ampia gamma di studi sia qualitativi (Gould et al., 2002) che quantitativi (Mitchell et al., 2014) sugli sport d’élite. Tuttavia, esiste una selezione più ristretta di studi sia qualitativi che quantitativi sulle esperienze dei giocatori di calcio professionisti (Ivarsson et al, 2020; Jordet, 2019), nonostante diversi studi quantitativi a livello giovanile (Benítez-Sillero et al., 2021; Forsman et al., 2016; Saward et al., 2020), che dimostrano che i giocatori junior più anziani sono in grado di sopportare uno stress mentale maggiore. L’uso e lo sviluppo consapevole e attivo dei processi mentali è necessario per gestire meglio le prestazioni scadenti (Saward et al., 2020). Inoltre, i calciatori che sono diventati professionisti avevano competenze psicologiche ben evidenti fin da giovani, come una maggiore fiducia in se stessi, l’impegno e la capacità di gestire la pressione (MacNamara et al., 2010; MacNamara e Collins, 2011; Rye et al., 2022).

Tre abilità mentali che si sono dimostrate importanti e in parte collegate a un buon rendimento nel calcio professionistico sono la durezza mentale, la regolazione dell’eccitazione e la fiducia in se stessi (Williams et al., 2020). La durezza mentale è il fenomeno più complesso ed è legata alla resistenza, alla continuità e alla motivazione (Jones et al., 2002). È la capacità di gestire prestazioni scarse e situazioni di stress in modo tale da non influire negativamente sulle prestazioni. Secondo DeWiggins et al. (2010) la durezza mentale può essere descritta come la capacità di essere concentrati, composti e sicuri in situazioni di stress.

Alcune caratteristiche delle persone con un’elevata durezza mentale sono la capacità di valutare e riflettere sulle proprie prestazioni, un’elevata autostima (fiducia in se stessi) e una buona capacità di gestire le avversità (Wieser e Thiel, 2014). La letteratura rivela chiare connessioni tra la durezza mentale e le prestazioni e l’importanza di questo processo mentale come aspetto psicologico (Thelwell et al., 2005; Coulter e Thelwell, 2019). Thelwell et al. (2005) hanno rilevato che i giocatori di calcio che dimostrano attributi simili a un alto livello di autostima e una capacità di far fronte alla pressione interna ed esterna che lo sport d’élite impone all’atleta, tendono a essere percepiti come mentalmente forti.

Inoltre, Miçoogullari e Ekmekçi (2017) hanno riscontrato una correlazione positiva tra l’allenamento delle abilità psicologiche e la durezza mentale dei giocatori di calcio professionisti, in un programma di allenamento di sedici settimane. Sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra i valori pre-test e post-test, ovvero fiducia, costanza, controllo, durezza mentale, accettazione di sé, relazioni positive con gli altri, autonomia e benessere psicologico.

Lo psicologo dello sport è un attore importante per lo sviluppo delle competenze psicologiche nel calcio professionistico (Nesti, 2010). Tuttavia, essi si trovano ad affrontare quattro sfide principali nell’ambito degli sport d’élite e professionistici: la congruenza (operare in modo autentico, in linea con la propria filosofia personale e con i metodi scelti), avere un ruolo più ampio (ad esempio, gestire relazioni multiple), l’influenza della cultura dello sport d’élite e sopravvivere e prosperare(McDougall et al., 2015). Sfide simili sono state riscontrate nel calcio(Kremer e Marchant, 2002; Jordet, 2019; Feddersen et al., 2023).

Se gli atleti praticano uno sport individuale o di squadra, fanno parte di una squadra di esecutori e influenzano lo sviluppo e le prestazioni reciproche. Anche il singolo calciatore deve funzionare come parte di una squadra performante. Langagergaard (2017) ha sottolineato a questo proposito l’importanza di stabilire le condizioni per un linguaggio comune che costituisca la base per un gruppo che sviluppi insieme una cultura della prestazione. Il concetto è un approccio ciclico, temporale e transitorio e serve come linguaggio comune di riferimento per la psicologia della performance (descritto ulteriormente in Langagergaard, 2017). Le “quattro fasi” consistono in: “pre-fase” (fase 1), “durante-fase” (fase 2), “post-fase” (fase 3) e “trasferimento-fase” (fase 4). La prima è la “pre-fase” (fase 1), che è una fase di preparazione dell’individuo (e/o della squadra) a livello pratico, fisico e psicologico; in sostanza, questa fase è “prepararsi alla prestazione”.

Nel calcio, la fase 1 può essere intesa come la preparazione del giorno della partita, il tempo negli spogliatoi e il riscaldamento. La fase 2, la “fase di gioco”, si riferisce alla durata del tempo in cui si svolge una prestazione vera e propria; nel calcio, può essere tradotta nel primo o nel secondo tempo della partita di calcio vera e propria. La fase 3 è la “fase successiva” ed è caratterizzata dalla valutazione. Comporta l’elaborazione delle impressioni e la capacità di “apprendere e chiudere” la prestazione nel tempo, per poi passare alla fase 4. La fase 4 è la “fase di trasferimento”, caratterizzata dal reset, dal recupero e dallo “spegnimento” della modalità di prestazione. Questo approccio in quattro fasi prende in considerazione la prospettiva dell’individuo (giocatore) e l’uso (consapevole/non consapevole) di tecniche di allenamento mentale ben note all’interno di tre domini: intenzione, attenzione e intensità, ossia motivazione, definizione degli obiettivi, regolazione dell’eccitazione, concentrazione, routine mentali (pre/durante/post) e mindfulness.

Il nostro intento è quello di approfondire le esperienze dei calciatori professionisti sull’influenza dei processi mentali sulla prestazione in un contesto norvegese che manca di ricerca e su come hanno sviluppato questi processi con l’aiuto di uno psicologo dello sport. Abbiamo quindi intervistato sei giocatori di calcio professionisti norvegesi per cercare di comprendere le esperienze dei calciatori professionisti in merito alla relazione tra processi mentali e prestazioni, in particolare quelle relative a caratteristiche mentali come la regolazione dell’eccitazione, la durezza mentale e la fiducia in se stessi. Inoltre, esploriamo la percezione e l’esperienza dei giocatori di quello che Langagergaard (2017) ha descritto come un linguaggio comune relativo alle abilità e ai processi mentali mentre lavoravano con uno psicologo dello sport sia nel loro club attuale che in quelli precedenti.

Lo studio analizza il modo in cui i giocatori di calcio professionisti percepiscono l’importanza dei processi mentali e dell’uso di uno psicologo dello sport e come questi influenzino le loro prestazioni come giocatori. Lo studio si concentra sulle interazioni quotidiane tra individui. Inoltre, i significati di queste interazioni sono gestiti e trasformati attraverso i processi interpretativi delle persone. Per questo motivo, abbiamo adottato un’ontologia socialinterazionista e utilizzato un approccio interpretativo(Markula e Silk, 2011; Wahyuni, 2012). Lo studio è stato approvato dal Centro norvegese per i dati sulla ricerca (numero di riferimento 410262) prima della raccolta dei dati.

Tutti i giocatori intervistati erano calciatori professionisti di livello elitario (un giocatore giocava a livello 2), avevano un’età media di 28,3 anni (SD = 4,3) e rappresentavano cinque club professionistici. Questi giocatori avevano una lunga esperienza nel calcio professionistico ed erano stati reclutati dal primo (3 giocatori) e dall’ultimo autore (3 giocatori). Entrambi i ricercatori hanno una rete di conoscenze in quanto hanno fatto parte rispettivamente di un’accademia di calcio professionale e di un ricercatore di club professionistici per un decennio.

Le interviste si sono svolte presso i club dei giocatori o per via digitale e sono durate tra i 23 e i 50 minuti, con una media di 39 minuti. Tre interviste sono state condotte faccia a faccia, mentre tre sono state realizzate in formato digitale (Zoom). Ogni partecipante è stato intervistato una sola volta e dallo stesso intervistatore. Tutte le interviste nei club sono state condotte in un’area tranquilla scelta dai partecipanti, con la sola presenza dell’intervistatore e del partecipante. Le interviste hanno utilizzato un approccio semi-strutturato, come descritto in dettaglio da Brinkmann e Kvale (2018), e sono state audio registrate e successivamente trascritte testualmente (si veda l’Appendice 1 per la guida all’intervista). Per garantire la riservatezza, tutti i partecipanti sono stati resi anonimi nelle trascrizioni e sono stati utilizzati i loro pseudonimi (cfr. Tabella 1).

L’adozione di un’ontologia interazionista sociale e di un’epistemologia interpretativa ci ha permesso di inquadrare le nostre interviste come uno spazio relazionale, nel senso che sia i partecipanti sia l’intervistatore potevano esplorare i temi insieme e co-costruire la conoscenza (Markula e Silk, 2011; Wahyuni, 2012). La guida all’intervista utilizzata per strutturare il processo di intervista comprendeva i seguenti argomenti: regolazione dell’eccitazione, resistenza mentale e fiducia in se stessi (si veda l’Appendice 1 per la guida completa all’intervista).

Abbiamo esaminato tutti i materiali delle interviste utilizzando un’analisi tematica del contenuto in sei fasi sviluppata da Braun e Clarke (2006) e Braun et al. (2019). In primo luogo, il primo autore ha trascritto, letto e riletto i dati. In secondo luogo, lo stesso autore ha generato codici tematici iniziali analizzando induttivamente i dati (ad esempio, “preparazione mentale della partita”). In terzo luogo, questi sono stati presentati al secondo e al terzo autore, il cui ruolo è stato quello di agire come “amici critici” che hanno rivisto e messo in discussione le descrizioni e le motivazioni del primo autore per questi codici iniziali. Tutti gli autori hanno discusso su come categorizzare e strutturare i risultati in temi di ordine superiore (ad esempio, “Comprensione e uso dei processi mentali”).

In quarto luogo, tutti gli autori hanno elaborato congiuntamente i temi analitici e sono tornati ai dati grezzi delle interviste per chiarire le domande (ad esempio, quale rapporto avevano i giocatori quando lavoravano con uno psicologo dello sport). In quinto luogo, i sottotemi e le categorie finali sono stati rivisti e perfezionati. La fase finale ha combinato i processi di analisi e categorizzazione. Per questo motivo, gli autori sono spesso tornati alle categorie e ai dati grezzi per garantire che il contenuto fosse basato in modo equo e accurato su ciò che era stato definito durante il processo di scrittura del rapporto.

I risultati sono incentrati sui seguenti argomenti: comprensione e utilizzo dei processi mentali, solidità mentale, regolazione dell’eccitazione, fiducia in se stessi e ruolo e utilizzo dello psicologo dello sport in relazione alle prestazioni.

Il concetto fluido di processi mentali descritto nella letteratura di ricerca si è riflesso anche nelle risposte dei giocatori, che spaziavano da pensieri generali sull’uso, ad esempio, del dialogo interiore a pensieri più specifici relativi alla tenacia, come descritto da Frank qui di seguito:

Frank: Per me i processi mentali significano quanto si può sopportare. Ad esempio, se si subisce un infortunio, bisogna affrontarlo e riprendersi. Come si affronta una partita negativa o una buona partita, si è in grado di resettare entrambe le cose per l’allenamento successivo e la partita successiva[,] o si è influenzati da questo?

Tuttavia, i giocatori hanno sottolineato l’importanza di concentrarsi su questi processi mentali in modo continuo e dinamico. Ciò è in linea con precedenti ricerche su una cultura della prestazione con situazioni mutevoli e periodi difficili (MacNamara et al., 2010; Thelwell et al., 2005), in cui ci si aspetta che i giocatori si esibiscano e gestiscano la pressione (Dodd e Newans, 2018; Williams et al., 2020).

Frank: In realtà, la cosa più importante è cercare di avere un processo continuo. Non può succedere che si faccia casino e poi all’improvviso arrivi una partita importante e ci si debba concentrare molto su quella. In questo caso penso che sia contrario al suo scopo.

Tuttavia, alcuni giocatori hanno descritto il processo di passare in rassegna i diversi pensieri impegnativi, pensiero per pensiero per così dire, per poterli affrontare invece di finire, come descritto da uno dei giocatori, in un buco nero:

Tommy: Spesso è così anche se ci sono periodi in cui le cose sono un po’ faticose, ad esempio se sei infortunato, vedi che qualcun altro sta facendo bene, vedi che potresti non entrare subito in squadra, allora ci sono tanti piccoli consigli. Allora bisogna andare con ordine, elaborare ogni singolo pensiero e chiuderlo, invece di farlo diventare un buco nero con tante negatività.

Il dato più evidente è stato l’uso che i giocatori hanno fatto della loro esperienza e della loro carriera, in quanto li ha resi più consapevoli dei propri processi mentali e di come questi abbiano influito sulle loro prestazioni. Allo stesso modo, la ricerca ha indicato che i giocatori più anziani sono in grado di gestire meglio un carico mentale difficile e che un rapporto consapevole con questi processi indica anche una maggiore probabilità di gestire prestazioni deboli (Saward et al., 2020). Tommy afferma:

Tommy: È una cosa che mi è capitata negli ultimi anni. Sono semplicemente diventato più attento. Negli ultimi anni ho cercato di pensarci. Perché quando ero più giovane era come se dicessi: “Sì, ce l’ho fatta, al diavolo e non ci penso”, ma poi mi ha preso un po’ più di quanto pensassi. Ora, se vengo messo fuori squadra per una partita, devo pensare al perché, a questo e a quell’altro, e finire di pensarci e poi andare avanti, invece di portarmelo dietro fino al giorno della partita e per tutta la settimana successiva.

Tutti i giocatori hanno unanimemente menzionato l’importanza della durezza mentale e hanno ritenuto che essa abbia l’impatto più diretto sulle loro prestazioni, soprattutto durante le partite:

Chris: La cosa più importante per me è, quando gioco e nel vivo della partita, essere forte mentalmente. Haaland, ad esempio, è forse il giocatore più forte al mondo quando si tratta di adattarsi al campo e di inseguire costantemente il prossimo. Se perde un’occasione, sa che ne avrà un’altra molto presto.

I giocatori descrivono la durezza mentale come un modo razionale di affrontare la sfida, concentrandosi sugli aspetti su cui possono influire e guardando in avanti alle sfide future.

Frank: In un certo senso, ho una sorta di atteggiamento secondo il quale se hai il coraggio di resistere e credi in quello che stai facendo, alla fine otterrai quello che ti meriti. Poi di solito arriva anche la ricompensa, quindi per me è stato importante continuare a lavorare e non essere troppo impaziente.

I giocatori parlano principalmente della durezza mentale come della capacità di gestire le avversità essendo pazienti e credendo in se stessi. Come indicano le ricerche precedenti, essi mettono ancora in relazione la durezza mentale con la fiducia in se stessi (Machida et al., 2017; Vealey e Chase, 2008). Tommy descrive l’uso del dialogo interiore come strumento per acquisire fiducia in se stessi e consentire loro di essere mentalmente forti e sottolinea la relazione tra i processi mentali (Liew et al., 2019; Williams et al., 2020).

Tommy: So cosa posso fare e sono migliore del mio avversario se incontro qualcuno in posizione sul campo. Non so se mi sto ingannando o se sono davvero migliore, ma nella mia testa lo sono, credo sinceramente di essere migliore di lui.

Per essere in grado di esibirsi, i giocatori hanno parlato delle loro prestazioni individuali e di come sono stati messi alla prova mentalmente nei periodi. Un giocatore, Oscar, ha dichiarato: “È forse particolarmente importante avere questo tipo di cose durante i periodi in cui si viene messi un po’ alla prova, se si entra e si esce (dalla squadra) o se si incontrano molte avversità”. I partecipanti sottolineano anche l’importanza del sostegno socio-emotivo attraverso i compagni di squadra e la loro mentalità quando la squadra affronta le sfide come gruppo.

Oliver: In un certo senso, nei momenti di difficoltà le persone prendono le distanze dal progetto e dal team e vogliono averci meno a che fare rispetto a quando le cose vanno bene, perché allora tutti vogliono farne parte. Quindi, essere in equilibrio emotivo, creare energia e cercare di sostenere chi ci circonda nei momenti difficili, anche questa è una fase importante.

È stato evidenziato come l’età, l’esperienza e la situazione familiare abbiano influito sulla loro tempra mentale. Uno dei giocatori, Chriss, ha descritto come un cattivo coinvolgimento in una partita abbia influenzato la partita successiva quando era più giovane, mentre ora è diventato più bravo a riadattarsi in base alla situazione.

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Chris: In passato, se commettevo un errore o perdevo un duello o un incontro o qualcosa del genere, potevo risentirne per molto tempo e forse diventare un po’ distruttivo. Ora penso di essere molto più bravo ad adattarmi e a pensare alla situazione successiva, alla prossima sessione di allenamento, al prossimo incontro, e penso che questo forse avverrà un po’ con l’esperienza e l’età.

I giocatori hanno notato come imparino attraverso l’esperienza, riflettendo sulle proprie prestazioni (DeWiggins et al., 2010). Ad esempio, quando erano più giovani, riuscivano a vedere ciò che era necessario, ma consideravano comunque difficile fare la cosa giusta. Altri hanno anche sottolineato di aver acquisito una nuova prospettiva quando sono diventati genitori, in quanto hanno dovuto cambiare obiettivo e abbandonare alcuni pensieri quando sono tornati dalla loro famiglia dopo la partita o l’allenamento. Per esempio, Chris ha dichiarato: “Ora ho un figlio da cui torno a casa, il che significa che quando entro dalla porta devo riadattarmi e pensare ad altre cose”.

I giocatori hanno evidenziato la necessità di regolare l’eccitazione prima della partita. La regolazione dell’eccitazione fa parte del loro processo mentale e ha un impatto positivo se usata con saggezza, poiché un eccesso di energia potrebbe avere un impatto negativo:

Frank: Prima di allora non vedevo l’ora che iniziasse la partita, e questa è stata una delle prime cose che ho detto al mental coach.

Parlando dei loro pensieri durante le partite, i giocatori hanno sottolineato la necessità di essere concentrati e di non lasciare che la mente si distragga, rimanendo nel presente. Oscar ha osservato: “Se si cammina pensando a troppe altre cose, allora non si è trovato il giusto livello di tensione”. Nel frattempo, altri hanno parlato di situazioni in cui avevano bisogno di regolare la loro eccitazione in alto o in basso.

Oliver: Venendo allo stadio in città, era come se dovessi lavorare su me stesso, rispetto a una partita alle otto nello stadio di fronte a un certo numero di spettatori con i riflettori, lo sento davvero. E la sensazione che si prova è che “qui c’è energia ed eccitazione gratuita”.

Nell’ambito della regolazione dell’eccitazione, alcuni giocatori, come Chris, hanno utilizzato il self-talk come meccanismo inconscio e automatico per non aprire la mente alle impressioni nei momenti importanti(Beilock e Gray, 2007). Il self-talk viene utilizzato, ad esempio, per evitare un alto grado di tensione da parte degli attori dell’ambiente esterno. In questo caso, viene chiaramente avviato un processo automatico in cui si pensa passo dopo passo; si tratta cioè di una consapevolezza inconscia di come si risolvono le situazioni difficili apportando i necessari aggiustamenti richiesti dalla situazione (Beilock e Gray, 2007).

Tuttavia, abbiamo anche riscontrato variazioni individuali durante le partite, in cui alcuni giocatori sono consapevoli dell’uso del self-talk come tecnica di regolazione della tensione:

Oscar: Il modo in cui lavoro, lavoro molto sul modo in cui parlo a me stesso e di me stesso. E c’è molto a che fare con la fiducia in se stessi: se si è in grado di descriversi bene e di dire a se stessi che si è bravi, si otterranno anche prestazioni migliori.

Si ritiene che la fiducia in se stessi abbia un impatto sulle prestazioni (Knight et al., 2017), soprattutto nelle situazioni decisive durante una partita(Machida et al., 2017):

Peter: Dopotutto, le buone performance danno una grande fiducia in se stessi. In realtà è quello che mi dà più fiducia. Più cose buone fai, meglio giochi.

Inoltre, i giocatori percepiscono una relazione tra fiducia in se stessi e prestazioni, come evidenziato dalla ricerca (Hwang et al., 2017). Spesso ci si aspetta che i giocatori più anziani e più esperti siano sicuri di sé. Tuttavia, i giocatori ritengono che la fiducia in se stessi sia importante anche all’inizio della carriera:

Oliver: La fiducia è qualcosa che è… non è qualcosa di permanente, è fugace. E questo indipendentemente dal fatto che tu abbia 15 o 30 anni. Ho provato molto questo tipo di sicurezza nelle ultime 10 stagioni, e poi l’ho percepita ORA, quando sono vecchio (30-35 anni) e mi sento come se fossi “dannato, ho 15 anni e sono insicuro e così via”. In un certo senso è bello sentirsi così. Forse si tratta anche del fatto che la fiducia in se stessi è qualcosa che non è permanente, che si è diventati più esperti e più vecchi, perché la fiducia in se stessi è un bene fresco.

Pertanto, l’autostima è evidenziata come un fenomeno che può verificarsi indipendentemente dall’età e dall’esperienza (Knight et al., 2017). Peter sottolinea questo aspetto, affermando: “In passato potevo pensare: ‘Merda, non posso farlo, perché non sono molto bravo’, e poi di solito si fallisce quando si ha questa mentalità”. Come sottolineano anche i giocatori, la fiducia in se stessi può derivare da altri aspetti della vita (ad esempio, l’istruzione). Oliver ritiene che sia importante padroneggiare anche altri ambiti per evitare che la vita quotidiana di un calciatore diventi totalizzante e sottolinea il valore dello studio: “Nel periodo attuale, l’istruzione mi dà molto, perché hai un altro ambito in cui sentirti padrone”.

Ha anche sottolineato come la mancanza di padronanza durante i periodi di infortunio abbia influito negativamente sulla sua autostima: “Il motivo per cui ho poca autostima dopo i periodi di infortunio, ad esempio, so che è dovuto al fatto che non ho avuto esperienze recenti in cui ho in qualche modo padroneggiato situazioni che mi hanno dato fiducia in me stesso”. Altri hanno sperimentato l’opposto quando si sono infortunati, in quanto non hanno più la pressione di esibirsi, il che influisce positivamente sulla loro autostima:

Peter: È un po’ buffo, in realtà, che quando sono infortunato è forse il momento in cui acquisisco più fiducia. Si esce un po’ dalla bolla del calcio, non si è obbligati a fare prestazioni quotidiane e si riesce a resettare un po’.

In questo contesto di calcio professionistico, la paura del fallimento potrebbe superare la gioia del successo (Coulter et al., 2010). Quindi, il self-talk e il dialogo interiore possono essere usati come strumento di prevenzione utilizzando affermazioni che creano sicurezza e fiducia in se stessi, come racconta Peter(Konter et al., 2019). Tali affermazioni sono esemplificate, come nota S1, come uno strumento per superare i pensieri negativi; oppure, come sottolinea Frank, mettono in relazione la fiducia in se stessi con l’immagine di sé, che può essere la base per una solida fiducia in se stessi.

Tommy: Se inizi a dubitare, allora devi essere in grado di resettare un po’, di mettere il dito nella piaga e di pensare “dove sono?”. Sì, gioco in un club e sono qui per un motivo. C’è un motivo per cui sono qui, sono un buon calciatore in qualche modo.

Frank riflette su come il benessere e le qualità influiscano sulla fiducia in se stessi e, di conseguenza, sulle prestazioni. Descrivono la sensazione intrinseca di sentirsi bene fuori dal campo come una premessa importante per le prestazioni in campo. Peter si riferisce anche a questa fiducia intrinseca in se stessi come a un forte desiderio: “Non voglio che le buone prestazioni in campo mi diano una buona fiducia in me stesso. Preferirei avere un’autostima automatica in altre parti della vita che mi renda sicuro anche in campo”. Tuttavia, sebbene l’autostima si dimostri un fenomeno dinamico, l’immagine di sé emerge come la fonte più fondamentale di autostima continua.

Un altro modo per influire sulla fiducia dei giocatori è l’uso di video e visualizzazioni, che molti giocatori descrivono come utili per aumentare la propria autostima. Oscar osserva: “Magari guardo un video di cose che ho fatto, quindi per me funziona, nei periodi in cui mi sembra di non riuscire a padroneggiare tutto (Tommy): Mi piace guardare i video dei miei successi”. Nel contesto del calcio professionistico, le abilità mentali possono dividere i giocatori professionisti da quelli non professionisti(Coulter et al., 2010). Ciò evidenzia anche l’aspetto multidimensionale, poiché i processi mentali non hanno solo un impatto sulla prestazione, ma anche su altri processi mentali.

I giocatori hanno descritto il desiderio di avere accesso a uno psicologo dello sport nel proprio club, in linea con la ricerca sui giocatori del calcio professionistico inglese (Nesti, 2010). Tuttavia, l’accesso effettivo dei giocatori a uno psicologo dello sport è stato diverso (cfr. Tabella 1):

Chris: Non abbiamo nessuno che sia un dipendente fisso, ma potrei sicuramente immaginarlo. Penso che forse nel calcio si pensa che in una squadra fisica o medica bisogna avere un medico di club e un fisioterapista, e magari un allenatore fisico, ma non credo che si pensi spesso a quanto possa essere importante avere anche un allenatore mentale.

Come ha affermato Chris, lo psicologo dello sport ha introdotto nuove tecniche specifiche a loro sconosciute. Peter ha dichiarato: “È il mental coach che mi ha dato queste tecniche”, che descrive ulteriormente come segue:

Pietro: In campo ho imparato dal mental coach che di tanto in tanto dovrei fare delle pause in cui resettare e inspirare, espirare, inspirare ed espirare, inspirare ed espirare un paio di volte per calmarmi in campo, resettare ed essere di nuovo pronto.

La fiducia è stata una questione importante per alcuni giocatori. Le ricerche dimostrano che le tecniche mentali, come la visualizzazione e la meditazione, sono efficaci(Konter et al., 2019), come sottolineato da un giocatore. Altri hanno specificato come hanno utilizzato la meditazione, la mindfulness, la regolazione dell’eccitazione e il dialogo interiore per superare le difficoltà.

Oscar: Sono diventato più consapevole del modo in cui si parla a se stessi, di come questo possa influenzare le prestazioni e di lasciarsi andare e di non dover sempre dare il meglio di sé.

Oliver: Se ci fossero state delle tecniche specifiche che avessero funzionato per lo sviluppo della performance, allora sarebbe stato molto più facile. Sento che a volte le cose si fanno un po’ troppo diffuse e un po’ troppo sospese, come la visualizzazione, la meditazione e così via. So che la ricerca dice che può essere utile, ma non sono ancora riuscito a tradurre questa conoscenza in “oh, questo so che funziona” e che mi dà condizioni migliori per esibirmi, non l’ho ancora trovato.

Altri non hanno utilizzato lo psicologo dello sport a cui il team aveva accesso. Tommy ha invece utilizzato la propria esperienza, affermando: “Ho un buon controllo da solo e ho trovato un metodo che funziona bene per me, e poi continuo con quello finché non sento che non funziona più”. Il giocatore si è concentrato sulle esperienze precedenti e sul fatto che questo ha influenzato le sue prestazioni nel mondo del lavoro.

Sebbene i giocatori abbiano avuto esperienze diverse con uno psicologo dello sport, tutti i giocatori hanno avuto esperienze con uno o più psicologi durante la loro carriera. Per alcuni giocatori, l’impatto dello psicologo dello sport era legato a periodi con molte partite e alla frequente necessità di esibirsi, o durante i periodi di infortunio. Altri, invece, hanno sottolineato il loro valore generale e come altri club abbiano avuto successo con l’utilizzo di uno psicologo.

Chris: Si vede, ad esempio, che l’hanno fatto in un club rivale, e lì hanno reso omaggio al lavoro di uno psicologo dello sport. È una questione di percentuali, e ovviamente ai massimi livelli si dipende maggiormente dai margini. Se si possono ottenere margini dall’avere un mental coach, allora ne vale la pena, ma ovviamente dipende anche dalle finanze del club, dalle priorità e da cose del genere.

Pertanto, l’impatto degli psicologi dello sport sembra essere diverso dal punto di vista individuale o di gruppo. La maggior parte dei giocatori apprezza i colloqui individuali con lo psicologo dello sport, mentre c’è un’eccezione, Tommy, che preferisce i colloqui di squadra a quelli individuali.

Tommy: Penso che le presentazioni che ha fatto davanti alla squadra siano state molto belle. Mi sono piaciute molto, perché poi ha parlato in generale di trucchi e simili, per entrare in modalità battaglia come squadra. Sembrava che anche il gruppo lo ritenesse valido, ma come duo ho fatto un po’ di fatica.

I giocatori con esperienza di calcio internazionale hanno sottolineato i colloqui individuali e di squadra. Hanno sottolineato come il mental coach abbia aiutato loro e la squadra a riorientare la concentrazione e a gestire soprattutto l’attenzione dei media. Inoltre, il mental coach li ha anche attrezzati per gestire la maggiore tensione quando competono a un livello di prestazioni più elevato.

Frank: Siamo stati un po’ in Europa, dove le cose sono molto diverse rispetto alla Norvegia e dove ci sono ancora più media e più pressione dall’esterno. Lui, il mental coach, è stato bravissimo, è intervenuto e ha parlato di come noi, come gruppo e come singoli, possiamo escludere i disturbi.

Alcuni giocatori hanno riflettuto sul motivo per cui non hanno avuto accesso allo psicologo dello sport. Peter ha osservato: “È colpa dell’economia e di tutto il resto, non possiamo permettercelo. I soldi sono piuttosto spesi per un giocatore in più. Credo che in fondo l’allenatore pensi di essere un buon psicologo dello sport anche in questo caso”. Allo stesso modo, Chris, che appartiene allo stesso club di Peter, ha affermato di aver ricevuto le stesse risposte riguardo all’assunzione di uno psicologo dello sport. Nesti (2010) ha evidenziato la difficoltà di convincere gli allenatori e la dirigenza del club a dare priorità a questo aspetto, quando spesso si tratta di un problema economico. Oliver ha sottolineato che questo aspetto è fuori dal loro controllo:

Oliver: Credo che sia la conoscenza a mancare molto, e poi penso che anche i dirigenti dei club di oggi abbiano le loro preferenze. Fanno parte di un calcio che si giocava anni fa. Quindi, la parte mentale non era nemmeno rilevante (per loro). Quando parlo di cultura maschilista nel nostro tempo, la cultura di cui facevano parte era una vera e propria cultura maschilista.

Alcuni hanno sottolineato l’importanza dell’introduzione di uno psicologo dello sport in giovane età. Peter ha dichiarato: “Penso che se non fossi andato da un mental coach quando avevo 20 anni e non avessi imparato qualcosa di più, credo che avrei sbattuto contro il muro, ne sono abbastanza sicuro”. Questi risultati dimostrano che i giocatori hanno utilizzato sia tecniche mentali concrete apprese da uno psicologo dello sport sia tecniche più generali durante la loro carriera che hanno imparato a utilizzare da soli. Ciò è in linea con precedenti ricerche che affermano che gli interventi psicologici sportivi sono efficaci sulla capacità dei giocatori di gestire lo stress(Miçoogullari e Ekmekçi, 2017; Nesti, 2010).

Abbiamo esplorato le percezioni e le esperienze dei calciatori professionisti in merito alla relazione tra processi mentali e prestazioni, in particolare quelle relative a caratteristiche mentali come la regolazione dell’eccitazione, la durezza mentale e la fiducia in se stessi. Inoltre, abbiamo esplorato la percezione e l’esperienza dei giocatori di un linguaggio comune relativo alle abilità e ai processi mentali durante la collaborazione con uno psicologo dello sport, sia nel club attuale che in quelli precedenti.

I risultati mostrano che i giocatori più giovani sembrano essere più consapevoli del ricorso a uno psicologo dello sport. Ciò può essere dovuto al fatto che questi giocatori raggiungono prima il livello senior, che richiede loro maggiori sforzi mentali (cioè la durezza mentale) rispetto ai giocatori più anziani(Saward et al., 2020; Williams et al., 2020). È stato dimostrato che i processi mentali sono importanti per ottenere buone prestazioni(Saward et al., 2020), soprattutto per quanto riguarda la regolazione dell’eccitazione, la durezza mentale e la fiducia in se stessi.

I giocatori hanno evidenziato la durezza mentale come il processo mentale più importante per le loro prestazioni. Questo perché è percepita come una qualità mentale fondamentale per gestire le situazioni difficili prima, durante e dopo le partite (Thelwell et al., 2005; Wieser e Thiel, 2014). Tuttavia, la durezza mentale è stata considerata anche un prodotto dell’età e dell’esperienza. I giocatori più anziani tendono ad aver vissuto un maggior numero di situazioni che consentono loro di gestire meglio le avversità rispetto ai giocatori più giovani. Abbiamo anche illustrato come la fiducia in se stessi abbia un impatto diretto sulle prestazioni in campo.

Ciò è coerente con la letteratura, che mostra come, rispetto ai giocatori con bassa autostima, un calciatore con un’alta fiducia in se stesso avrà maggiore fiducia nelle proprie capacità e quindi sarà più disposto a correre rischi e sfide in campo (Coulter et al., 2010). Sebbene il contesto del calcio professionistico sia un’arena caratterizzata da alte prestazioni, alcuni giocatori e club sperimentano aspettative più elevate di altri. In questo studio, alcuni giocatori giocano in club che partecipano a tornei europei importanti, come l’Europa League, con una maggiore pressione esterna e attenzione da parte dei media. In questa situazione, l’utilizzo di un allenamento mentale attivo può aumentare la durezza mentale e, di conseguenza, le prestazioni dei giocatori(Miçoogullari e Ekmekçi, 2017).

Le riflessioni dei giocatori hanno rivelato il desiderio e la necessità di lavorare in modo più strutturato sullo sviluppo delle loro abilità mentali in consultazione con gli psicologi dello sport sia come singoli giocatori che come gruppo di giocatori (Nesti, 2010). Poiché i giocatori hanno indicato l’età e l’esperienza come due dei fattori più decisivi per la durezza mentale dei giocatori, la mancanza di riferimenti (età o esperienza) rafforza la necessità che uno psicologo dello sport sia in grado di gestire la situazione in modo da contribuire ad aumentare le prestazioni del giocatore e della squadra.

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Tuttavia, è necessaria una base di fiducia tra il giocatore e lo psicologo dello sport (Konter et al., 2019), soprattutto nel contesto del calcio professionistico a causa della cultura della prestazione e della necessità di risultati a breve termine. Di conseguenza, gli psicologi dello sport devono fornire risultati visibili. Questo è uno dei motivi per cui molti allenatori e club sono scettici sull’impiego di psicologi dello sport, perché è difficile raccogliere dati oggettivi (McDougall et al., 2015; Feddersen et al., 2023). Nessuna esperienza o percezione sarà interpretata allo stesso modo da due giocatori a causa delle differenze individuali derivanti non solo dalla genetica e dall’ambiente, ma anche dal loro pensiero(Nesti, 2010).

Langagergaard (2017) ha sostenuto che il contesto della performance è diverso rispetto ad altri contesti e può essere simile al contesto militare o di polizia. Inoltre, l’autore ha evidenziato la necessità di stabilire un linguaggio comune per sviluppare una buona cultura della prestazione che la squadra possa utilizzare per muoversi nella stessa direzione. In collaborazione con uno psicologo dello sport, se il club riesce a creare un’interazione tra questa complessità individuale e l’incorporazione di un linguaggio comune nel gruppo di giocatori, si può sostenere che l’effetto sarà maggiore e le prestazioni miglioreranno (Langagergaard, 2017).

Anche se un singolo giocatore ha sviluppato buone tecniche da solo o in consultazione con uno psicologo dello sport, i propri processi mentali possono impedire il pieno potenziale del gruppo di giocatori, ad esempio permettendo alla propria sicurezza di influenzare l’esito delle situazioni in una partita in modo svantaggioso per il giocatore. Ciononostante, si può sostenere che ci sono ragioni per cui i colloqui individuali sono così importanti, perché ci vuole tempo per stabilire relazioni che influenzino l’allenamento mentale (Nesti, 2010).

Questo studio non distingue tra le percezioni dei giocatori nei confronti dei mental coach e degli psicologi dello sport, il che rappresenta una limitazione. Inoltre, i mental coach, che spesso hanno esperienza nel contesto sportivo, differiscono sostanzialmente dagli psicologi dello sport, che hanno una formazione accademica nel campo della psicologia. Un’altra limitazione è rappresentata dal fatto che due degli autori conoscevano i partecipanti, il che è stato anche il motivo per cui i giocatori sono stati reclutati per lo studio. Questo potrebbe significare che i giocatori erano predisposti ad avere un atteggiamento positivo nei confronti della partecipazione, ma anche dell’argomento di interesse dello studio. Un campione così strategico potrebbe significare che altri giocatori potrebbero avere esperienze diverse rispetto a questo campione.

Gli studi futuri dovrebbero includere gli attori legati ai giocatori nel contesto delle prestazioni del calcio professionistico, poiché il loro impatto sulle prestazioni dei giocatori è essenziale. Inoltre, studi di caso o approcci simili con studi di follow-up o longitudinali possono essere condotti con gli stessi giocatori man mano che invecchiano e hanno più esperienza sia come giocatori di calcio sia nel campo della psicologia dello sport.

Nel contesto del calcio professionistico, i giocatori hanno intorno a sé molti attori e stakeholder. Spesso i giocatori hanno difficoltà a capire quali di questi attori introducono stabilità e conformità nella loro vita quotidiana. Questi attori/stakeholder stanno cercando di avere un impatto su di loro, sia direttamente che indirettamente sulle loro prestazioni. Gli studi futuri dovrebbero concentrarsi, attraverso studi qualitativi e quantitativi, su come i giocatori differiscono nei loro bisogni e su come l’ambiente circostante influisce sulle loro prestazioni, dato che le loro prestazioni sono legate alle partite e agli allenamenti. Un’altra area che merita di essere esplorata è il grado di correlazione tra il loro benessere e la loro capacità di rendimento. La maggior parte degli studi si è concentrata sul calcio giovanile, il cui contesto è diverso da quello della prestazione e del calcio d’élite. Per questo motivo, sono necessari più studi in quest’ultimo contesto.

Questo studio dimostra che i processi mentali sono importanti per la prestazione (Saward et al., 2020), soprattutto quelli legati alla regolazione dell’eccitazione, alla durezza mentale e alla fiducia in se stessi. I giocatori hanno evidenziato la durezza mentale come il processo mentale più importante per le loro prestazioni, perché è percepita come una qualità mentale fondamentale per gestire le situazioni difficili prima, durante e dopo le partite(Thelwell et al., 2005; Wieser e Thiel, 2014). Tuttavia, la durezza mentale è stata considerata anche un prodotto dell’età e dell’esperienza. I giocatori più anziani tendono ad avere esperienza di un maggior numero di situazioni che consentono loro di gestire meglio le avversità rispetto ai giocatori più giovani. È interessante notare che i giocatori più giovani sembrano essere i più consapevoli del ricorso a uno psicologo dello sport.

Ciò può essere dovuto al fatto che questi giocatori hanno raggiunto prima il livello senior, che richiede loro più impegno mentale (cioè la durezza mentale) rispetto ai giocatori più anziani(Saward et al., 2020; Williams et al., 2020). Questo studio indica che gli allenatori dovrebbero concentrarsi sullo sviluppo della durezza mentale dei giocatori, soprattutto tra i più giovani nel calcio professionistico, dal momento che lo studio dimostra che i giocatori più anziani gestiscono meglio le avversità in base all’esperienza. Tuttavia, dal momento che i giocatori più giovani hanno fatto un uso più consapevole di uno psicologo dello sport, è possibile che i giocatori più giovani di oggi abbiano appreso queste abilità per essere in grado di mantenere una carriera nel calcio professionistico.

Dichiarazione di disponibilità dei dati

I dati grezzi a sostegno delle conclusioni di questo articolo saranno resi disponibili dagli autori, senza alcuna riserva.

Dichiarazione etica

Gli studi che coinvolgono gli esseri umani sono stati approvati dal Norwegian Centre for Research Data. Gli studi sono stati condotti in conformità alla legislazione locale e ai requisiti istituzionali. I partecipanti hanno fornito il loro consenso informato scritto a partecipare a questo studio.

Contributi degli autori

JG: Concettualizzazione, Analisi formale, Indagine, Metodologia, Scrittura – bozza originale, Scrittura – revisione ed editing. ML: Concettualizzazione, Scrittura – bozza originale, Scrittura – revisione ed editing. SS: Concettualizzazione, Metodologia, Supervisione, Scrittura – bozza originale, Scrittura – revisione ed editing.

Finanziamenti

Gli autori dichiarano di non aver ricevuto alcun sostegno finanziario per la ricerca, la paternità e/o la pubblicazione di questo articolo.

Conflitto di interessi

ML era impiegato come consulente di psicologia delle prestazioni presso Learn To Improve,

Gli altri autori dichiarano che la ricerca è stata condotta in assenza di relazioni commerciali o finanziarie che possano essere interpretate come un potenziale conflitto di interessi.

Nota dell’editore

Tutte le affermazioni espresse in questo articolo sono esclusivamente quelle degli autori e non rappresentano necessariamente quelle delle loro organizzazioni affiliate, né quelle dell’editore, dei redattori e dei revisori. Qualsiasi prodotto che possa essere valutato in questo articolo, o qualsiasi affermazione che possa essere fatta dal suo produttore, non è garantita o approvata dall’editore.

Johan Grnset & Martin Langagergaard & Stig Arve Sæther

Fonte: frontiersin.org

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