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L’Atletica Allena il Coraggio

Quando ero giovane ebbi modo di sperimentare a più riprese il significato di volontà e determinazione in relazione ai miei ripetuti infortuni che mi portarono a rompermi due menischi e il legamento laterale sempre dell’arto destro, che a quei tempi significava, nel primo caso, due mesi di sosta e non come ora che si esce dall’ospedale con le proprie gambe e nel secondo caso ad interventi chirurgici spesso sperimentali che non sempre sortivano gli effetti desiderati.

Vista la situazione non mi rimase che impiantare dentro casa una mini palestra con tutti gli strumenti necessari per la riabilitazione che considerate le mie competenze non necessitano di alcun supporto esterno, ed ogni volta solo con me stesso focalizzavo notte e giorno l’obbiettivo da raggiungere il cui fine era tornare più in forma di prima.

L’allenamento incide per il 20%, il resto è tutto dettato da un atto di volontà che ti apre le porte per raggiungere ogni traguardo e questo nessuno dall’esterno te lo potrà mai dare per quanto tu possa delegare il tuo destino a chi ti indica la strada giusta da intraprendere.

È quella autonomia di pensiero che ci rende invincibili e che rende superflua ogni ingerenza positiva o negativa che sia, perché vedete, non sempre abbiamo al nostro fianco coloro che ci correggono per tempo sul da farsi e questo badate bene è una variabile che si verifica sistematicamente quando si vive il momento del qui e ora.

È bene non sottovalutare questo aspetto che poi si amplifica in ogni settore della nostra esistenza, in quanto l’atletica come qualsiasi altra disciplina sportiva è la cosa più importante delle cose poco importanti della vita.

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Quando non puoi fare qualcosa, puoi immaginare di poterla fare. Nel dicembre del 1991 la vita di Cinzia Leone cambia; quello che lei aveva immaginato prima, adesso non va più bene. Sembra tutto perso, ma non è così. Cinzia trova il coraggio di immaginarsi ancora, allena cervello e fisico e li costringe a inseguire la sua immaginazione fino a quando i due non si ricongiungono. Si chiama riabilitazione, ma è molto meglio chiamarla atletica del coraggio.

Cinzia Leone

Che l’atletica alleni il coraggio l’ho provato sulla mia pelle, perché nel dicembre del 1991, avevo trentadue anni, sono sopravvissuta a due emorragie cerebrali dovute alla rottura di un aneurisma congenito dell’arteria Basilare, che mi hanno lasciata paralizzata in tutta la parte sinistra.

Cosa? In realtà nessuno lo sapeva, tranne il dottor Spetzler che mi aveva operato compiendo un miracolo e salvandomi. In effetti, fu lui a dirmelo e io gli credetti. Aveva ragione, anche se nemmeno lui sapeva bene come.

La fisioterapia iniziale che è stata preziosissima ha fatto tanto, tantissimo, mi ha dimostrato che se stimoli una zona muscolare neurologicamente offesa, se non ha avuto danni definitivi, può lentamente tornare a vivere. Con una certa ossessività che non ha nulla a che vedere con la costanza, ma moltissimo con la disperazione, puoi dedicarti insistentemente alla tua utopia e non dare tregua a quell’impantanamento della rassegnazione a cui spesso le malattie cerebrali ti costringono perché il trauma psicologico è insopportabile.

Ma qui subentra la necessità di cominciare ad ispirarti non più ai movimenti oculati e limitati della fisioterapia, ma al bisogno visionario di immaginare te stesso libero di muoverti nello spazio, senza procurarti danni peggiori di quelli che hai già. E già questo è un pensiero atletico, perché l’atletica è la massima libertà del movimento nell’assoluto esercizio del controllo.

Bisogna essere veramente pazzi e visionari per pensare, partendo da una condizione di staticità, di poterci riuscire. Ma se hai trenta anni di tempo e un’ossessività latente, massacrandoti col lavoro fisico e una fede infinita nell’impegno, ci puoi riuscire.

La mano e il braccio ti sembrano morti? non rispondono più a nessuna esigenza, a nessun input? E tu ti fai tirare da un ragazzo intelligente e coraggioso, un personal trainer pronto a sperimentare, una palla da tennis che per tre mesi cade per terra ad ogni tiro mentre tu piangi ma non demordi, e siccome il cervello è molto più sveglio di quanto pensiamo, quindi incamera informazioni mentre tu neanche te ne accorgi, un giorno in cui non te lo aspetti più, fa scattare il tuo braccio e la tua mano e te la fa prendere… così… al volo…con leggerezza.

Il ragazzo suddetto, se sei fortunata ad incontrarlo, capisce anche che tu, non avendo più uno scheletro muscolare in grado di sostenerti in nessun movimento, lo devi interamente ricreare e lì comincia a sfondarti di esercizi fisici che vanno da addominali a terra, necessari a restituirti un “centro” strutturale per l’equilibrio, ai glutei, alle gambe, alle braccia, alle spalle ai dorsali…a tutto quello che occorre per ripristinare il movimento del corpo.

Con un avversario non da poco però: la spasticità, che subentrava ogni volta che costringevo il mio fisico a eseguire azioni che il mio cervello, a causa dell’offesa subita, non era più spontaneamente preposto per fare. E qui le potenzialità dell’atletica si sposano col miracolo delle potenzialità del nostro cervello.

Se l’impianto elettrico (del cervello) non è stato definitivamente spento dall’emorragia, la stimolazione continua verso la capacità di reazione muscolare, cerca nuove strade e le percorre. Tutte. Ma ti devi fidare.
Anni di affondi con la gamba sinistra, sempre due volte di più che con la destra, ma con il piede sinistro completamente contratto.

Cinzia Leone

Gli affondi soffrono la ricerca dell’equilibrio già in sé, in condizioni normali. Col piede contratto sono difficilissimi ma hanno meravigliosamente allenato il mio equilibrio. E il bisogno di appellarmi agli addominali mentre gestivo lo sforzo di alzarmi premendo il ginocchio a terra e contraendo il gluteo sinistro che non c’era più, hanno contribuito a fare in modo che tanto il gluteo quanto l’equilibrio siano tornati ad esserci.

Un giorno, dopo diversi anni che lavoravamo già insieme, Thomas (questo è il nome del ragazzo coraggioso) mi guarda e mi dice: salta riferendosi al divano della stanza in cui stavamo lavorando.Io lo guardo pensando che sia pazzo e terrorizzato di farlo.Lui dice: salta! Salta! Se te lo dico è perché so che puoi farlo Lo sai penso io, che non avevo idea di come potesse accadere una cosa del genere…salta sul divano dal pavimento ripete lui. Mi sono fidata di lui.

Saltai librandomi nell’aria e sentii i piedi affondare sul cuscino del divano. Non ho mai più provato un’emozione simile, tranne quando, dopo tanti anni, riuscii ad alzare completamente il braccio sinistro verso l’alto e dovettero tenermi lontano da tutti i citofoni. Volevo informare il mondo che ci ero riuscito. Spero che non ci sia retorica in quello che sto raccontando. In effetti, non ne ho mai parlato così dettagliatamente in pubblico. Ma l’emozione è stata quella di aver vinto le Olimpiadi.

Ci vuole onnipotenza per andare oltre ogni limite fisico e mentale, indipendentemente dalle conseguenze della malattia. L’onnipotenza è il vero nutrimento dell’atletica, è quell’energia che spinge a perseverare, ad allenarsi fino a raggiungere l’obiettivo, per poi superarlo e crearne uno nuovo. È l’impegno fisico necessario per superare i limiti della fisica, della gravità. Ma la motivazione è psicologica. E può insegnare come capitalizzare l’ossessività.

Quindi ognuno di noi può fare cose straordinarie se ha la determinazione di cercare emotivamente la propria forza. Quella da cui partire, per iniziare un percorso di conoscenza di sé che è caleidoscopico, insospettabile, quasi un’avventura divina, perché si nutre della responsabilità che governa il rapporto tra noi stessi e le nostre aspettative. E si tratta di un percorso che dura tutta la vita e che non consiste nel vincere una sfida.

Per me l’atletica è servita e servirà per sempre ad allenare il coraggio di vivere.

Cinzia Leone

Fonte: sportmemory.it

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