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Eric Fromm, Sulle Cause Della Guerra

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Sulle Cause Della Guerra

Il caso più importante di aggressione strumentale è la guerra. Ormai è diventato di moda credere che la guerra sia scatenata dalla forza dell’istinto distruttivo umano. Questa è stata la spiegazione data dagli istintivisti e dagli psicoanalisti. Ad esempio, uno dei principali esponenti dell’ortodossia psicoanalitica, E. Glover, sostiene contro M. Ginsberg che “l’enigma della guerra è sepolto… nelle profondità dell’inconscio”, paragonando la guerra a “una forma svantaggiosa di adattamento istintuale”. (E. Glover e M. Ginsberg, 1934).

Lo stesso Freud espresse una posizione molto più realistica rispetto ai suoi seguaci. Nella sua famosa lettera ad Albert Einstein, Perché la guerra? (S. Freud, 1933) individuava le cause della guerra non nella distruttività umana, ma nei conflitti realistici tra gruppi, costantemente risolti con la violenza, a causa dell’assenza di un diritto internazionale applicabile che consentisse, come nel diritto civile, la loro risoluzione pacifica. Egli attribuisce solo un ruolo ausiliario al fattore della distruttività umana, per il quale le persone sono più disposte a combattere una volta che i vari governi hanno intrapreso questa strada.

Eric Fromm

Per chiunque abbia una vaga conoscenza della storia, la tesi dell’innata distruttività umana come causa primaria della guerra è semplicemente assurda. I Babilonesi, i Greci, fino agli statisti del nostro tempo, pianificavano le loro guerre per ragioni che ritenevano molto realistiche, valutando attentamente i pro e i contro, anche se, ovviamente, i loro calcoli erano spesso sbagliati. Le motivazioni erano infinite: acquisire terre da coltivare, ricchezza, schiavi, materie prime, mercati, espansione e difesa. A volte ad accendere la scintilla era la vendetta o, in una piccola tribù, la passione per la distruzione, ma si trattava di casi atipici. La tesi che la guerra sia causata dall’aggressività umana non è solo irrealistica, ma soprattutto dannosa. Distoglie l’attenzione dalle cause reali, indebolendo così l’opposizione contro di esse.

Questa presunta tendenza innata alla guerra non è solo sconfitta dalla storia documentata, ma anche, elemento estremamente importante, dalla storia delle guerre primitive. Già nel contesto delle aggressioni tra i popoli primitivi, abbiamo dimostrato che essi e in particolare i cacciatori e i raccoglitori di cibo – erano i meno bellicosi e che le loro lotte erano caratterizzate da una relativa assenza di distruttività e di efferatezza.

Abbiamo anche visto che le guerre diventavano sempre più frequenti e sanguinose. Quindi, se la guerra fosse stata causata da innati impulsi distruttivi, si sarebbe verificato il contrario. Le tendenze umanitarie emerse nel XVIII, XIX e XX secolo hanno portato a una riduzione della distruttività e della crudeltà delle guerre, codificata e rispettata fino alla prima guerra mondiale – in diversi trattati internazionali. In questa prospettiva progressista, sembrava che l’uomo civilizzato fosse meno aggressivo del suo antenato primitivo; le guerre continuavano a scoppiare perché l’istinto aggressivo e pertinace si rifiutava di piegarsi all’influenza benefica della civiltà.

Ma in realtà è successo che la distruttività dell’uomo civilizzato è stata proiettata sulla natura umana, confondendo così la storia con la biologia. Se cercassi di tracciare anche solo una breve analisi delle cause della guerra, dilaterei enormemente la struttura di questo libro; dovrò quindi limitarmi a citare un solo esempio: la Prima Guerra Mondiale. La Prima Guerra Mondiale fu motivata dagli interessi economici e dalle ambizioni dei leader politici, militari e industriali di entrambe le parti; non scoppiò perché le varie nazioni coinvolte avevano bisogno di scaricare le rispettive aggressioni “contenute”. Poiché queste motivazioni sono ampiamente note, non è necessario ricostruirle in dettaglio. In linea di massima, si può dire che gli obiettivi principali della guerra del 1914-1918 furono prevalentemente quelli della Germania: ottenere l’egemonia economica nell’Europa centrale e occidentale e acquisire territori a est. (Erano, poi, anche quelli di Hitler, la cui politica estera era essenzialmente una continuazione di quella del governo imperiale).

Simili erano gli obiettivi e le motivazioni degli Alleati occidentali. La Francia voleva l’Alsazia-Lorena; la Russia i Dardanelli; l’Inghilterra parte delle colonie tedesche; l’Italia almeno una piccola parte del bottino. Se non fosse stato per tutti questi obiettivi, alcuni dei quali stipulati in trattati segreti, la pace sarebbe stata conclusa anni prima, risparmiando così la vita a diversi milioni di persone da entrambe le parti.

Per quanto riguarda l’entusiasmo suscitato da questa guerra, bisognerà distinguere tra l’entusiasmo iniziale e le motivazioni che hanno spinto le rispettive popolazioni a continuare la lotta. All’interno dei tedeschi sarà necessario distinguere tra due gruppi. Il piccolo gruppo di nazionalisti – un’esigua minoranza rispetto alla popolazione complessiva – chiedeva a gran voce una guerra di conquista già diversi anni prima del 1914: era composto principalmente da professori di scuola superiore, alcuni professori universitari, giornalisti e politici, con l’appoggio di alcuni pezzi grossi della Marina tedesca e di alcuni settori dell’industria pesante.

Si potrebbe descrivere la loro motivazione psichica come un misto di narcisismo di gruppo, aggressività strumentale, desiderio di fare carriera e di ottenere potere all’interno e attraverso questo movimento nazionalistico. La grande maggioranza della popolazione era entusiasta solo poco prima e poco dopo lo scoppio della guerra. A questo proposito emergono anche differenze e reazioni significative tra le varie classi sociali; ad esempio, gli intellettuali e gli studenti erano più entusiasti degli operai. (Un dato interessante che illumina la questione è il fatto che il capo del governo tedesco, il cancelliere del Reich Von Bethman-Hollweg, come dimostrano i documenti del Ministero degli Esteri tedesco pubblicati dopo la guerra, era consapevole che sarebbe stato impossibile ottenere il consenso del partito socialdemocratico, il più forte all’interno del Reichstag, se prima non fosse riuscito a dichiarare guerra alla Russia, dando così ai lavoratori la sensazione di combattere contro l’autocrazia e per la libertà).

La popolazione nel suo complesso fu sottoposta al martellamento propagandistico del governo e della stampa che, pochi giorni prima e dopo l’inizio della guerra, usarono tutto il loro potere suggestivo per convincerla che la Germania sarebbe stata umiliata e attaccata, mobilitando così impulsi di aggressione difensiva. La popolazione nel suo complesso, tuttavia, non era animata da forti impulsi di aggressività strumentale, come ad esempio il desiderio di conquistare territori stranieri, come dimostra il fatto che, già all’inizio della guerra, la propaganda governativa negava qualsiasi obiettivo di conquista e successivamente, quando i generali controllavano la politica estera, gli obiettivi di conquista venivano descritti come strumenti necessari per la futura sicurezza del Reich tedesco; tuttavia, nel giro di pochi mesi l’entusiasmo iniziale svanì per non tornare mai più.

Vale la pena notare che quando Hitler scatenò l’aggressione alla Polonia, dando così inizio alla Seconda Guerra Mondiale, l’entusiasmo popolare per la guerra era praticamente pari a zero. Nonostante anni di pesante indottrinamento militarista, la popolazione dimostrò molto chiaramente di non essere desiderosa di combattere. (Hitler fu costretto a inscenare un attacco a una stazione radio della Slesia da parte di presunti soldati polacchi, in realtà nazisti mascherati, per risvegliare un senso di difesa contro l’aggressione).

Ma anche se la popolazione tedesca non voleva questa guerra (persino i generali erano riluttanti), prese le armi senza opporre resistenza e combatté coraggiosamente fino alla fine.

Per rispondere a questa domanda, è necessario esaminare diversi fattori rilevanti. Una volta scatenata la Prima Guerra Mondiale (e, con alcune modifiche, la Seconda), i soldati tedeschi (o francesi, britannici, russi) continuarono a combattere perché erano convinti che la sconfitta avrebbe affondato l’intera nazione. A livello individuale erano motivati dalla sensazione di combattere per salvarsi la pelle.

Ma anche questo non sarebbe stato sufficiente a giustificare il consenso a continuare. Certo, sapevano che se fossero fuggiti sarebbero stati fucilati, ma queste motivazioni non hanno impedito ammutinamenti su larga scala in tutti gli eserciti; in Russia e in Germania sono sfociati nelle rivoluzioni del 1917 e del 1918. Nel 1917, in Francia, non c’era praticamente un corpo d’armata i cui soldati non si fossero ammutinati, e fu solo grazie all’abilità dei generali francesi nell’impedire che un’unità militare sapesse cosa stava accadendo nelle altre che questi ammutinamenti vennero repressi, con un misto di esecuzioni di massa e qualche miglioramento delle condizioni di vita quotidiana dei soldati.

Ma ci sono altre motivazioni emotive, più sottili, che rendono possibile la guerra anche se non hanno nulla a che fare con l’aggressione. La guerra è eccitante anche se comporta il rischio di perdite di vite umane e grandi sofferenze fisiche. Considerando che la vita della persona media è monotona, tutta routine e nessuna avventura, l’atteggiamento di coloro che sono pronti ad andare in guerra deve essere inteso anche come un desiderio di porre fine al noioso tran tran della vita quotidiana, di gettarsi nell’avventura, l’unica avventura, in realtà, che la persona media può aspettarsi in tutta la sua vita.

In una certa misura, la guerra rovescia tutti i valori. Incoraggia l’espressione di impulsi umani profondamente radicati, come l’altruismo e la solidarietà, impulsi che sono mutilati dal principio di egocentrismo e di competizione indotto nell’uomo moderno dalla normale vita di pace. Le differenze di classe, pur non scomparendo, si riducono notevolmente. In guerra, l’uomo è di nuovo uomo; ha la possibilità di distinguersi, indipendentemente dai privilegi sociali conferitigli dal suo status di cittadino.

Per dirla in forma molto marcata, la guerra è una ribellione indiretta contro l’ingiustizia, la disuguaglianza e la noia che dominano la vita sociale in tempo di pace, e non bisogna sottovalutare il fatto che se un soldato combatte il nemico per la sua pelle, non deve lottare contro i membri del suo gruppo per il cibo, le cure mediche, il riparo, i vestiti, che gli vengono forniti da una sorta di sistema perversamente socializzato.

Il fatto che la guerra abbia queste caratteristiche positive è un triste commento sulla nostra civiltà. Se la vita civile offrisse quegli elementi di avventura, solidarietà, uguaglianza, idealismo, che si trovano nella guerra, sarebbe molto difficile convincere la gente a combattere. Il problema del governo è quello di strumentalizzare questa ribellione, imbrigliandola al servizio dell’obiettivo bellico; allo stesso tempo, per evitare che diventi una minaccia per il potere costituito, vengono imposti una rigida disciplina e lo spirito di obbedienza ai leader, raffigurati come uomini altruisti, saggi e coraggiosi che proteggono il loro popolo dalla distruzione.

In conclusione, le grandi guerre dell’epoca moderna e quasi tutte le guerre tra Stati nell’antichità non sono state causate da aggressioni embrionali, ma dall’aggressione strumentale delle élite militari e politiche, come risulta dai dati sulla diversa incidenza delle guerre dalle culture più primitive a quelle più sviluppate.

Più una civiltà è primitiva, più le guerre sono rare. (La stessa tendenza è confermata dal fatto che la frequenza e l’intensità delle guerre è aumentata con lo sviluppo della civiltà tecnologica; è più alta tra gli Stati potenti con un governo forte e più bassa tra gli uomini primitivi non soggetti a leader permanenti. Come si può vedere nella tabella seguente, il numero di battaglie ingaggiate dalle principali potenze europee in epoca moderna mostra la stessa tendenza. La tabella mostra il numero di battaglie combattute in ogni secolo a partire dal 1480. (Q. Wright, Chicago 1965):

Facendone risalire le cause all’aggressione innata, certi autori hanno semplicemente considerato la guerra moderna un fenomeno normale, provocato necessariamente dalla natura “distruttiva” dell’uomo. Hanno tentato di confermare questa tesi con i dati raccolti sugli animali e sui nostri antenati preistorici, distorcendoli per farli servire allo scopo. La loro posizione è nata dalla convinzione irremovibile che la civiltà moderna sia superiore alle culture pre-tecniche. La logica era: se l’uomo civile è afflitto da tante guerre e da tanta distruttività, ben peggio doveva essere ridotto l’uomo primitivo, così arretrato nello sviluppo verso il ” progresso”. Poiché non si può attribuire la distruttività alla nostra civiltà, bisogna giustificarla come risultato dei nostri istinti.

Eric Fromm

Fonte: Anatomia della distruttività umana

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